05/10/2015
Mosca: ricordate le vittime del tragico ottobre 1993
In quei giorni, tra il 3 e il 5 ottobre del 1993, a Mosca era il “Babe leto” – la nostra estate di san Martino – l'ultimo guizzo di temperature miti prima del tuffo nell'inverno. Ma già dall'agosto precedente si stava preparando la tempesta. L'aveva annunciata Boris Eltisn, nella prima conferenza stampa dopo le vacanze estive e aveva parlato di “artpodgotovka”, preparazione delle artiglierie, prima dell'attacco vero e proprio. E l'attacco era quello che si stava preparando contro gli ultimi resti della fortezza che lui stesso aveva cominciato a smantellare due anni prima, nell'agosto del 1991 e poi nel complotto di dicembre con i presidenti di Ucraina e Bielorussia per il disfacimento dell'Unione Sovietica.
Sulla strada del pieno dilagare del mafio-capitalismo, di quella “accumulazione originaria” fatta di sangue e lacrime per il popolo, rimaneva un ultimo ostacolo: il Soviet supremo russo. Andava eliminato. E il campione della democrazia a stelle e strisce intese alla lettera gli ordini che gli arrivavano da fuori: lo prese a cannonate. Quante siano state le vittime di quei giorni, non si sa esattamente nemmeno oggi: a seconda delle fonti, si parla di oltre 200 morti, fino ad arrivare a più di 800.
I difensori dell'edificio del Parlamento russo caduti sotto i colpi dei cecchini governativi furono solo una parte dei caduti: tuttora si parla delle decine di uomini che, una volta arresisi alla polizia e alle truppe eltsiniane, venivano fucilati nei giardini retrostanti l'edificio. Le immagini dei tank che sparavano contro la “Casa Bianca”, il 4 ottobre, sono rimaste a simbolo di quella tragedia, ma molti morti si erano avuti già il giorno precedente, negli scontri sul Sadovoe koltso e intorno alla torre della televisione.
Scrive Ekaterina Polgueva su Sovetskaja Rossija “Simbolo dei “miei anni '90” rimarranno per sempre le immagini dei giorni di ottobre del 1993: l'edificio del Soviet carbonizzato sullo sfondo dell'enorme poster che reclamizzava "Appuntamento con l'America. Il potere sovietico e i suoi difensori già liquidati, la rivolta schiacciata, i media liberali che dalla mattina alla sera non fanno che maledire i “rosso-bruni”, chiedendo nuove esecuzioni, i giornali comunisti e patriottici vietati. Non ci sono più ostacoli per il grande inganno – la "prikhvatizatsija" (un gioco di parole tra arraffare e privatizzare) – e il saccheggio dei beni pubblici”. Si può ignorare l'anniversario, scrive Polgueva, “come fanno oggi i deputati di Russia Unita” (il partito di Putin): ma “la sua ombra copre questi 22 anni, con le cannonate di Groznyj nel 1995, di Tskhinvali nel 2008, Donetsk nel 2014, i bimbi uccisi nell'asilo di Beslan, le fiamme della Casa dei sindacati di Odessa. La guerra cominciata con la distruzione dell'Urss e il cannoneggiamento del potere sovietico, continua”.
Il sito web del Partito comunista operaio russo ricordava con tragica ironia la proposta fatta nei giorni scorsi all'ONU dal Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov circa l'adozione di una dichiarazione per cui “I paesi in cui il passaggio di poteri si è realizzato non per via costituzionale, ma con un colpo di stato non possono essere normali membri della comunità internazionale. Tali metodi di ricambio del potere sono inaccettabili” e la redazione del sito chiosava “In precedenza non si era notato che i leader della Federazione Russa facessero autocritica...”.
A Mosca, le organizzazioni comuniste, il Comitato a ricordo delle vittime del 1993, l'Unione degli ufficiali sovietici e parenti delle vittime, hanno organizzato meeting per ricordare quegli avvenimenti, all'insegna degli slogan “Non dimentichiamo! Non perdoniamo!”.
A questo link un documentario sugli eventi del 1993.
Fonte
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