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15/03/2025

Automobili malvagie. Dai demoni alla tecnologia

Una volta, nell’immaginario cinematografico, le automobili che andavano da sole erano possedute dal demonio. Erano rivestite di una patina demonica, magica, fantastica. Adesso non è più così. Fino all’inizio degli anni Ottanta, un periodo di grande transizione verso la sfera del lusso e di un ‘privato’ sempre più tecnologizzato, il cinema ci mostrava auto che si muovevano da sole perché erano pervase di una oscura forza infernale.

In La macchina nera (The Car, 1977) di Elliot Silverstein, una misteriosa berlina nera miete vittime in una piccola cittadina dello Utah, in pieno deserto, uno spazio liminale e periferico. La macchina si muove da sola e gli abitanti sospettano che sia mossa da una forza infernale perché non riesce a entrare in un piccolo cimitero dove alcune persone si erano rifugiate per sfuggirle: certo, si tratta di una terra consacrata e il diavolo non ci può entrare.

Ugualmente manovrata da una forza demonica appare l’automobile protagonista di Christine, la macchina infernale (Christine, 1983) di John Carpenter, tratto dall’omonimo romanzo di Stephen King, uscito nello stesso anno. L’auto qui ha anche un nome, Christine, e si mostra perfidamente pronta ad eliminare chiunque si interponga fra lei e il suo proprietario, il timido e imbranato adolescente Arnie Cunningham. Anzi, dal momento in cui entra in possesso dell’auto, il giovane abbandona la sua mise da imbranato e appare più impetuoso e anche notevolmente più violento.

Insomma, l’auto diabolica sembra trasmettere il suo influsso negativo anche a chi vi si trova vicino. Una volta, nel cinema, il diavolo non si incarnava poi solo in micidiali automobili scorrazzanti alla ‘periferia dell’impero’, in luoghi isolati e lontani dal ‘centro’ (anche la storia del film di Carpenter si svolge infatti a Rockbridge, in California). Appariva invece anche nel cuore pulsante della metropoli: basti pensare a Rosemary’s Baby – Nastro rosso a New York (Rosemary’s Baby, 1968) di Roman Polanski, in cui si prepara la nascita del diavolo nel pieno centro di New York o a L’esorcista (The Exorcist, 1973) di William Friedkin, in cui le apparizioni demoniache avvengono nientemeno che a Georgetown, un quartiere di Washington, il cuore del potere politico e militare. Nonostante il mondo intorno si stesse tecnologizzando sempre di più, il diavolo continuava ad esistere e si metteva alla guida delle automobili. Se in un film una macchina si muoveva da sola, allora era mossa dal diavolo o, comunque, da una forza magica e demoniaca.

Adesso, le cose sono cambiate. Il diavolo non esiste più e tanto meno si mette alla guida delle automobili. Pensiamo al recente film Il mondo dietro di te (Leave the World Behind, 2023) di Sam Esmail: dopo un imprecisato e fantomatico attacco terroristico, alcuni sistemi connessi alla rete internet vengono hackerati tra cui anche il sistema di pilotaggio automatico di una petroliera, che si schianta contro una spiaggia, e la guida autonoma di innumerevoli automobili Tesla. La famiglia protagonista del film, nel tentativo di fuggire in auto, si imbatte in una fila di Tesla schiantatesi l’una contro l’altra e si trova bersagliata da altre Tesla che corrono all’impazzata lungo la strada. Se il marito, sceso dall’auto, nella desolazione che connota l’evento apocalittico che i personaggi si trovano a vivere, pensa di trovare qualcuno alla guida delle auto che stanno sopraggiungendo per chiedere informazioni, la moglie lo avverte che si tratta di auto la cui guida autonoma è impazzita e le fa correre come proiettili.

In Il mondo dietro di te, le auto che viaggiano da sole, senza nessuno alla guida, non sono certo mosse dal diavolo o da una forza oscura ma dal sistema di pilotaggio dell’intelligenza artificiale. Eppure, quando quest’ultimo impazzisce, si trasformano in armi non meno micidiali della “macchina nera” o di Christine. Nel 2023, quella che era l’oscura potenza demonica che muoveva le macchine infernali dei due precedenti film, si è ormai definitivamente trasformata in razionale intelligenza artificiale.

