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19/03/2015

Netanyahu è Israele

di Michele Giorgio – Il Manifesto

Il grande sconfitto Yitzhak Herzog, leader laburista e della lista Campo Sionista, promette, «solennemente», che un giorno in Israele arriverà il «cambiamento». Ora però Israele è con Benyamin Netanyahu e Netanyahu è Israele. La vittoria schiacciante – un vero e proprio referendum sulla sua persona – ottenuta due giorni fa dal primo ministro, dice in modo inequivocabile che gran parte di Israele si identifica con lui e la destra radicale. Crede alle sue idee, Israele contro tutto e tutti, che non esita a farla pagare cara ai suoi nemici e a punire gli alleati che dissentono troppo, come il presidente Barack Obama, umiliato a casa sua dal discorso pronunciato il 3 marzo da Netanyahu davanti al Congresso contro l’accordo sul programma nucleare iraniano che gli Usa stanno negoziando con Tehran. A Netanyahu per vincere le elezioni è bastato lanciare l’allerta sul «pericolo palestinese», sugli insidiosi arabo israeliani che martedì, fatto “gravissimo”, andavano alle urne in gran numero, e sul centro sinistra «che mette a rischio la sicurezza di Israele». per ritrovarsi dietro più della metà dell’elettorato. È stato sufficiente dire di no allo Stato di Palestina e annunciare una colonizzazione incessante a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, per portare dalla sua parte tanti coloni e sostenitori dell’ultradestra. Il distacco inflitto ai principali avversari, 29 seggi per il Likud e 24 per Campo Sionista, è frutto del fiuto politico del premier.

Case troppo care e insufficienti, affitti elevati, carovita, famiglie indebitate e che non arrivano alla fine del mese. Netanyahu su questi temi le elezioni le aveva davvero perdute, i sondaggi precedenti al voto non ci hanno raccontato una realtà virtuale. Fino a una settimana fa Netanyahu era sconfitto. Poi ha pronunciato la parola magica: sicurezza. E ha vinto. Il caso del “progressista” David Grossman spiega come funziona in Israele la costruzione del consenso. Grossman passa la vita tra carte, libri e la tastiera del computer e non sa nulla di centrifughe, arricchimento dell’uranio e di plutonio. Eppure qualche giorno fa non ha esitato ad affermare con determinazione che è vero quello che dice Netanyahu: l’Iran si sta costruendo la bomba atomica. Sebbene queste affermazioni siano in forte contrasto con quello che spiegano il generale Uzi Eilam, ex capo dell’agenzia israeliana per l’energia atomica, e tanti altri comandanti militari e dei servizi di sicurezza. L’ex capo del Mossad, Meir Dagan, che pure ha inviato i suoi agenti a Tehran ad ammazzare non pochi ingegneri nucleari iraniani, denuncia l’allarmismo di Netanyahu, smentisce le teorie del primo ministro che ritiene propaganda politica. Eppure lo scrittore pacifista Grossman non ha dubbi: Netanyahu ha ragione, l’Iran è sul punto di assemblare ordigni atomici e l’accordo internazionale va impedito. 

Sicurezza nazionale e politica, un connubio micidiale che ha regalato il trionfo a Netanyahu e inflitto una sconfitta umiliante a Herzog e alla sua alleata Tzipi Livni, ha ridimensionato le ambizioni dei centristi Yair Lapid (Yesh Atid) e Moshe Kahlon (Kalanu) e ha quasi fatto sparire il Meretz, la sinistra sionista. Netanyahu Tel Aviv non è riuscito a conquistarla ma è andato giù come una valanga a Gerusalemme, perenne feudo della destra e dei religiosi, dove il Likud si è aggiudicato il 24 per cento dei voti lasciando un altro 48 per cento a quattro liste confessionali ideologicamente alleate. Nelle periferie di Israele e nelle colonie la destra ha dilagato sotto la spinta degli appelli lanciati dal premier. Ad Ariel, il secondo più grande insediamento colonico in Cisgiordania, il Likud ha rastrellato metà dei voti. Risultati molto simili si sono registrati in un’altra colonia, la più grande, Maaleh Adumim. Interessante il dato elettorale del sud di Israele. Nei centri urbani ha dominato il Likud. Invece i kibbutz adiacenti a Gaza, che pure erano stati la scorsa estate tra i bersagli dei razzi lanciati dalla Striscia in risposta ai bombardamenti israeliani, hanno dato gran parte dei loro voti a Campo Sionista e, in misura minore, a Yesh Atid e al Meretz. Scontate le percentuali bassissime ottenute dal Likud a Nazareth, Umm al Fahem e negli altri centri abitati arabo israeliani, dove la minoranza palestinese ha votato in massa per la Lista Araba Unita. I partiti arabi sul filo di lana ha ottenuto un 14esimo seggio, cogliendo un successo senza precedenti che l’ha portata a diventare il terzo gruppo alla Knesset (ci sono altri 4 deputati arabi ma sono stati eletti in liste diverse). Voti che rappresentanto una risposta alle discriminazioni e un rifiuto delle politiche, della destra e non solo, verso i cittadini arabi.

I riflessi regionali ed internazionali della vittoria elettorale di Benyamin Netanyahu sono stati immediati. Tra le prime reazioni c’è, naturalmente, quella dell’Amministrazione Obama. Il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha detto che alla luce dell’esito delle legislative in Israele, gli Stati Uniti valuteranno la strada da seguire per portare avanti il processo di pace in Medio Oriente. Washington insiste nonostante Netanyahu abbia dichiarato la sua totale opposizione alla nascita di uno Stato palestinese, annullando in un colpo solo la soluzione dei “Due Stati”, Israele e Palestina, pilastro per anni del negoziato mediato dagli americani. Tra la Casa Bianca e il primo ministro israeliano è sempre gelo. Obama ieri sera non si era ancora congratulato con Netanyahu. Fanno sentire la loro voce anche le Nazioni Unite attraverso il Segretario Generale Ban Ki moon secondo il quale solo l’adesione al processo di pace garantirà che Israele resti una democrazia in futuro. Netanyahu non ha risposto. Ha preferito ribadire che in 2-3 settimane formerà il suo nuovo governo con i partiti nazionalisti e religiosi, un vero e proprio “gabinetto di guerra”.

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