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16/06/2015

Ucraina: la vera sostanza del conflitto


La crisi ucraina rischia di precipitare da un momento all’altro, ma nessun parlamento nazionale della Ue ha fatto un’ampia discussione assembleare sul tema, i mass media europei non dedicano alla questione alcuno spazio straordinario (come  l’eccezionalità del momento vorrebbe) e l’opinione pubblica europea considera la crisi ucraina come “altro da sé”, una guerra che riguarda altri e che non c’è pericolo che coinvolga anche l’Europa. C’è bisogno di reagire a questo assurdo torpore e di richiamare l’opinione pubblica europea alla consapevolezza della gravità del momento. Anche per questo ho firmato l’appello No Guerra No Nato.

Già dai primissimi dell’anno sono circolate voci per le quali, fra giugno e luglio, la crisi ucraina dovrebbe avere un brusco peggioramento. Le accuse di preparare un’offensiva devastante sono rimbalzate dai due lati della barricata e non sono mancati segnali come l’omicidio Nemtsov o la momentanea scomparsa di scena di Putin, subito riemerso per dire, con aria normalissima, che un anno prima aveva meditato di usare l’atomica in caso di attacco alla Crimea.

Poi le cose sono andate di male in peggio, salvo la visita a Mosca di Kerry l’11 maggio, che ha dischiuso per un attimo l’uscio alla speranza di un accordo.

Due giorni prima, il 9 maggio, una grandiosa parata si è svolta sotto le mura rosse del Cremlino, per celebrare la vittoria sul nazismo, ma anche per lanciare un avviso all’occidente. Sul palco, a fianco di Putin c’era Xi Jinping ed altri importanti esponenti di paesi asiatici e latino americani; insieme ai russi, hanno sfilato reparti cinesi, indiani, venezuelani, cubani in pieno assetto di combattimento. Un segnale che va molto oltre la celebrazione dell’anniversario e che lascia intendere che Mosca non è isolata.

Nella stessa parata, sono sfilati i nuovi gioielli dell’arsenale moscovita, soprattutto i nuovi carri da combattimento della classe “Armata” (soprattutto il T-14 che è stato orgogliosamente presentato al pubblico internazionale in questa occasione). Carri a sagoma bassa (per ridurne la visibilità ed occultarli nei dislivelli di terreno a chi guardi dal terreno e non dall’alto) con particolari protezioni anti-mine di nuova concezione, che ne fanno dei mezzi ottimali nelle grandi pianure dell’Europa centro orientale, dall’Ucraina sino all’Ungheria e Polonia.

La sfilata ci dice che la Russia è tecnologicamente ben più avanti delle previsioni e che è tornata ad essere il più grande esercito di terra del continente. Il suo punto debole resta la posizione di svantaggio aerea e missilistica. Per cui ha limitato potenziale in attacco, ma è difficilmente battibile in difesa o su terreni immediatamente a ridosso dei propri confini.

In teoria, l’insieme degli eserciti dell’Europa occidentale (inglesi, tedeschi, francesi, spagnoli ed italiani, ma con l’aggiunta di polacchi, cechi, ungheresi, per non dire dei minori) sarebbe abbastanza di grado di reggere l’urto di una eventuale aggressione russa, ma l’Europa, come unità d'insieme esiste solo quando è sotto il comando americano e neanche sempre. Presa a sé è solo uno spezzatino incapace di qualsiasi unità d'azione: non basta una moneta per essere soggetto politico. E proprio nei confronti della Russia si manifesta con più chiarezza questa differenziazione che riflette il maggior o minore grado di interessi comuni con l’orso russo, che è massimo per gli italiani (come Putin ricorda nella sua intervista al Corriere) e tedeschi, abbastanza consistente per francesi, austriaci , baltici (ad eccezione degli svedesi) ed, invece è minimo per Inglesi, svedesi, olandesi.

A ben vedere è la fotografia della situazione di favorevoli e contrari ai gasdotti alternativi a quello che passa per l’Ucraina. Per il resto, la classe dirigente politica europea è solo un ammasso di invertebrati e servi vocazionali, pronti a fare la voce grossa solo quando lo comanda la “Voce del Padrone”.

