Poche scelte come la deportazione di “immigrati pericolosi” riescono a chiarire il legame strettissimo tra politiche repressive interne e colonialismo di ritorno.
La mossa dell’amministrazione Trump di trasferire in Salvador – piccolissimo stato centroamericano – alcune centinaia di presunti membri di una gang composta principalmente da salvadoregni e venezuelani ha infatti mostrato una violenta torsione della “divisione dei poteri” all’interno della molto presunta “democrazia” Usa, ma anche illuminato sul rapporto che il regime di Trump intende stabilire con il resto del continente americano.
Di certo i membri della gang “Tren de Aragua” non sono agnellini innocenti che ispirino compassione, ma per facilitarne il trasferimento all’estero – aggirando la normativa ancora vigente negli Usa – lo staff trumpiano ha prima riclassificando questa banda di narcos come “organizzazione terroristica”, dimostrando una volta di più che certe parole non significano assolutamente nulla.
Poi ha proceduto al trasferimento – con l’ormai abituale scena di uomini in catene caricati su un aereo – nonostante un giudice federale avesse disposto di fermare l’operazione accogliendo il ricorso di cinque immigrati che si dichiaravano totalmente estranei alla gang.
Per farlo senza infrangere la legge, i “giuristi” del tycoon hanno invocato una legge del 1798 – l’Alien Enemies Act – applicata solo tre volte nella storia perché vale solo se il paese è in stato di guerra (l’ultima volta portò in carcere i cittadini di origine giapponese, dopo l’attacco di Pearl Harbour).
Il Salvador è guidato da Nayib Bukele, un reazionario fanatico che si ritiene persino spiritoso (ha postato un “oops, troppo tardi!” quando l’ordine del giudice è arrivato, ad aereo già partito), felice di ospitare il carcere più grande del continente, il famigerato Centro di Confinamento per il Terrorismo del paese, costruito per ospitare oltre 40.000 persone.
Bukele ha dichiarato che il trasferimento dei prigionieri faceva parte di un accordo con gli Stati Uniti, raggiunto dopo discussioni il mese scorso con il segretario di Stato Marco Rubio, secondo cui gli Usa pagheranno una “modesta tariffa” di 6 milioni di dollari.
Le vie della delocalizzazione sembrano infinite. Dopo aver trasferito le aziende verso lidi con più basso costo del lavoro, si fa ora altrettanto con malavitosi di ogni genere.
Un dettaglio non è però sfuggito. I componenti della banda, si diceva, sono in parte salvadoregni, in parte venezuelani. E questi ultimi – se non ci fosse stata la spada di Damocle del giudice che rischiava di calare prima della partenza del primo aereo – erano destinati al paese della Rivoluzione Bolivariana. Con il quale non esiste alcun accordo di estradizione, anche se altri emigranti erano stati accolti in nome della cittadinanza.
Il governo venezuelano ha denunciato che la decisione del presidente degli Stati Uniti non è altro che una mossa distorsiva per criminalizzare i venezuelani all’estero.
Secondo il presidente venezuelano Nicolás Maduro, la presenza del Tren de Aragua negli Stati Uniti è una “falsa narrazione” creata dall’“ultradestra” per giustificare le politiche repressive sull’immigrazione e ha sottolineato che l’organizzazione criminale che operava in Venezuela era già stata “combattuta e sconfitta”.
“L’immigrazione venezuelana è il risultato delle sanzioni, non del crimine”, ha sottolineato Maduro.
Allo stesso modo, la corte federale degli Stati Uniti ha emesso l’ordine di impedire l’espulsione di chiunque soggetti dopo l’annuncio di Trump. Tuttavia, gli avvocati del governo hanno risposto che i due aerei che trasportavano i migranti erano già in volo e sono arrivati domenica al CECOT di El Salvador.
Il CECOT è il carcere di massima sicurezza che il governo Bukele nel Salvador ha costruito per rinchiudere i membri delle bande detenute nel quadro della sua “guerra” contro questi gruppi criminali lanciata quasi tre anni fa. Si trova in una zona rurale a 75 chilometri a sud-est di San Salvador.
Lunedì, in una conferenza stampa, il presidente dell’Assemblea Nazionale del Venezuela, Jorge Rodríguez si è espresso contro un ordine esecutivo stabilito dagli Stati Uniti il 14 marzo, che applica la “Legge sul Nemico Straniero” emanata da quel paese 227 anni fa, nel 1798: “Il governo degli Stati Uniti d’America ha firmato un proclama che entrerà nelle pagine della diplomazia internazionale e del diritto internazionale come segno di infamia, della barbarie, che può essere paragonata solo alle leggi razziali di Norimberga, con le quali la Germania nazista segregò un’intera popolazione”, ha detto Rodríguez.
Il presidente del parlamento venezuelano ha descritto questa azione come “assolutamente illegale, anacronistica che viola la dichiarazione universale dei diritti umani, la carta delle Nazioni Unite e tutte le convenzioni che sono state firmate tra i paesi sui diritti dei migranti e sul lavoro dei migranti. I venezuelani vengono rapiti, senza alcun tipo di processo, senza alcun tipo di difesa dei loro diritti elementari, dei diritti stabiliti dalle Nazioni Unite”, ha detto Jorge Rodríguez.
Ma sembra abbastanza evidente l’intenzione “strategica”: re-introdurre bande, narcotrafficanti, “gente di mano”, nei paesi che resistono all’imperialismo. In fondo non è difficile comprare killer a pagamento, se ti chiami Zio Sam, no?
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