Mentre il segretario di Stato statunitense Kerry si presentava a
Baghdad per discutere dell’avanzata islamista e a Sud di Baghdad un
convoglio veniva preso d’assalto e 23 detenuti venivano uccisi,
dall’altra parte del confine si concretizzava la minaccia qaedista di
creazione di un califfato sunnita a cavallo tra Iraq e Siria. Ieri
i villaggi di Eksar e Maatal, nella provincia siriana di Aleppo, hanno
assistito al passaggio dei miliziani del Siil (Stato Islamico dell’Iraq e
del Levante) a bordo di Humvees, veicoli militari statunitensi presi in
Iraq durante l’attacco alle caserme e alle basi militari dell’esercito
governativo.
A preoccupare non è solo la facilità con cui i miliziani hanno potuto
approfittare della disfatta delle truppe irachene e portare al di là
della frontiera armamenti e mezzi militari presi in Iraq. A spaventare è
anche il ritorno nei due villaggi, da cui il Siil era stato allontanato
dopo l’inizio della faida interna alle opposizioni islamiste
anti-Assad.
In Iraq intanto prosegue l’avanzata jihadista, apparentemente senza freni: sabato
il Siil ha preso la città di confine Al Qaim e quella di Rawah, nella
provincia sunnita di Anbar, tra Mosul e la Siria. Conquiste che regalano
alle milizie islamiste un altro risultato fondamentale per il
rafforzamento delle proprie posizioni: Al Qaim, città a nord di
Baghdad, si trova a pochi chilometri dalla frontiera siriana, un punto
strategico che permette al Siil di assumere il totale controllo della
frontiera e, quindi, il passaggio di armi e miliziani. I risultati si
sono visti ieri, con gli Humvees iracheni in marcia ad Aleppo.
Dopo Al Qaim e Rawah, a cadere nelle mani qaediste è stata anche la
comunità di Ana: in due giorni di violenze per la presa della città,
almeno 21 leader locali sono stati uccisi, mentre l’esercito iracheno
batteva in ritirata. Alla disfatta delle truppe regolari rispondono i civili sciiti e i miliziani di Moqdata al Sadr,
leader religioso che guidò durante l’occupazione statunitense il suo
personale Esercito Al-Madhi in azioni contro i soldati Usa. Secondo dati
forniti dai governatori di dieci province irachene, sarebbero già due
milioni i volontari che si sono presentati nei centri di reclutamento
governativi.
Molti di loro – circa 20mila – hanno marciato venerdì e sabato nel
quartiere di Baghdad, Sadr City, simbolo della comunità sciita e della
resistenza anti-statunitense, e in altri centri in tutto il paese: uniformi
e fucili in spalla, gli sciiti hanno camminato accompagnati da slogan
pro-al Sadr e dal missile Moqdata 1, ribattezzato così in onore del
religioso sciita. Sembra che al Sadr non abbia ancora
ufficialmente schierato i suoi miliziani, ma il suo ritorno preoccupa
non poco l’avversario politico, il premier Nouri Al Maliki. Dietro il
tentativo di riorganizzare militarmente la componente sciita e le
neonate “Brigate della Pace” c’è proprio Moqdata Al-Sadr: fattosi
da parte alle elezioni parlamentari di fine marzo, con un annuncio che
sorprese i suoi stessi fedelissimi, coglie oggi al balzo l’occasione di
rimpiazzare il nemico Maliki.
Un’opzione che spaventa anche gli Stati Uniti, impegnati in questi
giorni in pressioni più o meno palesi su Maliki perché si faccia da
parte e permetta la creazione di un governo di unità nazionale, che
coinvolga sciiti, sunniti e curdi. Per ora il presidente Obama ha
lasciato in un angolo l’opzione dei bombardamenti con i droni e, accanto
ai 300 consiglieri militari, ha inviato a Baghdad il suo segretario di
Stato. Kerry è arrivato oggi in Iraq, dove incontrerà a breve il primo ministro e i leader sunniti e curdi.
Ieri aveva incontrato i governi egiziano e giordano, nel tentativo di
coinvolgerli nella transizione e nel timore che, dopo Siria e Iraq, il
contagio qaedista possa attecchire anche in Giordania. Dopo Baghdad,
volerà a Bruxelles per un incontro con i ministri degli Esteri della
NATO e quelli della UE.
Washington cerca sostegno per uscire dalle sabbie mobili irachene,
prodotto della strategia Usa prima e dopo la caduta di Saddam Hussein. L’invasione
dell’Iraq e la deposizione di un leader che aveva saputo tenere insieme
con il pugno di ferro le diverse comunità religiose e etniche irachene
hanno provocato il disfacimento dell’identità interna, un
focolaio di settarismi religiosi e politici e la divisione – ormai quasi
fisica – del Paese in tre: curdi a Nord, sciiti a Baghdad e a Sud e
islamisti sunniti a Nord Ovest e Nord Est.
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