Ed, in questo contesto, il Premio Nobel per la Pace, Barak Obama,  riscopre le teorie politiche di Mackinder, per il quale il pericolo costante è che il gigante a cavallo fra Europa ed Asia arrivi ad esser dominante dall’Atlantico al mar del Giappone, diventando il controllore della massima porzione di risorse naturali, popolazione e territorio del Mondo, dopo di che non ci sarebbe modo di fermarne l’espansionismo. Per cui spetta al Giappone, da un lato, ed all’Inghilterra (oggi alla Ue) dall’altro, fare barriera all’espansionismo dell’orso russo, prima che sia troppo tardi. In questo schema c’è una variante, la presenza della Cina diventata potenza mondiale, ma due costanti: il tentativo di ridurre il policentrismo mondiale ad un formato sostanzialmente monopolare – più o meno imperfetto – e la concezione dell’Europa (e similmente del Giappone) come proprio semplice antemurale nella politica di contenimento.

In realtà, non pare che i russi abbiano voglia, forza e interesse di aggredire l’Europa. Anzi, l’interesse è quello di porsi al centro fra un’area di interscambio europea ed un’altra asiatica. Un quadro strategico che esige grande stabilità politico-militare e non certo avventure militari, per le quali la Russia non avrebbe la forza. E Putin, nell’intervista concessa al Corriere della sera (6 Giugno 2015), lo dice senza troppi giri di parole: la Russia vuole creare una condizione di parità strategica con gli Usa (colmando il gap aero-missilistico) per creare un equilibro durevole, ma, nel frattempo, fa capire di essere perfettamente in grado di reggere lo scontro nella sua area di influenza ed, a maggior ragione, sul suo territorio. Fu più saggio il “destro” Bush in occasione della crisi georgiana di quanto non lo sia il “sinistro” Obama oggi. Certe sinistre riescono a far rimpiangere le destre.

Il punto è che per gli americani è inaccettabile proprio l’idea di due aree di interscambio europea ed asiatica che tendano a diventare un unico bacino, che renderebbe marginale la rotta atlantica (a quel punto, a cosa servirebbe quel trattato di libero scambio Usa-Ue che stanno cercando di concludere?). Così come è insopportabile l’idea che si stabilisca un ordine mondiale che superi quello sostanzialmente monopolare attuale (Usa o al massimo Usa-Ue) e crei un equilibrio multipolare sul quale, insieme agli Usa, spiccherebbero Russia e Cina: diverrebbe praticamente impossibile difendere il dollaro come unica moneta di riferimento mondiale.

Questo è il quadro strategico, ma siccome non si può dire apertis verbis che le cose stanno così, occorre cercare di fare una vernice di rispettabilità ideologica, di qui la battaglia in difesa del diritto alla sicurezza ed all’indipendenza dell’Ucraina. Anche se poi non si capisce perché lo stesso diritto all’autodeterminazione non è riconosciuto ai russofoni del Donbass.

E così, in parallelo all’inasprirsi dei rapporti russo-americani, si è intensificata la campagna degli ucraini contro i piani di aggressione di Mosca (veri o più probabilmente presunti).

Subito dopo la lunga intervista concessa in esclusiva da Putin, è apparso sullo stesso Corriere della Sera  un lungo servizio dalla Germania titolato “L’ipotesi Usa: missili in Europa per contrastare la minaccia russa” sottotitolo “La risposta al test del Cremlino con vettori a medio raggio.”

E’ possibile, auspicabile e ci sono buone speranze che anche questa volta eviteremo lo scontro frontale soprattutto perché non lo vogliono né i russi né gli americani, anche se è vero che i libri di storia sono pieni di guerre che non voleva nessuno e che sono scoppiate lo stesso.

E’ probabile che lo scontro non ci sarà, ma noi sembra che ce ne sia abbastanza per preoccuparsi. E la cosa più preoccupante è l’inconsapevolezza degli europei della gravità della situazione.

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