Leggendo i sondaggi (da prendere, come sempre, con le molle) sembra che ci sia generale accordo su queste tendenze:
a- il centrodestra si aggira ancora intorno ad un 30% nel suo complesso, ma solo sommando Lega, Fdi, Fi, diaspora di Fi (Alfano, Verdini, Fitto) e gruppo Casini;
b- il fenomeno Lega si sta gradualmente sgonfiando (è la seconda settimana di seguito che cala di circa 1 punto in percentuale a volta) ;
c- Forza Italia si sta polverizzando e non stupirebbe che scendesse sotto il 10%;
d- il Pd sta gradualmente risalendo dalla botta delle amministrative, ma è sempre lontano dalla soglia del 40%;
e- il M5s tende a risalire ed andare oltre il massimo storico del 25%, ma pur sempre fermandosi sotto il 30%;
f- l’area della “cosa rossa” arranca e fatica a raggiungere il 5%.
E sono tendenze stabili almeno dai primi di settembre. Ragioniamo nel caso si voti con l’Italicum non ulteriormente modificato. Sulla carta questo dovrebbe portare ad un ballottaggio Pd-Centro destra unito. Ma l’ipotesi di una alleanza di centro destra da Casini a Salvini appare fuori della realtà: non troverebbero un candidato che vada bene a tutti, ci sono troppe ruggini antiche e recenti, non riescono ad accordarsi per un candidato sindaco neppure a Milano (ne riparleremo), soprattutto si tratta di una sommatoria puramente matematica che non reggerebbe alla prova dei fatti (si sa che le grandi coalizioni non totalizzano mai la somma dei voti di tutti i componenti).
Poi, il maggior azionista della coalizione sarebbe Salvini che è troppo “al limite” dell’area ed è respingente per l’elettorato meridionale. Per di più, Salvini ci aggiunge una notevole arroganza personale, intimando agli altri di sciogliersi nel suo “partito unico” e di farlo entro fine ottobre perché poi non se ne parla più di accettare nessuno. Messa così, non è sicuro che neppure Berlusconi ci stia e, dunque, al massimo viene fuori un cartello Lega, FdI, Fi, vale a dire il 23-25% e sempre che Fi e Lega non calino ancora. Mentre è ragionevole che alfaniani, casiniani e verdiniani cerchino un accordo con il Pd. E qui il discorso si complica.
Nella logica del “Partito della Nazione” Renzi dovrebbe accoglierli, ma questo potrebbe portare a perdite di elettorato sulla sinistra (non dico all’uscita di Bersani & c. perché non avranno mai gli attributi per un gesto del genere, ma penso proprio agli elettori di sinistra) e chiuderebbe la strada a qualsiasi ipotesi di accordo con Sel, e compagnia. Nel complesso quel che il Pd prenderebbe da una parte, perderebbe dall’altra in un gioco a somma zero o quasi. Si tratta di capire su quale fianco Renzi preferisca rischiare. Considerato che i rimasugli di centro potrebbero o fare una propria coalizione che superi la soglia per entrare in Parlamento o confluire obtorto collo nella coalizione di destra, mentre l’area della “cosa Rossa” non avrebbe a che santo votarsi e potrebbe subire il solito richiamo del “voto utile”, è più probabile che Renzi lasci questi a bollire nel loro brodo e cerchi l’alleanza con i “centristi”. Ed in questo caso, il blocco Lega-Fi non sarebbe competitivo in partenza neppure come secondo arrivato per andare al ballottaggio.
La cosa potrebbe avere anche un’evoluzione imprevista se Berlusconi rompesse con Salvini e tornasse a spostarsi verso il centro, consentendo una candidatura più “centrale” fra sé e i transfughi di Fi e Casiniani. In questo caso potrebbero emergere candidature come quelle di Passera o Marchini e la Lega sarebbe schiacciata nell’angolo. Comunque, anche in questo caso, difficilmente sulla destra emergerebbe un polo in grado di arrivare secondo e partecipare al ballottaggio.
Dunque, allo stato dei fatti, l’ipotesi di un ballottaggio Pd-qualcosa di destra non sussiste. Le ipotesi realistiche sono solo due:
- che il Pd superi il 40% e si aggiudichi la maggioranza assoluta per via del premio;
- che si vada ad un ballottaggio Pd-M5s.
E qui dobbiamo considerare un dato particolare e, per certi versi paradossale: per il Pd è più facile prendere il 40% al primo turno che vincere al secondo. Questo perché il Pd raccoglie i suoi consensi nel primo turno, mentre nel secondo aggiunge poco o nulla, come già abbiamo avuto modo di dire nell’articolo dopo il ballottaggio delle amministrative di giugno, il Pd non esercita nessuna attrazione sull’elettorato non Pd (che abbia votato a destra o per il M5s) e chi deve votare Pd lo fa al primo turno, dopo non si raccoglie niente di più (rivedetevi i calcoli sul pezzo del 15 giugno scorso).
Ovviamente, occorre vedere come si orientano gli elettori del polo escluso dal ballottaggio (nel nostro caso quelli di destra) fra astensione e voto al M5s, l’esperienza (Parma, Livorno, ecc.) dice che spesso scelgono il M5s in odio al Pd. Dunque, il ballottaggio è una ipotesi rischiosa per il Pd, mentre raggiungere un 40% al primo colpo, non appare così impossibile. Considerando che i sondaggi lo danno al 33-34% e che potrebbe sommare il 4-6% della “cosa Rossa” o il 5-6% dei “centristi” l’obiettivo non è impossibile. Per cui è ragionevole aspettarsi che Renzi farà ogni sforzo per raggiungere la vittoria al primo turno.
Ma non è affatto scontato che ce la faccia. Di mezzo ci sono vari ostacoli: in primo luogo le comunali di Milano, Napoli, Torino (e forse Roma) nella prossima primavera. Se il risultato dovesse essere negativo sarebbe un brutto colpo e comprometterebbe la corsa verso il 40%. Poi, i prossimi due anni e mezzo (o anno e mezzo, se Renzi dovesse decidere di votare nel 2017) non promettono di essere buoni sul piano dell’economia (fra crisi cinese, debito brasiliano e caso VW, i nuvoloni sono neri e pesanti), e, infine, già oggi Renzi non può più giocare sull’effetto della novità, quindi deve “tenere in cottura” per un altro paio di anni, cosa non facile anche se questo è vero anche per i suoi rivali. Dunque, partita aperta su questo punto e si capisce la sua battaglia sul taglio delle tasse per fare il salto finale verso quota 40.
Quello che però appare più evidente è che la tendenza che si profila è un sistema politico a tre punte di cui una (quella di destra) spuntata, pertanto con un bipolarismo Pd-M5s. Per ora, sia chiaro, solo una tendenza, ma con buone probabilità di consolidarsi.
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