da http://ilmanifesto.info
Intervista all'economista che
denuncia la «precarietà espansiva»: «L’accordo con Merkel la
peggiorerà». «Basterebbe guardare i dati dell’Ocse e del Fondo monetario
internazionale per capire che non basta una debole mediazione sui
parametri europei». Sul referendum no Fiscal Compact: «Sentiero
impervio, ma può accelerare le contraddizioni in un quadro europeo
insostenibile»
Emiliano Brancaccio, docente di economia politica all'università del Sannio |
Flessibilità nel rigore. A questo
risultato è giunto l’accordo tra Renzi e Merkel a Bruxelles. In
realtà riguarda i soli cofinaziamenti nazionali ai fondi Ue esclusi
dal conteggio del deficit e poco altro. Nulla del fiscal compact,
né dell’austerità, sembra essere stato toccato. All’economista
Emiliano Brancaccio chiediamo se Renzi è riuscito a trasformare
il bastone del rigore nella carota dell’austerità flessibile.
«Renzi sta solo cercando di rinviare le scadenze e non si azzarda a toccare le regole - risponde Brancaccio - Durante la campagna delle primarie aveva più volte evocato la possibilità di cambiare i trattati. Ora si limita a chiedere un’austerità un po’ più “flessibile”. In sostanza, la trattativa verte su un mero rinvio di un anno o due degli obiettivi di pareggio del bilancio. Che la richiesta venga accolta è da verificare, visto che Commissione Ue ed Ecofin risultano tutt’ora ostili. Ma anche ammesso che Renzi riesca a spuntarla, otterrebbe solo un margine in più per il deficit di 0,2 punti percentuali. Una conquista risibile rispetto alla gravità della situazione».
«Renzi sta solo cercando di rinviare le scadenze e non si azzarda a toccare le regole - risponde Brancaccio - Durante la campagna delle primarie aveva più volte evocato la possibilità di cambiare i trattati. Ora si limita a chiedere un’austerità un po’ più “flessibile”. In sostanza, la trattativa verte su un mero rinvio di un anno o due degli obiettivi di pareggio del bilancio. Che la richiesta venga accolta è da verificare, visto che Commissione Ue ed Ecofin risultano tutt’ora ostili. Ma anche ammesso che Renzi riesca a spuntarla, otterrebbe solo un margine in più per il deficit di 0,2 punti percentuali. Una conquista risibile rispetto alla gravità della situazione».
Il premier allora torna da Bruxelles con un successo o con un’illusione?
Nel corso di questi
anni abbiamo registrato una progressiva divaricazione tra le
narrazioni politiche e la realtà dei fatti. Lo dimostrano gli
errori sistematici commessi dalla stessa Commissione Ue sulle
previsioni dell’andamento del Pil nell’Eurozona: nel caso dell’Italia
sono stati anche superiori ai tre punti percentuali. La mia
sensazione è che Renzi stia addirittura accentuando questo iato,
anziché dare un contributo per rendere le parole della politica un
po’ piu in linea con i processi reali.
La crescita è una speranza fondata per il 2014?
Per dare un’idea di
quanto sia improbabile, basta notare che gli obiettivi di bilancio
dell’esecutivo sono stati fissati sulla base di una crescita dello
0,8% nel 2014. Questa previsione è già smentita dagli ultimi dati.
Nel momento in cui ci renderemo conto che l’andamento effettivo del
Pil è peggiore del previsto, anche quel po’ di margine sul deficit
chiesto da Renzi verrà bruciato.
A Bruxelles sembra
essere passata l’idea che l’ammorbidimento del rigore fiscale avverrà
man mano che la Commissione Ue riscontrerà il grado di avanzamento
delle «riforme». Di quali riforme si tratta e quale modello sociale ed
economico disegnano?
