Nella Francia conquistata dal Front
National è accaduto qualcosa di significativo, non solo dal punto
di vista simbolico ma persino materiale: dopo 1.336 giorni
di lotta, Davide, vale a dire 76 lavoratori della Fralib di Géménos,
in Provenza, ha sconfitto fragorosamente Golia, cioè la
multinazionale anglo-olandese dell’alimentazione Unilever.
La big company, che aveva deciso da un giorno all’altro di
delocalizzare la produzione del tè Lipton e delle tisane con il
marchio Elephant in Polonia, ha dovuto infatti arrendersi alla
resistenza operaia: pagherà 19,1 milioni di euro per i danni causati
dallo stop all’azienda, mentre i terreni e i macchinari, già
bloccati dalla municipalità di Marsiglia (un equivalente delle
nostre province, a guida socialista) al prezzo simbolico di un euro
e valutati altri sette milioni, saranno trasferiti alla nuova
cooperativa, messa in piedi dai lavoratori. In totale fanno oltre
26 milioni di euro, ai quali andrà sommato il sostegno della
multinazionale alla vendita dei prodotti della Fralib, almeno
nella prima fase.
Una notizia a dir poco inconsueta, di
questi tempi in Europa. È figlia di una lotta iniziata nel 2011,
quando la Unilever, proprietaria del marchio Lipton e di quello
Elephant (brand molto conosciuto Oltralpe), aveva deciso di chiudere
lo stabilimento francese e di trasferirsi armi e bagagli in
Polonia. I dipendenti avevano però occupato la fabbrica, impedendo
che i macchinari fossero smontati e che i locali fossero venduti
o, peggio, abbandonati. La lotta dell’«elefantino» aveva
immediatamente trovato il sostegno «militante» dei lavoratori
delle fabbriche dell’area industriale di Géménos, un comune di
seimila abitanti della Provenza. Si erano mobilitati in
centinaia, da venticinque aziende di settori diversi, ottenendo
l’appoggio del sindacato Cgt, nonché di associazioni e movimenti
locali. Tutti insieme avevano partecipato a scioperi e picchetti, e
avevano contribuito anche a presidiare lo stabilimento durante
l’occupazione. Anche la politica era stata costretta a muoversi: prima
che diventasse Presidente della Repubblica, Francois Hollande era
venuto alla Fralib a promettere che, in casi estremi, la fabbrica
sarebbe stata requisita dallo Stato. La battaglia dell’elefantino
(gli abbiamo dedicato una copertina di Alias) è proseguita
per tre anni e mezzo, tra minacce aziendali, tentativi di sgombero
con contractors privati addestrati nelle guerre balcaniche e
allettanti offerte economiche individuali per rompere il fronte
della protesta.
La resistenza della Fralib ha fatto il giro del mondo, al punto che, alla fine di gennaio, nelle campagne provenzali sono arrivati lavoratori recuperati da tutta Europa
per organizzare una rete fra loro. L’ultima arma nelle mani degli
operai è stata la campagna di boicottaggio dei prodotti della
Unilever, che ha preso piede in men che non si dica. Probabilmente è
stata quest’ultima a convincere la multinazionale che il danno
d’immagine rischiava di essere più pesante della resa a Géménos.
«Tutti ci dicevano che eravamo pazzi a scagliarci contro dei miliardari, ma la nostra follia alla fine ha pagato»,
ha commentato un lavoratore. Già si pensa a come ripartire. Gli
operai hanno costituito una cooperativa che si chiama Thé et
infuses e stretto accordi con produttori locali di erbe
biologiche. Non si useranno più aromi artificiali e additivi
chimici con i quali l’azienda aveva sostituito i prodotti locali
naturali per risparmiare sui costi e che alla Fralib conservano
ancora in un capannone, ma la produzione sarà di grande qualità: le
tisane al tiglio, gli infusi alla lavanda provenzale, il mate. Gli
operai ricapitalizzeranno la società investendo parte della
liquidazione, mentre i soldi della Unilever serviranno a
finanziare la formazione dei lavoratori e una ricerca di mercato.
La multinazionale aiuterà anche la nuova società a muovere i primi
passi sul mercato. È una vittoria su tutta la linea, per
l’elefantino imbizzarrito della Provenza, in cui ognuno ha fatto la
sua parte: la solidarietà operaia innanzitutto (estesa anche al di
fuori della Fralib, come abbiamo visto), le organizzazioni che hanno
aderito alla campagna di boicottaggio (in primis l’Associazione
per l’autogestione che ha organizzato il meeting delle fabbriche
recuperate), il sindacato Cgt e il Front de Gauche. Infine, le
istituzioni: per costringere la Unilever all’accordo sono dovuti
scendere in campo Hollande e il ministro del Lavoro Arnauld
Montebourg.
Rimane ancora aperta la questione del
logo: i lavoratori Unilever vorrebbero che l’elefantino rimanesse
di loro proprietà, perché «marchio regionale tipico» e in quanto
tale non delocalizzabile. Una faccenda di non poco conto, sia per
la nuova impresa, che potrebbe appoggiarsi a un brand riconosciuto,
che dal punto di vista giuridico: se i giudici dovessero
riconsegnare l’elefantino ai lavoratori la vittoria sarebbe totale
e cambierebbe lo statuto giuridico della proprietà privata nel
continente. Ma l’impressione è che su questo punto i lavoratori
della Fralib siano stati costretti a cedere.
Ora i «fralibiens», come vengono
definiti in Francia, annunciano che a fine giugno a Géménos ci sarà
una grande festa per celebrare l’inizio di una nuova storia. Poi
dedicheranno una giornata alla presentazione dei nuovi prodotti.
Non più «da fabbrica in lotta», come recitava il logo provvisorio che si erano inventati durante l’occupazione, ma stavolta «da fabbrica recuperata».
Angelo Mastrandrea
tratto da il Manifesto del 16 giugno 2014
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