Il film Monolith (2017) di Ivan Silvestrini, progettato e realizzato insieme ad un omonimo graphic novel[1], mette in scena un’automobile ipertecnologica e blindata costruita per assicurare il massimo di comfort e sicurezza a chi l’utilizza e che, improvvisamente, si rivela ostile all’essere umano. Pensata come una sorta di eterotopia tecnologica, uno spazio autonomo chiuso al mondo esterno ed ai suoi pericoli, la possente automobile, quasi un tetro carro armato blindato dal colore nero opaco, si avvale del supporto dell’intelligenza artificiale (Lilith) che la governa eseguendo i desideri di chi la possiede, finisce per rivelarsi una prigione che intrappola tanto chi vi è restato chiuso all’interno, il figlioletto David (Nixon Hodges) di soli due anni, quanto chi ne è restato chiuso fuori, la giovane madre Sandra (Katrina Bowden) sulle strade del Great Salt Lake Desert nello Utah. In questo caso il disastro non può essere addebitato alla tecnologia dell’automobile, quanto piuttosto alle carenze  dell’umanità contemporanea: sino all’incidente la giovane madre si mostra infatti incapace di gestire il rapporto con il figlioletto, tanto che quest’ultimo si ostina a non chiamarla ‘mamma’. È la condotta maldestra di Sandra a mettere in pericolo il bambino e sé stessa, mentre, da parte sua, l’auto ipertecnologica non fa che agire meccanicamente palesando così come si riveli nefasto affidarsi ad una logica mancante di empatia per sopperire la mancanza di quest’ultima in ambito umano. La redenzione della madre, di fronte al pericolo a cui ha sottoposto il figlioletto, saprà ricondurre sulla retta via la condotta dell’automobile ipertecnologica.

Niente è più fantastico, demonico o magico: ciò che era demonica magia si è trasformato in tecnologia. Se nell’immaginario cinematografico degli anni Settanta o dei primi Ottanta una macchina che si muove da sola è dominata dal diavolo, negli anni Venti del nuovo millennio quella stessa macchina è dominata dall’intelligenza artificiale, da una connessione internet in preda a un attacco hacker o che, ‘semplicemente’ si limita ad agire priva di umanità. Quello che era mito e magia, una volta caduti sia il mito che la magia, si è trasformato in tecnologia. Il mito si è “tecnicizzato”, per dirla con Furio Jesi, e si è trasformato in una “religione della morte”, come nel periodo nazista[2]: quando cade il mito, quando la magia non ha più ragion d’essere e viene sostituita da qualcos’altro che pure continua a comportarsi come un simulacro di essa, c’è solo una tecnologia foriera di morte. Così è, infatti, la tecnologia impazzita che fa muovere le Tesla del film.

Le macchine infernali dei due precedenti lungometraggi horror, rispetto alle Tesla ed all’auto blindata di Monolith, sono come – per utilizzare un efficace paragone attuato da Franco Moretti – il vecchio fantasma del Castello di Otranto di Horace Walpole rispetto ai mostri ‘moderni’ Frankenstein e Dracula: “Di fronte a loro, il gigantesco fantasma del Castle of Otranto fa la figura di un nano: è confinato a un solo luogo; può manifestarsi una sola volta; è unicamente un ricordo del passato. Ristabilito l’ordine esso tace per sempre. I mostri moderni, invece, minacciano di vivere per sempre, e di conquistare il mondo: per questo non si può non ucciderli”[3]. Anche se, probabilmente, la forza demonica continua indissolubilmente a vivere anche dopo la distruzione delle due automobili, esse sono comunque limitate, come il vecchio fantasma old style: la “macchina nera”, infatti, non può entrare nel cimitero perché è terra consacrata, e rimane confinata al di fuori. Il monolite nero blindato privo di scrupoli umani e le Tesla impazzite, invece, possono andare dappertutto, solcare i quattro angoli del globo perché la tecnologia, la connessione internet e l’intelligenza artificiale, più o meno impazzite, più o meno rese autonome dall’umano, sono ormai dappertutto e, soprattutto, avviate a seguire una logica a noi incomprensibile[4].

Note

 [1] Al graphic novel pubblicato da Sergio Bonelli Editore hanno lavorato Roberto Recchioni, Mauro Uzzeo e Lorenzo “LRNZ” Ceccotti.

[2]  Cfr. F. Jesi, Letteratura e mito, Einaudi, Torino, 1968, p. 20.

[3]  F. Moretti, Dialettica della paura, in “Calibano”, 2, Il nuovo e il sempreuguale. Sulle forme letterarie di massa, Savelli, Roma, 1978, p. 79.

[4]  La tendenza presente nel cinema horror contemporaneo che tende ad incentrare le paure del web e sull’intelligenza artificiale è indagata da Emanuele Di Nicola, Nuovo cinema horror, Mimesis, Milano-Udine, 2024.

Fonte

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