Il candidato riformista Masoud Pezeshkian è il nuovo presidente dell’Iran, dopo aver ottenuto la vittoria sul radicale Said Jalili nel ballottaggio, un’inaspettata vittoria per il campo riformista del Paese, in un contesto di profondo malcontento sociale, difficoltà economiche e guerra regionale.
Elezioni
Le elezioni presidenziali anticipate in Iran, sebbene non siano state né libere né eque, hanno avuto una serie di peculiarità che le hanno distinte dalle passate elezioni iraniane.
Quattro conservatori sono stati autorizzati dal Consiglio dei Guardiani, organo preposto a determinare l’idoneità dei candidati, a concorrere contro un solo riformista, cosa inaspettata. Molti osservatori si aspettavano una ripetizione delle elezioni del 2021, quando il Consiglio dei Guardiani aveva completamente escluso i riformisti. La mossa inaspettata della Commissione veniva letta con due teorie diametralmente opposte.
Alcuni sostenevano che Pezeshkian, un riformista poco noto, fosse destinato alla sconfitta e non rappresentasse una vera minaccia per i candidati conservatori. La sua candidatura avrebbe comunque spinto i riformisti a partecipare alle elezioni, dopo che avevano rifiutato di sostenere qualsiasi candidato nelle elezioni parlamentari di marzo. Questo avrebbe contribuito ad aumentare l’affluenza, cruciale per legittimare il sistema. Inoltre, la sconfitta del candidato riformista avrebbe potuto segnare la fine definitiva del progetto riformista.
Altri ritenevano che la corsa di quattro contro uno avesse lo scopo di dividere i voti del campo conservatore e facilitare la vittoria del candidato riformista. Circolavano voci secondo cui l’establishment politico fosse determinato a rimuovere i radicali dal potere.
Dopo vari sondaggi che davano in vantaggio il candidato riformista, si prevedeva che i due principali esponenti conservatori, l’ex negoziatore nucleare Said Jalili, noto per la sua intransigenza, e il presidente del Parlamento Mohammad Baqer Qalibaf, avrebbero concordato che uno di loro si ritirasse a favore dell’altro per battere il candidato riformista al primo turno. Sorprendentemente, ciò non è avvenuto. Alla fine del primo turno, Pezeshkian ha ottenuto la maggioranza relativa dei voti, seguito da Jalili. La mancanza di una coalizione, nonostante l’ostinazione e la rivalità dei due conservatori, è un dato significativo, poiché se il potere avesse voluto garantire il successo dei conservatori, sarebbe bastato un “suggerimento” della Guida Suprema Khamenei per far desistere uno dei due.
Il passaggio di Jalili al secondo turno ha cambiato radicalmente il panorama. La prospettiva della sua probabile vittoria ha preoccupato molti politici moderati, intellettuali e attivisti, compresi quelli che inizialmente non avevano partecipato al voto. Jalili, intransigente e controverso, è stato descritto dagli studiosi e dai suoi collaboratori come anti-occidentale, anti-sviluppo e anti-modernità. I suoi scritti rivelano una comprensione distorta e delirante delle discipline umanistiche e delle relazioni internazionali, ed è privo di fiducia nel meccanismo democratico e nei diritti umani. Non avrebbe avuto scrupoli a scatenare una guerra interna nel paese, disponendo di numerose reti e strutture.
Per Jalili, rivolgersi alla massa silenziosa che non aveva partecipato al primo turno sarebbe stato inutile, poiché le loro richieste e rivendicazioni erano in netto contrasto con il suo discorso e approccio. Perciò ha preferito utilizzare una losca tecnica di clientelismo nelle aree rurali povere, dove i suoi sostenitori distribuivano pacchi alimentari in cambio di voti.
D’altra parte, il dialogo con la popolazione è stato essenziale per Pezeshkian, non solo per vincere le elezioni, ma anche perché aveva compreso che una riconciliazione con la parte silenziosa della società era indispensabile per realizzare gli obiettivi del suo possibile governo.
Durante la settimana che separava il primo turno dal ballottaggio, un nutrito gruppo di intellettuali, élite, politici moderati e attivisti, sia residenti nel paese che nella diaspora, ha sostenuto Pezeshkian. Questo a causa del timore di un ulteriore deterioramento delle condizioni di libertà sociali ed economiche in caso di vittoria del candidato ultraconservatore. Evitare il peggio è diventato la parola d’ordine.
