Si scrive già tanto sulle elezioni regionali campane, sulla vittoria di De Luca, ma in questa regione così come nelle altre, non si parla dell'unico e vero vincitore di questa tornata elettorale: NESSUNO.
Con il 49,07% di astensione, sono clamorosamente battuti De Luca e Caldoro, i cui risultati vanno, a questo punto ridimensionati: se consideriamo i 4.818.561 aventi diritti al voto, il neo-presidente è eletto con il 20,4%, mentre il presidente uscente ha ottenuto il 19,08%. Clamorosa e netta quindi la vittoria dell'astensionismo.
La crisi fa male, la crisi attanaglia, la crisi si risente e fa soffrire e in questo clima, quasi metà dei cittadini campani non si sente rappresentato. Dopo anni di crisi e di politiche di austerità che hanno portato a privatizzazioni, tagli, svendita del paese, e disoccupazione alle stelle, la gente dimostra di aver capito il gioco.
Quel vento che in questo 2015 ha visto la vittoria di Syriza in Grecia e quella di Podemos alle elezioni locali in Spagna, sembra non voler soffiare dalle nostre parti.
Si fermino subito quelli che penseranno che forse la crisi non colpisce ancora abbastanza, che in Grecia e in Spagna la gente ha capito perché soffre di più. Chi si è presentato alla sinistra del PD non si permetti di fare questo errore, non se ne esca con le solite frasi del tipo: “ci vuole più unità della sinistra”, o “facciamo la Syriza italiana”.
Il vento che spira negli altri paesi dell'Europa meridionale diventa aria stagnante in Italia, ove risuonano le note di un ritornello che dalla Sinistra Arcobaleno è sempre lo stesso, anche se qualche regione sembra per fortuna distinguersi almeno un po.
Questo risultato elettorale mostra per l'ennesima volta che c'è una vera e propria crisi della rappresentanza, e non un disinteresse per la questione politica.
Senza la minima copertura mediatica, nel 2011 il 57% dei votanti si recò alle urne e il 95% di votanti si espresse per la difesa della gestione pubblica dell'acqua, un voto che andava fortemente contro le politiche neoliberiste e che era sicuramente più rappresentativo della cittadinanza, delle tornate elettorali successive. Peccato che in questo paese, proprio a questo voto non si è data risposta politica; mentre oggi centro destra e centro sinistra rivendicano le proprie vittorie elettorali, nonostante un consenso irrilevante.
Forse è arrivato il momento di raccontare la storia di un percorso elettorale della sinistra campana, ovvero della lista “Sinistra al lavoro” che sin dall'inizio è partita con il piede sbagliato.
Ma prima occorre tornare un po indietro. Qualcuno si ricorderà che a gennaio, qualche compagno provava a mettere su un appello, chiamato “appello Maggio”, un appello chiaro che iniziava così:
“Maggio” vuole essere il centro propulsore di un dibattito politico e culturale per rivendicare le identità, le libertà, l’autodeterminazione, il pluralismo nel rispetto delle differenze e delle soggettività minacciate dalle politiche di austerità”.
In Attac Napoli, nonostante l'appello del tutto condivisibile, fu proprio il nascere del percorso con una scadenza elettorale, nonché qualche dinamica "elettoralistica" a frenare la nostra partecipazione.
Dopo assemblee in tutta la regione, con il tentativo di costruire dai territori un programma, anche insieme a militanti di Sel e del Prc che avevano aderito all'appello, è semplicemente successo che le direzioni nazionali delle due forze politiche abbiano tagliato la testa al toro: “ma che percorso dal basso, qui abbiamo già un accordo elettorale e un candidato presidente: Vozza! Vi piace? Non vi piace? Per noi fa lo stesso!”
Quanto avvenuto non si è svolto senza polemiche, con militanti che hanno criticato duramente questo diktat; e in particolare con la direzione provinciale napoletana di Rifondazione che aveva investito molto in questo percorso.
Allora, chi aveva lanciato l'appello Maggio ha dato una grande prova di maturità, nonché di sincerità politica. Quello che poteva diventare un percorso diverso, alternativo alle politiche dell'austerità, con processi partecipativi e il tentativo di rappresentare davvero la base di questo movimento, i cittadini; è sopravvissuto oggi perché ha avuto il coraggio di non partecipare alla kermesse di “Sinistra al Lavoro”.
Qualche militante che stimo molto ha fatto una scelta diversa, provandoci per l'ennesima volta nonostante le delusioni, e non voglio certo offendere militanti che ci hanno creduto fino alla fine e ci hanno provato come tante altre volte. Ma Sinistra al lavoro, con il 2,2% dei voti (o meglio con lo 0,01% dei voti se con coerenza si fa come precedentemente il calcolo sul totale degli aventi diritto al voto), oggi è un percorso elettorale che passa alla storia della regione Campania come Arcobaleno e Rivoluzione Civile sono passati alla storia dell'Italia.
L'appello Maggio, che lavora da qualche mese alla costruzione di un percorso per il reddito, invece esiste!
Mai come oggi, si ha il bisogno di unità dei movimenti, di una vera e propria coalizione sociale, che metta insieme movimenti in lotta sui territori, da chi lotta per il reddito a chi lotta per la casa, passando per chi lotta per la difesa dei beni comuni, dei territori, tutti dobbiamo essere uniti da una forte battaglia per una finanza pubblica e un modello di democrazia partecipativa.
Una coalizione sociale è necessaria, ha bisogno dell'impegno della cittadinanza per costruire l'alternativa, rilanciare il paese, ridare vita e futuro ai cittadini che da anni soffrono la crisi. Una coalizione sociale non ha bisogno di un leader, non nasce da una manifestazione o dall'appello di qualche Masaniello di turno, nasce dalle persone.
Il 6 giugno, all'Asilo, Attac Napoli chiama i movimenti per un'assemblea pubblica, dal titolo “Riprendiamoci la città”. L'intento è di riprenderci proprio il Comune, di decidere sulle politiche locali. Ma per noi, “riprenderci il comune”, non significa lanciare un percorso elettorale e vedere che succede! Per noi significa costruire una rete dei movimenti che insieme costituisca un percorso di riappropriazione dei nostri diritti, con percorsi reali di democrazia partecipativa, e rivendicando sempre una nuova finanza pubblica e sociale a servizio delle persone e non delle multinazionali.
“Riprendiamoci il Comune” significa che a decidere devono essere i cittadini e non chi si erge a loro rappresentanti a palazzo San Giacomo o al consiglio comunale.
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