Le elezioni, soprattutto se dipinte come un reale confronto democratico, sono la perfetta maschera dietro la quale nascondere una rioccupazione del potere locale tramite un presidente fantoccio disposto ad accondiscendere i voleri occidentali o di altri padrini. Questi sul versante economico possono essere i cinesi, su quello geostrategico locale pakistani e iraniani. Dietro la recita elettorale sono tuttora in corso accordi che produrranno, chiunque risulterà vincitore, interessi per vari attori internazionali e locali fino ai gruppi minori che praticano i propri affari appoggiandosi ai Signori della guerra. In tal senso c’è da pensare che lo stesso allarme lanciato da Abdullah non sia nient’altro che un riflesso condizionato da comportamenti diffusi e reiterati di cui ogni componente diventa, secondo il caso, usurpatore o vittima. Il bisogno di ristabilire l’equilibrio attraverso l’allontanamento di Amarkhail dal ruolo di supervisore della macchina elettorale assume i contorni del doppismo proprio leggendo le valutazioni d’un organismo delle Nazioni Unite, l’United Nation Asssistence Mission in Afghanistan, che in certi casi lavora con serietà denunciando storture. L’Unama ritiene “la direzione del capo della segreteria elettorale capace e anche più avanzata di quanto previsto”. Eppure il reprobo viene dismesso nella speranza che la farsa sia più credibile.
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