Affluenza
Il terzo protagonista, non imprevisto, è stato l’indice d’affluenza, registrato al 39,9% nel primo turno e 49,7% nel secondo turno, nettamente inferiore alla media d’affluenza registrata nelle elezioni dopo la rivoluzione del 1979.
Khamenei, ha costantemente sottolineato che la legittimità della Repubblica Isalmica dipende dalla partecipazione popolare alle elezioni. Nel suo discorso prima del ballottaggio, ha esortato tutti coloro che sono interessati a un Iran forte e orgoglioso, e tutti coloro che sostengono l’establishment, a partecipare attivamente alle elezioni. L’alto tasso di partecipazione è stato motivo di orgoglio anche durante i governi riformisti e moderati. Tuttavia, la diffusa corruzione nelle istituzioni pubbliche, gli scandali finanziari ripetuti, la gestione deficitaria della pandemia, la lunga e grave crisi economica, sommata al restringimento dei diritti sociali, in particolare quelli delle donne, e la brutale repressione del movimento “Donna, Vita, Libertà”, hanno alimentato un crescente senso di rancore, sfiducia e disillusione popolare nei confronti del sistema, manifestatosi nei momenti cruciali.
Naturalmente, non tutto il non-voto rappresenta necessariamente una sensibilità politica, e nemmeno tutti i voti espressi possono essere considerati un solido sostegno per il sistema politico. Tuttavia, anche senza una vera organizzazione e leadership consolidata, molti studiosi iraniani ritengono che la società abbia dimostrato di poter contare sul proprio potere, indicando la possibilità di una crescita della società civile informata e indipendente anche in condizioni di oppressione.
Sembra evidente che il timore di avere un radicale intransigente al potere esecutivo abbia spinto una parte relativamente piccola di coloro che non avevano votato a recarsi alle urne per evitare il peggio, pur senza nutrire grandi speranze nel candidato riformista.
Il dato rilevante è che storicamente, la scarsa partecipazione ha favorito i conservatori, assicurando loro quasi sempre la vittoria. Questa volta, nonostante una partecipazione minima, il candidato riformista è riuscito a vincere, segnando un evento senza precedenti in Iran.
Alcuni osservatori iraniani all’estero enfatizzano il ruolo delle organizzazioni e dei media stranieri in lingua persiana che hanno incessantemente promosso il boicottaggio delle elezioni. Tale valutazione sembra del tutto fuorviante, considerando che se le organizzazioni d’opposizione impegnate da 45 anni contro l’establishment avessero avuto tale presa sulla popolazione iraniana, probabilmente avrebbero già rovesciato il regime.
Chi è Masoud Pezeshkian
Masoud Pezeshkian, 69enne, cardiochirurgo, è stato vice ministro della salute sotto il presidente riformista Mohammad Khatami, membro del parlamento per 16 anni, durante i quali ha ricoperto anche il ruolo di vicepresidente. Non è affiliato a un partito, ma il suo impegno per le riforme lo ha avvicinato ai riformisti, estromessi dal potere da lungo tempo.
È stato uno dei pochi politici a criticare esplicitamente il governo e la polizia morale per la morte di Mahsa Amini, la giovane donna deceduta sotto la custodia delle forze di sicurezza, evento che ha innescato proteste diffuse in Iran nel settembre 2022.
Nel 1994, Pezeshkian perse la moglie e uno dei figli in un incidente stradale e, in onore della moglie defunta, non si è più risposato. Ha dedicato gran parte della sua vita al servizio pubblico e alla politica, ottenendo fama per la sua onestà e il suo rigpre morale.
Proveniente da una famiglia di rilievo, con padre azero e madre curda della provincia dell’Azerbaigian occidentale, nel nord-ovest dell’Iran, la sua padronanza di diverse lingue etniche lo rende una figura con cui le minoranze etniche dell’Iran possono identificarsi. Ciò ha rafforzato la sua immagine di leader che comprende e rappresenta i diversi strati della società iraniana, pur esponendolo ad attacchi xenofobi da parte di alcuni oppositori.
