L’attività si era fatta frenetica
durante l’ultimo round di colloqui, tra chi trapelava ottimismo per la
fase a cui erano giunti i negoziati e chi, da dietro le quinte,
ammetteva che i nodi principali non erano ancora stati sciolti del
tutto. Sembrava che alla fine l’Iran avesse osato il pugno di ferro,
impuntandosi su alcuni dettagli quali il rifiuto di trasportare fuori
dal paese gli stock di uranio arricchito, dettagli fondamentali per la
comunità internazionale allarmata dai continui moniti di Israele e del
Congresso Usa sulla pericolosità di Teheran e la sua volontà di
costruire una presunta bomba atomica.
Soddisfatta a metà la Repubblica
islamica che ha ceduto due terzi delle sue centrifughe in cambio
dell’allentamento delle sanzioni: delle 19 mila attualmente in funzione,
ne rimarranno infatti solo 6 mila. Teheran perderà anche un reattore
per il plutonio e dovrà autorizzare regolari ispezioni dell’Aiea alle
sue centrali. L’allentamento immediato delle sanzioni, su cui Teheran si
era impuntata fino agli ultimi istanti, avverrà invece in modo
graduale: quelle Usa, quelle dell’Unione Europea ma soprattutto quelle
del Consiglio di Sicurezza dell’Onu.
Soddisfatta a metà anche l’amministrazione Obama,
che è riuscita a incassare un negoziato con l’Iran nel bel mezzo di una
più ampia offensiva anti-sciita portata avanti dalle monarchie sunnite
del Golfo e dai loro alleati, Egitto e Israele, tra ambiguità
diplomatiche nei confronti di Teheran (sostegno all’offensiva guidata da
Riyadh contro l’Iran in Yemen) e collaborazione forzata sul campo (in
Iraq contro l’Isis). Il più grande successo diplomatico di
Obama, che ora dovrà iniziare una nuova battaglia contro Israele e il
Congresso che, alleati, osteggiano il negoziato e le mosse dei
democratici da un anno e mezzo. Washington, infatti, nonostante
si fosse impuntata anche lei in fase finale su una serie di misure
limitative al programma nucleare iraniano che accontentassero i critici
dell’accordo, ha dovuto rinunciare e venire incontro a Teheran.
Molte sono le clausole e i dettagli ancora da discutere prima di apporre la firma finale:
la data limite per la chiusura del negoziato è fissata al 30 giugno, e
saranno mesi in cui le delegazioni dovranno discutere meticolosamente su
ogni punto. L’accordo di massima c’è, e durerà 10 anni (non 15, come
voleva Washington), ma la battaglia promette di continuare. Per ora il
Congresso Usa, che dovrà votare per l’allentamento delle
sanzioni e che aveva promesso nuove misure punitive se l’accordo quadro
non fosse stato raggiunto per tempo, non si è ancora
sbilanciato: il senatore repubblicano Bob Corker, presidente della
Commissione Affari Esteri del Senato si è limitato a dire che “è presto
per capire se l’accordo è abbastanza forte da fermare le ambizioni
nucleari iraniane”.
Soddisfatta invece l’Onu, per un accordo quadro che, a detta del segretario generale Ban Ki-Moon, “prepara la strada per un accordo comprensivo storico”. “L’accordo comprensivo – ha fatto sapere il segretario generale tramite un suo portavoce – porterà dei limiti sostanziali al programma nucleare iraniano ma anche all’allentamento delle sanzioni. Rispetterà i bisogni e i diritti di Teheran assicurando alla comunità internazionale che le sue attività nucleari rimarranno solo pacifiche”. Teheran, seppur con meno garanzie e privacy, ne esce con dignità: quel diritto al nucleare che solo una parte di mondo si arroga di avere, se l’è guadagnato.
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