In realtà non
è nemmeno detto che questa idea sia passata. Al momento c’è solo una
generica dichiarazione di apertura da parte della Merkel. Ma nero
su bianco abbiamo due documenti della Commissione Ue e dell’Ecofin
che si muovono in direzione opposta rispetto a quanto auspicato da
Renzi. Per quanto il premier chieda briciole, la trattativa per
ottenerle si annuncia comunque difficile. In cambio, oltretutto,
il governo farà riforme che rispondono a due tipologie. La prima
è relativa all’assetto istituzionale: accrescimento ulteriore del
potere dell’esecutivo in nome della decantata governabilità. È un
processo che implica un’erosione ulteriore dei margini di esercizio
della democrazia.
E la seconda riforma?
È una vecchia
conoscenza: flessibilità del mercato del lavoro. Dopo il
fallimento della dottrina della “austerità espansiva”, cioè della
idea per cui l’austerità avrebbe garantito la ripresa economica, ora
si punta su altre dosi di precarizzazione dei contratti di lavoro.
Nel «monito degli economisti» pubblicato sul Financial Times
nel 2013, promosso con Riccardo Realfonzo, annunciavate che
l’Europa sarebbe passata dall’austerità espansiva alla precarietà
espansiva. Di cosa si tratta?
La previsione
è confermata. Ci dicono che la nuova onda di precarizzazione del
lavoro porterà crescita dell’occupazione. Ma per capire davvero dove
porterà la riforma Poletti basta guardare i dati dell’Ocse e dell’Fmi:
non vi è nessuna conferma della tesi per cui più precarietà
determina più occupazione. Se è vero che i contratti flessibili
inducono le imprese ad assumere un po’ di più nelle fasi di
espansione economica, è altrettanto vero che questi contratti
permettono alle imprese di distruggere quegli stessi posti di lavoro
nella recessione. L’effetto netto di queste politiche è zero.
Eppure il ministro Padoan, che viene dall’Ocse e conosce questi
risultati, insiste con la fantasia secondo cui la
precarizzazione accresce l’occupazione. Siamo di nuovo in presenza
di uno scarto tra narrazione e realtà.
Se la crescita non c’è che cosa accadrà nei prossimi mille giorni del governo?
Quello che si è già
verificato negli ultimi anni. Ancora una volta, rileveremo una
distanza tra obiettivi e risultati, sia dal punto di vista del
deficit pubblico che da quello della crescita economica
e dell’occupazione. L’auspicio di Renzi, secondo il quale si può agire
nell’attuale quadro istituzionale europeo per uscire dalla crisi,
andrà a sbattere contro il muro dei fatti.
Sembra ormai
escluso un processo di riscrittura dei trattati europei, come anche
una revisione del ruolo della Bce. Quale sarà il futuro economico
e sociale dell’Europa meridionale nei prossimi cinque anni?
Questi paesi hanno
perso negli ultimi sei anni di crisi oltre 6 milioni di posti di lavoro.
In Germania c’è stato invece un aumento di 1,5 milioni di unità.
Queste divaricazioni delineano un processo di
«mezzogiornificazione» europea, che riproduce su scala
continentale il tremendo dualismo economico che ha
condizionato i rapporti tra Nord e Sud Italia. In questo
scenario prevedo nuovi successi per i movimenti reazionari
e xenofobi. Temo che i risultati delle elezioni europee siano solo
l’inizio di un lungo ciclo politico, in cui ci troveremo nella
tenaglia di due tipologie di destre: una europeista
e tecnocratica nella quale si inserisce anche l’attuale compagine
che sostiene il governo italiano; l’altra ultranazionalista
e potenzialmente neo-fascista, come il Fronte nazionale in Francia.
Quello che più spaventa è che il lavoro e le sue residue
rappresentanze sembrano paralizzate e silenti, in modo analogo
a quanto già accaduto nei momenti più cupi della storia europea.
Il 3 luglio parte la raccolta firme sul referendum contro il Fiscal Compact. Cosa ne pensa?
Sul piano
tecnico-giuridico l’iniziativa si muove lungo un sentiero impervio.
Sul piano politico, se venisse interpretata con la necessaria
radicalità, potrebbe aiutare ad accelerare le contraddizioni di
un quadro europeo che in prospettiva resta insostenibile.
28 giugno 2014
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