Relativamente al gigantesco progetto di riarmo avviato dalla Commissione europea, la paroletta che sta girando negli Stati della Ue è: “Buy European Made”, in sostanza: comprare armamenti dalle industrie europee. Una soluzione che però non piace molto al presidente Usa Trump che continua a minacciare i dazi e che dovrà fare i conti con le contraddizioni accumulatesi in questi decenni nell’ambito delle forniture militari in Europa.
La Commissione europea ha infatti proposto di contrarre prestiti per 150 miliardi di euro a carico del bilancio della Ue da destinare agli Stati membri per l’acquisto di armi. Ma nel suo intervento al Parlamento europeo, la Von der Leyen (in linea con il documento redatto da Draghi) ha affermato che “questi prestiti dovrebbero finanziare gli acquisti da parte dei produttori europei, per contribuire a rafforzare la nostra industria della difesa”.
Una scelta questa di forte rottura rispetto alla prassi consolidata dei Paesi europei Nato di acquistare armi soprattutto dagli Stati Uniti. Ma è anche una scelta che dovrà “sistemare il pregresso”.
Il Sole 24 Ore ci ricorda che, secondo i dati forniti dal Sipri (Stockholm International Peace Research Institute), le importazioni di armi da parte dei membri europei della Nato sono più che raddoppiate tra il 2015-19 e il 2020-24 (+105%) ma che sono gli Stati Uniti ad aver fornito il 64% di queste armi, una quota notevolmente maggiore rispetto al quinquennio 2015-19 (+52%).
Gli altri principali fornitori di armamenti agli stati europei della Nato sono Francia e Corea del Sud (con il 6,5% ciascuno), Germania (4,7%) e Israele (3,9%).
Pieter Wezeman, ricercatore senior del programma Sipri sui trasferimenti di armi sottolinea come il rapporto transatlantico di fornitura di armi abbia radici profonde. “Le importazioni dagli Stati Uniti sono aumentate e gli Stati europei della Nato hanno quasi 500 aerei da combattimento e molte altre armi ancora in ordine dagli Stati Uniti”.
In tale contesto, un recente report dell’Istituto Affari Internazionali indica le diverse opzioni che si vanno delineando nella Ue relativamente ai beneficiari del piano di riarmo europeo. “La grande maggioranza dei Paesi UE, oltre due terzi, sembra d’accordo in linea di principio nel partire dall’acquis normativo concordato per Edirpa, prevedendo che al massimo un terzo del valore dei sistemi cofinanziati con programmi Edip (European Defence Industrial Programme) provenga da fornitori extra-UE”, riporta il documento dello IAI.
“Dall’altro lato – prosegue il report – la Francia e alcuni altri stati membri hanno promosso finora l’ambizione di una più elevata autonomia strategica europea in questo ambito, cercando di alzare il più possibile l’asticella della percentuale di 'Buy European'”.
Il rapporto sottolinea però che “c’è una pressione dell’amministrazione Trump per acquistare equipaggiamenti americani e/o sistemi d’arma prodotti insieme ai partner statunitensi, che va gestita anche per salvaguardare la deterrenza e difesa collettiva in ambito Nato”.
Per l’Italia, come di consueto, la situazione è assai più intricata. Con la logica democristiana di tenere i piedi in tutte le scarpe possibili, oggi l’industria militare italiana si trova piuttosto compromessa in accordi di collaborazione con aziende extra Ue, ossia statunitensi, britanniche e norvegesi.
Il report segnala che come controindicazione per l’Italia ci sono “le partnership industriali con il Regno Unito; la presenza in Italia di imprese che fanno parte di grandi gruppi internazionali con base negli Stati Uniti; il fatto che i due principali gruppi industriali italiani, Leonardo e Fincantieri, hanno una loro significativa presenza industriale negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Norvegia”.
Il compromesso sarebbe dunque quello di destinare i due terzi dei finanziamenti per il riarmo e l’acquisto di armamenti alle industrie militari europee e un terzo a quelle statunitensi, britanniche ed extra Ue.
Insomma “piatto ricco mi ci ficco” e ce n’è per tutti. Ma per gli Stati europei questa chance del riarmo sembra essere “costituente” sul piano politico e vitale sul piano strategico e industriale, molto più che per gli USA, ed è questa la ragione per cui intendono continuare ad alimentare la guerra in Ucraina e mantenere una linea più guerrafondaia verso la Russia che gli stessi Stati Uniti.
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