Indubbiamente gli apparati israeliani hanno realizzato due “colpi da maestro” contro l’Asse della Resistenza.
Due omicidi mirati in due giorni, uno nel cuore di Beirut ma soprattutto l’altro nella capitale iraniana Teheran, uno contro Fouad Shokor, un alto dirigente di Hezbollah, l’altro contro il capo politico e negoziatore di Hamas Ismail Haniyeh.
La scia di sangue lasciata da Israele continua ad allungarsi. A Tel Aviv e negli apparati della Hasbara magari si esulta e ci si inorgoglisce del fatto che Israele continua a voler e dover essere considerato un “cane pazzo” che è meglio non stuzzicare. Secondo questa logica nessun “nemico di Israele” deve o può sentirsi al sicuro, neanche nelle ambasciate all’estero o nella capitale di uno stato sovrano. Le convenzioni internazionali non esistono per i killer israeliani, esistono solo per tutti gli altri paesi ma, come dice Ilan Pappè, “fino a quando il mondo permetterà a Israele di fare quello che fa”, questa sembra l’antifona.
I due omicidi mirati contro i leader di Hezbollah e di Hamas hanno lo stesso effetto politico di un’ondata di bombardamenti a tappeto ma con meno vittime.
Non si capisce – o meglio si capisce benissimo – perché Israele non sia stata così selettiva nei confronti dei palestinesi di Gaza, dove invece ha scelto la strada della punizione collettiva, delle stragi di civili inermi, di quello che le istituzioni e la coscienza internazionale definiscono ormai come un genocidio.
I due omicidi di Beirut e Teheran si configurano come atti di guerra dichiarata. E sono in molti a ritenere che il governo israeliano questa guerra ad ampio spettro in Medio Oriente voglia farla. Il viaggio di Netanyahu negli Usa dà tutta l’impressione di aver ricevuto il semaforo verde anche su tale scenario.
La palla ora passa indubbiamente nel campo dell’Asse della Resistenza. Iran, Hezbollah, Ansarallah dello Yemen e Resistenza palestinese a questo punto devono decidere se accettare la sfida... o accettare la resa. Le soluzioni intermedie si sono andate assottigliando vertiginosamente con i negoziati su Gaza continuamente ritardati o ostacolati dalle pretese israeliane fino a diventare una foglia di fico o una tela di Penelope.
I rischi e i costi di questa scelta sono e saranno enormi per i paesi coinvolti e l’instabilità regionale e internazionale, ma subire impunemente attacchi nella propria capitale senza una reazione adeguata – anche all’estero e non obbligatoriamente sul terreno – segnerebbe la fine di ogni pretesa dell’Iran di rappresentare l’Asse della Resistenza. Lo stesso si può dire di Hezbollah.
E se Israele continua a dimostrare la propria superiorità sul piano militare e di intelligence, non è detto che questa possa essere assicurata in un conflitto aperto, a meno di un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti nella guerra regionale in Medio Oriente. Ma in tal caso appare difficile che big come Russia e Cina possano rimanere a guardare e oggi nelle leadership di quei paesi non ci sono più ubriaconi di servizio come Eltsin o dirigenti inclini alla coesistenza pacifica ad ogni costo. Il contesto internazionale sta mutando significativamente anche rispetto a soltanto a tre anni fa.
In Medio Oriente siamo di nuovo allo zugzwang (1). I giocatori sono obbligati a muovere, anche rischiando molto. Rimanere fermi significa perdere comunque la partita.
Note
(1) obbligo di muovere in una partita a scacchi, anche se la mossa può dare effetti negativi.
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