La notizia da Riad indubbiamente c’è: è stato raggiunto un primo accordo “triangolare” tra Russia e Stati Uniti, che include anche l’Ucraina.
Il “formato” dei colloqui è un po’ insolito, certo, ma bisogna pur ricordare che dipende dal fatto che quel genio di Zelenskij aveva fatto approvare una legge che vieta a chiunque di trattare con Mosca. Anche a se stesso. E quindi – finché quella legge non verrà buttata nello scarico – l’unico modo di “trattare” è parlare con gli “americani”, farsi dare gli ordini e accettarli.
L’accordo è in cinque punti e, diciamo così, molto “light”, costellato di affermazioni che possono essere in qualsiasi momento smentite dagli avvenimenti sul terreno. La durata è di 30 giorni, rinnovabile in base al procedere del confronto tra le parti.
Ma un primo accordo c’è e questo dovrebbe aiutare ad andare avanti.
Il punto più importante per Kiev è l’impegno in base al quale le parti convengono di non colpire le rispettive installazioni energetiche, identificate in: raffinerie di petrolio, gasdotti e oleodotti (incluse le stazioni di pompaggio), infrastrutture elettriche (incluse centrali, sottostazioni, trasformatori e rete di distribuzione, centrali nucleari e dighe).
La situazione dell’infrastruttura energetica ucraina era ormai tale da non poter sopportare altri attacchi. Si deve inoltre notare la menzione delle “centrali nucleari”, visto che l’unica ad esser stata più volte attaccata è quella di Energodar-Zaporizha, occupata dai russi fin dall’inizio della guerra. Dovrebbe essere perciò scontato che ad attaccarla siano stati sempre gli ucraini, anche se secondo i media euro-atlantici erano i furbissimi russi che si bombardavano da soli...
Di complessa attuazione è il punto chiamato “silenzio in mare”, che dovrebbe portare alla cessazione delle ostilità nel Mar Nero, ripristinando la libertà di navigazione, la fine degli scambi di missili e droni in quell’area, il divieto di nascondere carichi militari a bordo di normali navi commerciali ed anche la possibilità di ispezionare i carichi.
Se si riuscirà a realizzarlo, la Russia potrebbe riprendere a commerciare i propri prodotti agricoli (grano, ecc.) anche verso il Mediterraneo, mentre fin qui l’ha fatto – con tragitti più lunghi – attraverso i canali asiatici.
Perché questo punto sia effettivamente funzionante c’è quello che nell’accordo viene chiamato “ripristinare l’accesso ai mercati mondiali dei prodotti agricoli e dei fertilizzanti russi”, e qui i problemi di “interpretazione” sono effettivamente numerosi.
Non ha infatti senso che navi carche di prodotti agricoli russi possano raggiungere porti occidentali ma poi non possano scaricare perché restano in piedi le “sanzioni” unilaterali statunitensi ed europee sul piano commerciale e finanziario.
Il che ha spinto i negoziatori di Mosca a chiedere che il “ripristino dell’accesso ai mercati” – per i soli prodotti agricoli, si badi bene – si traduca nel far cadere le sanzioni alla Rosselkhozbank e agli altri istituti russi che gestiscono il commercio alimentare internazionale. Di fatto, si tratterebbe di ricollegarle allo SWIFT (il sistema di pagamenti internazionali controllato dagli Usa), e far cadere le sanzioni a tutte le compagnie che producono o esportano prodotti alimentari.
Lo stesso andrebbe ovviamente fatto sul piano delle assicurazioni per le navi russe che trasportano prodotti alimentari (non per le petroliere, insomma...), nonché per le società che si occupano di manutenzione e rimessaggio delle navi. Infine, visto che il commercio dei prodotti agricoli comincia con la loro produzione, andrebbero rimosse anche le limitazioni all’importazione in Russia di macchinari agricoli, ecc.
Dalla soddisfazione di questi dettagli operativi – è inutile fare “dichiarazioni di principio” se poi non si traducono in atti concreti – dipenderà l’entrata in vigore del “silenzio in mare”. E lo staff statunitense sta ora esaminando ogni dettaglio.
Tanto è bastato a far gridare i guerrafondai contrari a qualsiasi accordo che “Putin sta solo prendendo tempo” e le solite giacularie sparate per bruciare le “trattative”.
Come si vede non si tratta di un accordo di grande portata. Il punto relativo alla cessazione di alcune sanzioni può però indicare che entrambi i “mostri” (Trump e Putin) si stanno muovendo non solo – o non tanto – per porre fine alla guerra in Ucraina, ma per mettere le basi di una relazione reciproca futura che non preveda la guerra nucleare come prossima tappa.
Nella sua precarietà e nei suoi evidenti limiti – nonché nell’incertezza sulla sua “tenuta” – si tratta di una buona notizia, se non altro per essere la prima volta da tre anni a questa parte che si lavora ad abbassare la temperatura dello scontro tra Occidente euro-atlantico e il resto del mondo (la Russia in questo caso, ma non è certo l’unico).
Non si capisce perché, dunque, gli altri “mostri” – quelli che si dicono “democratici ed europeisti”, ma che si vanno riarmando a tappe forzate (violando persino l’“undicesimo comandamento”: il freno al debito pubblico) – siano così infoiati da convocare un vertice per domani, a Parigi, che ha al centro “punti”, decisamente più preoccupanti su come dovranno articolarsi i “dispositivi di sicurezza” per l’Ucraina.
Dietro questa definizione “neutra” stanno i dettagli concreti dell’ipotizzato “contingente europeo” da spedire da quelle parti.
I leader “volenterosi” si stanno infatti esercitando su domande pericolosissime come: manderemo truppe in territorio ucraino o dentro i confini europei? E le supporteremo con aerei da guerra oppure no? E con quali regole d’ingaggio?
Rifiutano insomma di essere ormai completamente fuori dai giochi che contano e sfruttano Zelenskij – che da una parte invia una delegazione a Riad per obbedire agli Usa, dall’altra si presenterà a Parigi per chiedere “più armi e garanzie di sicurezza” sotto forma di altri impegni militari diretti – per sabotare il già complicato “processo di pace”, seminando terrore nelle popolazioni del Vecchio Continente.
Difficile dire chi siano i mostri peggiori...
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento