Il presidente portoghese Anibal Cavaco Silva ha annunciato ieri sera di avere conferito al premier uscente Pedro Passos Coelho un mandato esplorativo per individuare "una soluzione di governo che garantisca la stabilità politica e la governabilità del paese". Poco prima Cavaco Silva aveva ricevuto Passos Coelho, leader del centrodestra, vincitore delle politiche domenica ma senza maggioranza assoluta. Cavaco Silva ha aggiunto che il prossimo governo dovrà garantire "il rispetto degli impegni internazionali" dello stato portoghese, cioè di fatto approvare una serie di pacchetti a base di tagli ai servizi e allo stato sociale, di privatizzazioni, di sforbiciate a salari e pensioni, di aumento delle imposte. Il tutto ordinato da Bruxelles, che pure continua ad affermare che la cura da cavallo imposta negli anni scorsi a Lisbona ha funzionato e che gli altri Pigs dovrebbero seguire l’esempio del Portogallo.
Ma l’unico modo per dare al paese una maggioranza stabile dopo la vittoria monca della coalizione di destra è varare un governo di ‘grande coalizione’ insieme ai socialisti. La coalizione Portugal a Frente (Prima il Portogallo) guidata da Coelho ha infatti ottenuto solo 104 seggi sui 230 totali del parlamento monocamerale di Lisbona. I socialisti di Antonio Costa ne hanno presi 85.
L’alternativa alla grande coalizione tra centrodestra e centrosinistra è la formazione di un governo di minoranza che approvi a fine anno il bilancio dello stato per il 2016 (contando comunque sulla tolleranza dei socialisti), e che l’anno prossimo, subito dopo l’elezione del presidente della Repubblica, il paese torni a votare nella speranza – da parte della Troika – che questa volta le urne indichino un vincitore vero.
Per il leader socialista Costa non votare la finanziaria redatta da Coelho significherebbe far cadere l'esecutivo e l'ultima volta che si è prodotto questo scenario, alle elezioni successive il Ps ne è uscito con le ossa rotte; ma anche permettere ai Popolari e ai Socialdemocratici di governare indisturbati rischia di avere lo stesso effetto, dal momento che l'elettorato socialista difficilmente ne sarebbe contento. A questo punto per i socialisti sarebbe meglio un coinvolgimento in un governo di ‘grosse koalition’ con le destre. D’altronde la distanza tra i due schieramenti politici che si sono spartiti il potere a Lisbona negli ultimi decenni è minima. In campagna elettorale non solo Passos Coelho ma anche Costa si è impegnato a rispettare gli obblighi assunti dal paese nei confronti dei creditori in materia di riduzione del deficit pubblico. L’unica differenza è che mentre le destre puntano esclusivamente sull’aumento dei consumi privati senza alcuno stimolo pubblico e promettono un alleggerimento di alcuni degli interventi precedenti solo nel caso di un’evoluzione positiva dei conti, i socialisti hanno proposto l’approvazione di alcune misure di sostegno pubblico alla crescita. Dopo tre anni consecutivi di recessione (dal 2010 al 2012), nel 2014 il Pil portoghese è cresciuto dello 0.9% e quest’anno le previsioni danno un +1,4%; un risultato accompagnato da una diminuzione consistente del tasso ufficiale di disoccupazione fino al 13% che in realtà nasconde una esplosione della precarietà, della sottoccupazione e dell’emigrazione all’estero di centinaia di migliaia di disoccupati.
Qualcuno continua a parlare della possibilità che “le sinistre” – cioè i socialisti, i radicali europeisti del Bloco de Esquerda e i comunisti della Cdu – formino una coalizione allo scopo di cacciare Passos Coelho dal governo, sulla base di un programma minimo di riduzione dell’austerity che ha mandato in malora milioni di portoghesi, costringendone in questi anni alcune centinaia di migliaia a espatriare altrove in cerca di lavoro. Ma si tratta di un’ipotesi quasi fantascientifica. Mentre il Bloco de Esquerda ha criticato fortemente l’austerity e chiede una ricontrattazione e una riduzione del debito e i comunisti mettono addirittura in discussione la permanenza del paese all’interno dell’Eurozona attaccando l’Ue in quanto tale, i socialisti negli ultimi anni si sono limitati a criticare le politiche di Coelho perché "eccessive", “poco graduali”, “indiscriminate”, proponendo di fatto per una gestione più razionale dei tagli e degli interventi sulla fiscalità senza mai mettere in discussione i diktat dell’Unione Europea e del Fondo Monetario. Una politica di semplice ‘riduzione del danno’ che può essere compatibile con una eventuale coalizione con le destre in nome della stabilità, ma non certo con un programma di governo antiausterity, per quanto annacquato, insieme a sinistra radicale europeista e comunisti che solo sulla carta può contare su una maggioranza parlamentare di 121 seggi (85 socialisti, 19 del BE e 17 della CDU).
In attesa di capire se i socialisti si piegheranno alle pressioni della Troika e dei poteri forti continentali accettando di fare da stampella ad un governo Coelho bis (come d’altronde è successo negli anni scorsi in Grecia ed in altri paesi) dentro la coalizione di centrodestra sono in molti a contestare la leadership del premier uscente, accusato di aver causato il disastro elettorale di domenica scorsa. Certamente i due partiti coalizzati di centrodestra hanno perso 12 punti, passando dal 50% del 2011 al 38% del 4 ottobre. Ma il risultato ottenuto dalle destre domenica non può che essere considerato un miracolo: nonostante anni di politiche rigoriste, di smantellamento del welfare, di svendita del patrimonio pubblico, di tagli ai salari e alla pensioni in nome della riduzione del debito, Portugal a Frente si è comunque piazzata in testa con una percentuale di poco inferiore al 40% (seppure con un tasso di astensione del 43%). Coelho è riuscito a rimontare tutto lo svantaggio nei confronti dei socialisti che alcuni mesi fa erano dati dai sondaggi in testa sul centrodestra. Un risultato – la vittoria del governo che per quattro anni ha imposto una politica anticrisi lacrime e sangue – per certi versi insperato, come ha fatto notare sul quotidiano Diario de Noticias il direttore André Macedo. Di fatto Coelho, seppur ridimensionato, è il primo leader di un governo targato apertamente Troika che esce vincitore in una competizione elettorale. Una buona notizia non solo per i burattinai di Bruxelles e Francoforte, ma anche per il popolare spagnolo Mariano Rajoy, che spera sull’onda del risultato portoghese di salvare anche lui la pelle uscendo se non vincitore almeno non distrutto dalle elezioni fissate per il 20 dicembre a Madrid.
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