Il futuro
Passate le elezioni, la vera sfida per il nuovo presidente inizia ora. Il neopresidente è al centro dell’arena politica, circondato da istituzioni controllate dai conservatori. Il suo successo dipende dalla capacità di mediazione tra conservatori e riformisti senza oltrepassare le linee rosse del regime. Ha una disperata necessità di creare un consenso popolare maggiore di quello ricevuto per consolidare la sua posizione. Per questo, deve attuare rapidamente alcuni miglioramenti economici e rimuovere alcune restrizioni sociali. È prevedibile che, per il momento, Khamenei, che ha l’ultima parola su ogni cosa, rimanga neutrale, dato che sembra evidente il suo consenso sull’elezione del neopresidente.
Il filo conduttore delle argomentazioni di Pezeshkian si è concentrato sulle debolezze strutturali dell’economia iraniana e su come le strutture di governance siano state corrotte attraverso la politicizzazione.
Pezeshkian non ha promesso impegni concreti, concentrandosi invece sul suo approccio di governo, pur ammettendo i limiti che potrebbe incontrare come presidente.
I principali punti del suo approccio economico consistono nel contenere l’inflazione, ridurre l’interferenza governativa nei mercati, e prestare particolare attenzione alla giustizia sociale. Egli considera l’assistenza sanitaria e l’istruzione non come merci, ma come forme di adempimento della responsabilità costituzionale del governo nei confronti dei cittadini. Inoltre, intende modificare le attuali politiche di sussidi energetici e estendere i sussidi per il carburante in denaro alle classi di reddito più vulnerabili. Ridurre l’impatto negativo delle sanzioni sul commercio è un altro obiettivo, insieme all’introduzione di un’imposta sulle plusvalenze e all’aumento del livello di trasparenza mediante l’attuazione di una versione nazionale delle norme e dei regolamenti proposti dalla Financial Action Task Force (FATF) con sede a Parigi.
Gli obiettivi delineati sono molto ambiziosi e saranno difficili da raggiungere nei prossimi quattro anni. Tuttavia, l’attenzione di Pezeshkian alla governance e alle questioni strutturali è giudicata dagli esperti come una base corretta per creare un percorso verso un graduale miglioramento economico.
Altri punti comprendono le questioni femminili. Pezeshkian, nella campagna elettorale, ha sottolineato la necessità di riconoscere la parità delle donne e di non imporre il velo con la forza. Ha anche menzionato la rimozione dei pesanti meccanismi di filtraggio di Internet che hanno tolto la possibilità a migliaia di piccoli artigiani e agricoltori di accedere al mercato attraverso la rete. Per attuare il primo punto, il neopresidente ha la necessità di fare breccia nel muro di religiosi intransigenti che considerano la restrizione dei diritti delle donne e l’imposizione del velo un precetto religioso. E per liberalizzare Internet, occorre superare il veto degli organi di sicurezza che ritengono che la riduzione dei controlli su Internet possa rappresentare una minaccia alla sicurezza nazionale.
Politica estera
Sebbene il potere e le decisioni critiche sulla politica estera risiedano in ultima analisi nella Guida Suprema, Khamenei, il presidente esercita una certa influenza sul tema. Il riconoscimento da parte di Pezeshkian di una politica estera conciliante sarà cruciale per migliorare le condizioni economiche, generando gli impulsi necessari per l’alleggerimento delle sanzioni e l’attrazione di investimenti nazionali ed esteri.
La vittoria di Pezeshkian potrebbe aprire la strada a rinnovati impegni diplomatici e a politiche più concilianti per un nuovo negoziato sulla questione nucleare.
Sembra assai difficile immaginare che i principi fondamentali della politica estera del paese, in particolare per quanto riguarda gli Stati Uniti, Israele e la strategia difensiva basata sull'”Asse di resistenza”, possano essere modificati dal neopresidente, essendo saldamente radicati nel quadro più ampio stabilito dalla Guida Suprema e dalla Guardia della Rivoluzione. Dall’altro canto, è un argomento vietato ai candidati da affrontare nella campagna elettorale.
La portata del cambiamento che il neo presidente potrebbe generare sarebbe limitata dalle strutture di potere sovrastanti e dagli imperativi strategici che definiscono il panorama politico del paese. Pertanto, qualsiasi cambiamento reale sarebbe probabilmente graduale piuttosto che trasformativo.
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