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19/03/2025

La storia come jolly e come feticcio

La storia e gli eventi storici, da un po’ di tempo a questa parte, si sono trasformati in un jolly da utilizzare per giustificare qualsiasi affermazione: sono diventati una carta vincente, un asso nella manica, un espediente per attuare facili parallelismi e paragoni e cercare di semplificare la situazione ingarbugliata e complessa delle vicende contemporanee. Non avremmo nulla da obiettare se questa trasformazione fosse avvenuta in semplici discorsi da bar o in banali commenti sui social scritti da perfetti sconosciuti. Però, essa avviene in discorsi e in dichiarazioni ufficiali ad opera di importanti e conosciuti esponenti della politica e della cultura. Ad esempio, non molto tempo fa, il presidente della Repubblica in un discorso ufficiale ha paragonato la Russia al Terzo Reich scatenando le ire del regime putiniano. È un parallelismo azzardato – ci sembra – che nessuno storico serio potrebbe avallare: gli anni Trenta del Novecento e gli anni Venti del Duemila sono due contesti economico-politici estremamente diversi, ciascuno connotato da profonde peculiarità. Gli eventi contemporanei non sono minimamente paragonabili non solo al contesto della Prima o della Seconda Guerra Mondiale ma anche alla temperie socio-economica di venti o trent’anni fa. La Storia e gli eventi storici passati di qualsiasi natura non possono essere dei jolly da tirare fuori alla prima occasione per parlare del nostro oggi. Si può attuare questi azzardati paragoni, forse, soltanto avendo una salda e approfondita conoscenza sia del passato che del presente.

La storia si trasforma per di più in un feticcio svuotato del suo significato nell’agghiacciante articolo scritto il 4 marzo scorso da Antonio Scurati su “Repubblica” (leggiamolo qui). Il parallelismo più inquietante messo in moto dallo scrittore è quello fra gli europei di oggi, che dovrebbero armarsi contro la Russia, e i partigiani e gli antifascisti che combatterono nella Lotta di Liberazione: Fummo allora, noi europei d’Occidente, per l’ultima volta guerrieri. La Resistenza antifascista ci ricorda perché ripudiammo la guerra ma ci insegna anche le ragioni per prepararci, se necessario, a combatterla. La Resistenza antifascista, nelle parole di Scurati, diventa un feticcio impastato, per citare Furio Jesi, con la “pappa del passato”. Come scrive il grande studioso nel suo saggio Cultura di destra, “tutto quello che il passato è stato, è divenuto una pasta che si può modellare e cuocere come si vuole” (F. Jesi, Cultura di destra, Garzanti, Milano, 1979, p. 127). Un passato siffatto si trasforma in un feticcio, in un “mito tecnicizzato”, un vuoto simulacro di qualcosa che è stato ed è irrimediabilmente finito. Poco sopra Scurati – per utilizzare ancora dei termini di Jesi (quelli di seguito virgolettati) offre un “mucchio indifferenziato” (in cui troviamo indifferentemente Omero e Ernst Jünger) di un passato che si trasformerebbe, nelle sue parole, in qualcosa di “sacro”:
Ma la guerra dei nostri antenati europei non è stata solo il dominio della forza, è stato anche il luogo di genesi del sé: da Maratona al Piave gli europei hanno combattuto (e vissuto) fedeli a come si aspettavano che la loro battaglia (e vita) sarebbe stata narrata. Da Omero a Ernst Jünger la nostra civiltà ha pensato il combattimento armato frontale, micidiale e decisivo addirittura come proprio fondamento perché nella guerra eroica ha trovato l’esperienza plenaria, l’accadimento fatidico, il momento della verità nel quale si sono generate le forme della politica, i valori della società, si sono decisi i destini individuali e collettivi.
In questo “mucchio indifferenziato” si può trovare l’esaltazione dell’eroismo del passato, il “romanzo pacifista”, il ripudio della guerra, gli antichi guerrieri europei, i partigiani, la Lotta di Liberazione, il 25 aprile, il tutto in un calderone che bolle come quello della fattucchiera Amelia dei fumetti Disney. Vengono in mente, ancora, le fini osservazioni di Jesi contenute in Cultura di destra, quando lo studioso ricorda due discorsi commemorativi di Giosue Carducci tenuti nel marzo del 1907 dalla stessa persona nella sede pubblica di un circolo culturale e in una Loggia massonica. In entrambi i discorsi, pure se notevolmente diversi tra di loro, – osserva Jesi –
gli elementi culturali sono per così dire omogeneizzati: in questa pappa, dichiarata preziosa, ma anche ben digeribile da tutta la classe mediamente istruita, non ci sono più veri contrasti, vere punte, spigoli e durezze. Il suo veicolo linguistico è composto di luoghi comuni, ma non di luoghi comuni del parlare profano quotidiano, bensì di luoghi comuni decantati dal parlare letterario. Questo linguaggio per luoghi comuni di provenienza aulica è dichiarato modello di chiarezza, si dice che tutti lo capiscono, e di fatto (sebbene si debba molto esitare qui sull’uso della parola capire) non provoca sconcerto, tutti vi sono abituati. Non ha rapporto con la ragione né con la storia: nasce da roba di valore che viene chiamata il passato, ma che è così storicamente indifferenziata da poter circolare nel presente. È sfruttabile, ed è generalmente sfruttato, come veicolo dell’ideologia della classe dominante; ma serve a difendere quell’ideologia anche quando non mostra apparenti contenuti ideologici. È già di per sé, per quanto vuoti restino in certi casi i suoi topoi ricorrenti, strumento efficiente di quell’ideologia. È l’elemento più caratteristico e diffuso della cultura di destra: possiede tutta la sua oscurità che è chiamata chiarezza, tutta la sua ripugnanza per la storia che è camuffata da venerazione del passato glorioso, tutto il suo immobilismo cadaverico che si finge forza perenne (ibid.)
Queste osservazioni di Jesi, secondo noi, sono applicabili per certi aspetti anche all’articolo di Scurati e, per di più, anche alle modalità della manifestazione patrocinata da Michele Serra e da “Repubblica” lo scorso sabato a Roma. Forse che, senza saperlo, ci hanno mostrato una delle più alte espressioni della contemporanea “cultura di destra”? Non diciamoglielo, gli verrebbe un colpo. Resta il fatto che non è più possibile, di fronte alle nuove generazioni, offrire beceri spettacoli di indistinguibili pappe del passato che trasformano la storia in un jolly e in un feticcio da usare in qualsiasi momento.

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