“Avete votato per il cambiamento e adesso il cambiamento è arrivato”. Con queste parole il neo presidente nigeriano, Muhammadu Buhari (53,9 % delle preferenze), ha accolto la vittoria nella sede del suo partito, l’All Progressive Congress
(Apc), nella capitale Abuja. Politico di lungo corso, noto per la sua
lotta alla corruzione, ha già guidato la Nigeria sotto il regime
militare negli anni Ottanta. Ha promesso alla Nigeria sviluppo
economico, lavoro, pulizia della macchina statale.
Oggi la commissione elettorale ha ufficializzato la sua elezione contro il presidente uscente Goodluck Jonathan (44,9%), del Partito Democratico Popolare nigeriano
alla guida del paese dal 1999, che si è congratulato con lui e ha
esortato i suoi seguaci ad accettare il verdetto delle urne. Il timore
di violenze ha segnato l’intera tornata elettorale. Nel 2011 morirono circa mille persone e in 65.000 furono sfollate a causa degli scontri nel Nord musulmani del Paese,
dopo la sconfitta di Buhari. Non è la prima volta, infatti, che il
nuovo capo dello Stato nigeriano si candida alla guida del Paese. Era
già accaduto nel 2003 e nel 2007.
Questa volta, però, il fattore Boko Haram, la setta islamista
affiliatasi di recente al sedicente Stato Islamico, ha avuto un ruolo
nella sconfitta di Jonathan, la cui politica contro il gruppo armato che
ha messo a ferro e fuoco le aree settentrionali della Nigeria è
risultata inefficace. Boko Haram ha versato sangue durante le
operazioni di voto: ha attaccato i seggi al Nord, ha decapitato decine
di persone, ha aperto il fuoco sugli elettori in fila ai seggi.
La recente campagna dell’esercito nigeriano, coadiuvato dai soldati
inviati dal Ciad e dal Niger, che ha ricacciato i miliziani da alcune
città e aree del Nord non ha aiutato la campagna elettorale di Jonathan,
come forse si aspettava. Nel Nord povero e a maggioranza
islamica è il musulmano Buhari ad avere seguito e non il cristiano
Jonathan, originario del Sud più ricco e a maggioranza cristiana. Ma Boko Haram adesso rappresenta una sfida anche per il neo presidente.
Buhari, classe 1942, è attivo nella vita politica del Paese
dal 1976, dopo essere entrato nelle Forze armate. Ha guidato il Paese
dal dicembre del 1983 ad agosto nel 1985, dopo il sanguinoso golpe
militare dell’83, guadagnandosi la reputazione di integerrimo
persecutore della corruzione, uno dei più annosi problemi del Paese.
L’economia nigeriana si basa quasi esclusivamente sui proventi delle
estrazioni petrolifere, di cui il sottosuolo è ricco, ma l’iniqua
distribuzione della ricchezza fa della Nigeria uno degli Stati più
poveri al mondo, ed anche uno dei più segnati dalla corruzione. Durante
il suo precedente mandato, Buhari mandò dietro le sbarre centinaia di
politici, funzionari e uomini d’affari per reati di corruzione. Fu anche
un periodo caratterizzato dall’austerità economia e dal contrasto al
traffico di droga e di armi, per cui furono mandate a morte decine di
persone. Alcuni hanno giudicato positivamente quelle politiche, per la
“pulizia” operata nell’amministrazione. Per altri, invece, furono
commesse diverse violazioni dei diritti umani.
Nell’85 fu deposto da un altro golpe militare guidato da Ibrahim
Babangida, uno dei tanti colpi di Stato che hanno segnato la storia
della Nigeria. Quest’anno, per la prima volta, un partito di opposizione ha preso democraticamente il potere.
Per alcuni analisti è il segno di una maturazione di questa giovane
democrazia che fa i conti con povertà e divisioni etnico-religiose.
Boko Haram resta una sfida per il neo presidente. Un
generale musulmano che forse ha qualche chance in più di Jonathan di
fermare l’avanzata dei jihadisti, per la sua fede e la sua influenza
nelle regioni settentrionali, dove la popolazione si sente discriminata
dal governo centrale. In queste aree alla violenza dei
miliziani islamisti, si è spesso aggiunta quella delle forze di
sicurezza e dei militari accusati da diverse Ong internazionali di
violazioni e abusi contro la popolazione civile.
Ma la sfida che pone Boko Haram deve essere affrontata incidendo
anche sull’economia nigeriana, penalizzata da scarsi investimenti in
settori che non siano quello petrolifero, da alti tassi di
disoccupazione e dal malfunzionamento di una macchina statale infiltrata
dalla corruzione.
“È tempo di sanare le ferite”, ha detto Buhari.
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