di Michele Giorgio – Il Manifesto
Il grande sconfitto Yitzhak Herzog, leader laburista e della lista Campo Sionista, promette, «solennemente», che un giorno in Israele arriverà il «cambiamento». Ora però Israele è con Benyamin Netanyahu e Netanyahu è Israele. La vittoria schiacciante – un vero e proprio referendum sulla sua persona – ottenuta due giorni fa dal primo ministro, dice in modo inequivocabile che gran parte di Israele si identifica con lui e la destra radicale. Crede alle sue idee, Israele
contro tutto e tutti, che non esita a farla pagare cara ai suoi nemici e
a punire gli alleati che dissentono troppo, come il presidente Barack
Obama, umiliato a casa sua dal discorso pronunciato il 3 marzo da
Netanyahu davanti al Congresso contro l’accordo sul programma nucleare
iraniano che gli Usa stanno negoziando con Tehran. A Netanyahu per vincere le elezioni è
bastato lanciare l’allerta sul «pericolo palestinese», sugli insidiosi
arabo israeliani che martedì, fatto “gravissimo”, andavano alle urne in
gran numero, e sul centro sinistra «che mette a rischio la sicurezza di
Israele». per ritrovarsi dietro più della metà dell’elettorato. È stato sufficiente dire di no allo Stato di Palestina
e annunciare una colonizzazione incessante a Gerusalemme Est e in
Cisgiordania, per portare dalla sua parte tanti coloni e sostenitori
dell’ultradestra. Il distacco inflitto ai principali avversari, 29 seggi
per il Likud e 24 per Campo Sionista, è frutto del fiuto politico del
premier.
Case troppo care e insufficienti, affitti elevati, carovita, famiglie
indebitate e che non arrivano alla fine del mese. Netanyahu su questi
temi le elezioni le aveva davvero perdute, i sondaggi precedenti al voto
non ci hanno raccontato una realtà virtuale. Fino a una settimana fa Netanyahu era sconfitto. Poi ha pronunciato la parola magica: sicurezza. E ha vinto. Il caso del “progressista” David Grossman
spiega come funziona in Israele la costruzione del consenso. Grossman
passa la vita tra carte, libri e la tastiera del computer e non sa nulla
di centrifughe, arricchimento dell’uranio e di plutonio. Eppure
qualche giorno fa non ha esitato ad affermare con determinazione che è
vero quello che dice Netanyahu: l’Iran si sta costruendo la bomba
atomica. Sebbene queste affermazioni siano in forte contrasto
con quello che spiegano il generale Uzi Eilam, ex capo dell’agenzia
israeliana per l’energia atomica, e tanti altri comandanti militari e
dei servizi di sicurezza. L’ex capo del Mossad, Meir Dagan, che pure ha
inviato i suoi agenti a Tehran ad ammazzare non pochi ingegneri nucleari
iraniani, denuncia l’allarmismo di Netanyahu, smentisce le teorie del
primo ministro che ritiene propaganda politica. Eppure lo
scrittore pacifista Grossman non ha dubbi: Netanyahu ha ragione, l’Iran è
sul punto di assemblare ordigni atomici e l’accordo internazionale va
impedito.
Sicurezza nazionale e politica, un connubio micidiale che ha
regalato il trionfo a Netanyahu e inflitto una sconfitta umiliante a
Herzog e alla sua alleata Tzipi Livni, ha ridimensionato le ambizioni
dei centristi Yair Lapid (Yesh Atid) e Moshe Kahlon (Kalanu) e ha quasi
fatto sparire il Meretz, la sinistra sionista. Netanyahu Tel
Aviv non è riuscito a conquistarla ma è andato giù come una valanga a
Gerusalemme, perenne feudo della destra e dei religiosi, dove il Likud
si è aggiudicato il 24 per cento dei voti lasciando un altro 48 per
cento a quattro liste confessionali ideologicamente alleate. Nelle periferie di Israele e nelle colonie la destra ha dilagato sotto la spinta degli appelli lanciati dal premier. Ad Ariel,
il secondo più grande insediamento colonico in Cisgiordania, il Likud
ha rastrellato metà dei voti. Risultati molto simili si sono registrati
in un’altra colonia, la più grande, Maaleh Adumim.
Interessante il dato elettorale del sud di Israele. Nei centri urbani ha
dominato il Likud. Invece i kibbutz adiacenti a Gaza, che pure erano
stati la scorsa estate tra i bersagli dei razzi lanciati dalla Striscia
in risposta ai bombardamenti israeliani, hanno dato gran parte dei loro
voti a Campo Sionista e, in misura minore, a Yesh Atid e al Meretz.
Scontate le percentuali bassissime ottenute dal Likud a Nazareth, Umm
al Fahem e negli altri centri abitati arabo israeliani, dove la
minoranza palestinese ha votato in massa per la Lista Araba Unita.
I partiti arabi sul filo di lana ha ottenuto un 14esimo seggio,
cogliendo un successo senza precedenti che l’ha portata a diventare il
terzo gruppo alla Knesset (ci sono altri 4 deputati arabi ma sono stati
eletti in liste diverse). Voti che rappresentanto una risposta
alle discriminazioni e un rifiuto delle politiche, della destra e non
solo, verso i cittadini arabi.
I riflessi regionali ed internazionali della vittoria elettorale di Benyamin Netanyahu sono stati immediati.
Tra le prime reazioni c’è, naturalmente, quella dell’Amministrazione
Obama. Il portavoce della Casa Bianca, Josh Earnest, ha detto che alla
luce dell’esito delle legislative in Israele, gli Stati Uniti
valuteranno la strada da seguire per portare avanti il processo di pace
in Medio Oriente. Washington insiste nonostante Netanyahu abbia
dichiarato la sua totale opposizione alla nascita di uno Stato
palestinese, annullando in un colpo solo la soluzione dei “Due Stati”,
Israele e Palestina, pilastro per anni del negoziato mediato dagli
americani. Tra la Casa Bianca e il primo ministro israeliano è sempre gelo.
Obama ieri sera non si era ancora congratulato con Netanyahu. Fanno
sentire la loro voce anche le Nazioni Unite attraverso il Segretario
Generale Ban Ki moon secondo il quale solo l’adesione al processo di
pace garantirà che Israele resti una democrazia in futuro. Netanyahu non
ha risposto. Ha preferito ribadire che in 2-3 settimane formerà il suo
nuovo governo con i partiti nazionalisti e religiosi, un vero e proprio
“gabinetto di guerra”.
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