Non mi sento di scrivere della morte di Chris Cornell facendo miei lo stupore (di morti "giovani" ne ho viste fin troppe tra la gente "normale") e lo sgomento (alla fine per i mezzi che ha avuto un suo anno di vita ne è valsi 10 di un uomo della strada qualsiasi) con cui stampa e pubblico hanno informato/appreso del fatto.
Quel che vivo è piuttosto una sorta di malinconico deja vu che richiama alla mente il 3 dicembre 2015, data in cui a spirare fu Scott Weiland, altra voce dell'epopea grunge seppur immeritatamente meno conosciuta rispetto alla prima linea dei Soundgarden.
Quel giorno e i successivi furono caratterizzati dal vuoto, che si è istantaneamente rinnovato appena sono entrato nella schiera dei tanti venuti a conoscenza che anche Cornell ha chiuso la sua esistenza.
Se Weiland marchiò indelebilmente la mia anima con un paio di brani del debutto dei suoi Stone Temple Pilots – Piece of pie, Plush – e con quelli lo ricordo praticamente ogni settimana, mi è parso meno immediato trovare una manciata di pezzi che possano scolpire nella pietra la memoria di Cornell.
Poi ho ricordato quando tentai di tirare le fila del lascito del grunge, e ritrovai il punto ideale da cui, per me, tutto era partito:
Say hello to Heaven Chris
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