Germania: anche i Verdi si mettono in testa l’elmo chiodato prussiano e firmano l’accordo, per sostenere il massiccio riarmo del Paese. Ma lo fa un parlamento a due giorni dalla sua scadenza, la vecchia maggioranza cancellata dalle recenti elezioni che non avrebbe i numeri. Gioco sporco, sporchissimo. Politica al mercato dei favori e fabbriche di carri armati al posto delle Volkswagen.
Parlamento uscente riesumato
Emendamento costituzionale con almeno due terzi di parlamentari, e due giorni ancora di incarico prima di dover lasciare il posto ai neo eletti che non avrebbero i numeri per autorizzare quei mille miliardi di debito per la nuova Germania armata. Ma ogni compromesso si paga, e per il voto dei Verdi cacciati fuori dal governo, il Cancelliere in pectore, Friedrich Merz, ha dovuto garantire una parte di quei mille miliardi di euro previsti per lo ‘stimolo poliennale’ all’economia, di cui una buona parte riservata alle nuove ‘panzerdivisionen’, a infrastrutture e per la transizione energetica. Scelta compiuta con il peggiore artificio politico possibile.
Il ‘patto del diavolo’
Quello che per alcuni è una sorta di ‘patto del diavolo’, nasce dalla necessità di cambiare la Costituzione... in un paio di giorni. Infatti, per rifare di tutto punto anche la Wehrmacht, Merz deve prima far togliere la clausola sulla famosa «Schuldenbremse», o ‘freno del debito’. Cioè, un argine messo per legge alla possibilità dello Stato di indebitarsi. E siccome da ora in poi saranno cambiali a profusione (diciamo Titoli di stato) e ‘pagherò’, come non si vedevano dall’epoca della Repubblica di Weimar, ecco che bisogna rimangiarsi gli impegni solennemente sottoscritti in precedenza. Per farlo ci vuole una maggioranza qualificata (dei due terzi) che Merz non ha, nel Parlamento appena eletto. E che problema c’è, dicono a Berlino, usiamo quello vecchio, che scade tra un paio di giorni. Il Bundestag nuovo è pieno di ‘populisti’ e di ‘sinistri’ (quelli veri, della Linke), brutti, cattivi e rompiballe. Che non farebbero mai passare un riarmo da mille miliardi (comprese le infrastrutture, per carità). Un riarmo necessario, è la logica non tanto stringente di Merz, se vorremo evitare di vedere i cosacchi abbeverare i loro cavalli sotto la Porta di Brandeburgo.
E la democrazia?
È chiaro, in questo caso forse esce con qualche ecchimosi, se si pensa che a cambiare la Costituzione è un Parlamento già scaduto e poi disinvoltamente riconvocato in via straordinaria. D’altronde, la Corte costituzionale ha bocciato i ricorsi delle opposizioni, dicendo che, in punta di diritto, quella che appare una solare forzatura si può fare. E comunque, dopo il Bundestag toccherà al Bundesrat, la Camera regionale. E là può succedere ancora di tutto. Il messaggio che si vuol far passare è che la guerra va considerata motore dello sviluppo. O, almeno, la paura (magari esagerata a tavolino) di assai ipotetiche ‘invasioni’, viene usata come scusa per spendere e spandere denaro pubblico. Dei contribuenti. E per restare abbarbicati alle poltrone del potere. A Berlino credono di aver trovato la formula magica, per uscire dalla crisi economica: fare debiti. A tanti zeri, facendoli pagare (quando sarà) alle giovani generazioni. Per questo, i ‘padroni del vapore’ stanno escogitando un vero trucco di prestidigitazione costituzionale, eliminando la clausola del ‘freno del debito’.
Everest di denaro per cannoni e bombarde
Vogliono spendere mille miliardi di euro ‘per difendere la Germania’ (da Putin), e per stimolare la loro economia. Un Everest di denaro destinato a cannoni e bombarde, per un riarmo da potenza imperiale che non si vedeva più dai tempi del Kaiser Guglielmo II. Tanto per non nominare personaggi assai più nefasti, nella memoria collettiva. «La corsa al riarmo – scrive il Financial Times – potrebbe rappresentare una spinta molto necessaria per la produzione manifatturiera tedesca, colpita dalla crisi dell’industria automobilistica, dalle imminenti guerre commerciali e dalla crescente concorrenza delle importazioni cinesi di acciaio e automobili a basso costo. A questo proposito – aggiunge il quotidiano finanziario britannico – va sottolineato che il produttore di armi tedesco Rheinmetall, le cui azioni sono quasi raddoppiate quest’anno, sta convertendo alcuni dei suoi stabilimenti nazionali di componenti per auto per produrre equipaggiamento militare. Il mese scorso il produttore di carri armati franco-tedesco KNDS ha accettato di rilevare e convertire una fabbrica di produzione di treni di Alstom nella città orientale di Görlitz per produrre parti per carri armati da combattimento e altri veicoli militari». Tutto molto chiaro.
Crisi geopolitiche come scusa
Esiste un progetto ‘multinazionale’, che sfrutta le crisi geopolitiche come valvola di sicurezza per i mercati e per cercare di tenere a galla il settore manifatturiero. La saldatura tra élites di governo, grande finanza e industria ad alta tecnologia chiude un cerchio, che usa la costante minaccia di un rovinoso conflitto come motore per una garanzia della domanda. Dunque, il modello tedesco offre un teorema interpretativo che può farci capire la logica più profonda del “ReArm Europe”. D’altro canto, alle recenti elezioni generali, chi governava (la coalizione di centro-sinistra) è uscito con le ossa rotte, mentre l’opposizione (si fa per dire) cristiano-democratica ha vinto, ma solo ‘per modo di dire’. Nel senso che ha una maggioranza relativa che, per poter governare, praticamente non le serve a niente. Ha bisogno, insomma, di mettere in piedi una Grosse koalition, appunto con l’SPD e, forse, con i Verdi. Attenzione, però: nel Paese hanno preso quota i partiti anti-sistema, spesso definiti un po’ genericamente ‘populisti’. Specie a Est, in Brandeburgo, Turingia e Sassonia, queste formazioni, di destra e di sinistra, hanno avuto un boom. Mettendo all’angolo, in primis, i socialdemocratici e arginando anche il possibile recupero dei centristi della CDU.
Ex Germania dell’est
Insomma, la Germania, specie l’ex DDR, sta diventando un caso-scuola da scienza politica. Anzi, da affidare ai raffinati interpreti della dinamica dei flussi elettorali e a coloro che studiano il processo di ‘fabbricazione del consenso’. Qui i problemi ‘di sistema’ (sociali ed economici) scatenati dai rivolgimenti geopolitici, non hanno trovato risposte adeguate da parte dei partiti tradizionali. Così è esplosa non solo l’estrema destra xenofoba di Alternative fur Deutschland, ma anche la formazione radicale di sinistra di BSW, ‘costola’ (ma sarebbe meglio dire ‘scheletro intero’) di Die Linke.
Quest’ultima ha avuto anch’essa una buona affermazione elettorale e si qualifica, comunque, per essere un partito che fa opposizione intransigente all’attuale blocco consociativo che governa la Germania. A Est, il blocco elettorale rappresentato da questi partiti anti-sistema supera in quasi tutte le aree il 50%. Ma questo non interessa Herr Merz il quale, infoiato da soldi e cannoni, è arrivato a dire trionfante: «La Germania è tornata!». Suona quasi come una sgradevole minaccia...
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