Così come i due sconfinamenti dei caccia russi nei cieli turchi vanno considerati un esplicito avvertimento ad Ankara per il suo ruolo nel sostegno ai jihadisti in Siria, i missili lanciati dalle navi russe nel Mar Caspio contro alcuni dei territori controllati dall’Isis e altri gruppi islamisti debbono essere valutati come un messaggio inviato alle petromonarchie e alla stessa Turchia. Dal punto di vista militare, per bombardare le postazioni dello Stato Islamico o di Al Qaeda o dell’Esercito Siriano Libero bastano e avanzano i Sukhoi e gli elicotteri impiegati fino a questo momento. Ma è evidente che un simile volume di fuoco e il coinvolgimento della flotta da guerra russa dispiegata nel Mar Caspio costituiscono dei segnali inequivocabili per le potenze - regionali e non - da anni impegnate a sostenere le milizie fondamentaliste in Siria e in Iraq con l’obiettivo di rovesciare il governo di Damasco e minacciare Teheran. Anche a costo di aumentare il numero delle vittime civili causate dai bombardamenti, vista la scarsa precisione di un lancio operato da così grande distanza dagli obiettivi e visto anche che molte delle postazioni prese di mira sono piazzate in mezzo ai centri abitati.
Secondo quanto ha reso noto il ministro della Difesa di Mosca, Sergej Shoigu, quattro navi militari russe hanno realizzato almeno 26 lanci di missili 3M-14T, che hanno una gittata di circa 2.600 km, sparati da una distanza di 1500 chilometri.
Al contempo Mosca ha intensificato anche gli attacchi con i caccia e gli elicotteri, fornendo così copertura all’offensiva di terra lanciata oggi dall’esercito di Damasco, dalle milizie volontarie siriane, dalle brigate iraniane e da quelle di Hezbollah contro vari gruppi jihadisti nelle province di Hama e Idlib, dove sono particolarmente forti quelli di “Jaish al-Fatah”, coalizione di ribelli islamici dell’”Esercito della Conquista” sostenuta da Turchia, Arabia Saudita e Qatar.
Anche se nei giorni scorsi i massimi responsabili del governo e della presidenza russi avevano categoricamente escluso una partecipazione delle truppe di Mosca alle operazioni militari terrestri, a prefigurare il possibile invio di ‘volontari’ è stato l’ammiraglio Vladimir Komoyedov, capo della commissione Difesa del Parlamento della Federazione Russa. Secondo l’alto ufficiale «volontari russi potrebbero combattere in Siria» anche in assenza di un’approvazione formale da parte del Cremlino. Ma i portavoce del Cremlino, Smitry Peskov, e del ministero degli Esteri, Maria Zakharova, hanno smentito questa ipotesi ricordando che la campagna bellica russa in Siria mira a fornire copertura alle truppe del legittimo governo di Damasco per evitare che i jihadisti avanzino ancora e conquistino le ultime roccaforti del regime, cioè la capitale e Latakia.
Secondo il Pentagono però in Siria sarebbero operativi già una certa quantità di soldati di Mosca. Già il segretario generale della Nato Stoltenberg aveva affermato che «Vi sono almeno 800 soldati di terra russi già in Siria» nell’ambito di un contingente di 1400 uomini inviati insieme ai caccia e agli elicotteri, ai carri armati e ai mezzi blindati. La maggior parte di loro sono stati dispiegati a protezione delle basi russe realizzate sulla costa – a Latakia e a Humaymin – e non è escluso che alcuni siano già operativi nel coordinamento e nell’addestramento delle truppe siriane.
Proprio mentre è impegnata in una dimostrazione muscolare senza precedenti, Mosca continua a proporre ai suoi competitori della ‘coalizione internazionale’ un coordinamento delle azioni in Siria. In una nota il ministero della Difesa russo Igor Konashenkov ha fatto sapere di aver “esaminato in modo operativo le proposte degli americani sul coordinamento delle azioni nella lotta contro il gruppo terrorista dell'Isis sul territorio della Siria” e di essere pronto alla collaborazione. “In generale queste proposte possono essere adottate. Bisogna solo definire alcuni dettagli tecnici che saranno discussi oggi dai rappresentanti del ministero della Difesa russo e del Pentagono» ha aggiunto. Lo stesso Putin ha fatto maliziosamente trapelare che il presidente francese Francois Hollande avrebbe proposto di unire gli sforzi delle truppe governative siriane e dell'esercito libero siriano (Esl) nella lotta contro l'Isis.
"I conflitti di questo tipo devono terminare con soluzioni politiche" ha affermato il capo del Cremlino. "Stamattina ho parlato di questo tema con il ministro degli Esteri della Federazione Russa, Sergey Lavrov. Durante l'ultima visita a Parigi, il presidente francese, il signor Francois Hollande ha espresso un'idea interessante: sarebbe necessario, secondo lui, cercare di unire gli sforzi di truppe governative dell'esercito e il cosiddetto Free Syrian Army che però non sappiamo dove si trovi e da chi sia diretta".
Mentre da Parigi il governo ha immediatamente smentito di aver mai proposto quanto riferito da Putin, fonti legate all'Esercito Siriano Libero hanno risposto a quella che a questo punto va considerata una proposta di Mosca. Fahad al Masri, ex portavoce dei cosiddetti 'ribelli moderati' siriani ed ora presidente di un famigerato "Centro per gli Studi Strategici, Militari e per la Sicurezza in Siria" ha fatto sapere che l'ESL è pronto a stabilire contatti con la Russia, ma a condizione che prima cessino i raid contro le sue postazioni. In una dichiarazione resa al corrispondente dell'agenzia Ria Novosti al Cairo, al Masri ha spiegato che i comandanti della coalizione anti-Assad avrebbero voluto da tempo aprire una linea di comunicazione con Mosca e avrebbero anche proposto di inviare in Russia una delegazione di alto profilo.
Da Washington è arrivato anche oggi un secco no ad ogni possibile collaborazione con la coalizione concorrente guidata dalla Russia. «La Russia – ha detto il segretario americano della Difesa Ashton Carter da Roma – sta seguendo una strategia sbagliata colpendo obiettivi che non sono solo dell'Isis. Gli Usa non collaboreranno con la Russia finché loro continueranno a perseguire questi obiettivi».
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