Circa 2 milioni al voto e 71% per Renzi: indubbiamente un successo,
ma un successo relativo che chiede di essere visto controluce.
In primo luogo i partecipanti: il doppio dei pochi
temuti (meno di 1 milione) ma, pur sempre 800.000 in meno della volta
precedente che, pure, era stata la più bassa dal 2007 in poi. Da allora il numero dei votanti alle primarie è andato costantemente scendendo ed ormai è a poco più della metà di quei tre milioni e mezzo.
Questo è indice di un sempre minore interesse degli elettori per
questo tipo di partecipazione che prometteva molto più di quanto non
abbia mantenuto in materia di selezione della classe dirigente. E questo
calo costante in parte spiega la flessione odierna che è la più
consistente della serie e che non può essere spiegato solo con la
scissione, ma anche con la caduta di consensi del Pd nell’elettorato. E
si badi che già 4 anni fa il Pd veniva dalla “non vittoria” di pochi
mesi prima, e che i sondaggi attuali segnalano una flessione del Pd che
va oltre i consensi presi dal Mdp. Non è solo l’elettorato di sinistra
del Pd che sta smottando ma anche una fascia di quello moderato che si
sta guardando intorno alla ricerca di qualcos altro.
Ma, probabilmente, hanno anche inciso altri dati contingenti
come la vittoria scontata di Renzi che non ha invogliato ad andare a
votare. E qui entriamo nel merito della vittoria previstissima di Renzi
per l’inconsistenza dei suoi concorrenti: Orlando era quasi sconosciuto
ai più, aveva dietro di se una convinta militanza renziana (e il
giullare non ha avuto alcuna difficoltà nel rinfacciargli di aver votato
tutto insieme a lui e non aver mai manifestato alcun dissenso, neppure
sulla riforma costituzionale) ed è stato di un piattume totale, direi
grigio di Londra, per tutto il congresso. Il risultato ha riprodotto ed
accentuato quello di un mese fa sulle mozioni, dove votavano i soli
iscritti.
Emiliano, al contrario, è stato un po’ troppo effervescente, con
uscite a volte incongrue, ed aveva una base di partenza troppo ristretta
(la sola Puglia e regioni circonvicine) e il “vai e vieni” con la
scissione non gli ha giovato.
Dunque, la concorrenza non era al livello della sfida.
Ma basta a dire che Renzi ha vinto? Certo è arrivato primo con una
percentuale un po’ più alta di 4 anni fa, ma di mezzo, c’è stata una
scissione e l’uscita di molti militanti, il Pd di oggi corrisponde alla
sola corrente renziana di questi anni che si è divisa in tre. Dunque un
70% ma su una base di partenza più ridotta e con qualche segnale
interessante come il calo dei votanti al Nord (ed il tracollo nelle
regioni rosse) compensato in parte dall’aumento nelle regioni
meridionali.
All’inizio del confronto avevo fatto una previsione sbagliata,
ipotizzando che Renzi potesse arrivare sotto il 50%, con Orlando oltre
il 35% ed Emiliano il 15%. Quella previsione si basava sull’ipotesi che
Franceschini ed i piemontesi si smarcassero da Renzi e che Orlando
raccogliesse quasi del tutto il gruppo dei giovani turchi.
Quanto a Emiliano, sembrava profilarsi una convergenza con De Luca.
Invece tutti questi pezzi sono restati con Renzi, preferendo non
scommettere su un ricambio così poco convincente. Dunque, quello di
Renzi è stato sostanzialmente un successo dovuto all’apparato che lo ha
retto, mentre Orlando ha incassato la fiducia di diversi notabili
(Violante, Finocchiaro, Zingaretti...) ma ha inciso pochissimo
nell’apparato, salvo qualche zona molto circoscritta (non è arrivato
primo neanche nella sua Liguria) e, per il resto ha raccolto di più
nell’elettorato di opinione, che, però, è in calo. Emiliano è stato
sorretto dall’apparato pugliese e per il resto da isole di consenso qua è
là in Calabria, Sicilia, Lucania.
Dunque, Renzi deve la vittoria largamente ai “boiardi” del partito
a differenza di quattro anni fa, quando stravinse soprattutto grazie al
boom del primo turno, quando arrivò primo soprattutto grazie al voto
d’opinione che poi fu alla base del suo successo alle europee di pochi
mesi dopo. Quel feeling è andato scemando e si è rotto dopo il 4
dicembre.
Cosa accadrà dopo questo voto e che faranno le altre componenti del partito?
Su Emiliano ed i suoi non mi pronuncio: l’uomo è troppo imprevedibile,
per cui può darsi che resti nel partito se gli si riconoscerà il ruolo
di vicerè per il sud, oppure scavandosi una nicchia (o una trincea). Ma
può anche darsi che ne esca. In questo caso, però, non credo si diriga
verso Mdp o Si o Rifondazione, quanto piuttoso una “Lega Sud” in
compagnia di De Magistris.
Diverso il discorso su Orlando: ci sono stati diversi suoi
sostenitori, come il consigliere regionale lombardo Rosati, che, sin
dall’inizio, hanno dichiarato di non aderire alla scissione e restare
nel partito nella speranza di rovesciare Renzi ma che avrebbero
riconsiderato la loro decisione se avesse nuovamente vinto il
fiorentino.
Ora che la sconfitta è arrivata, è plausibile che questi (o almeno
una parte di loro) “si allontanino alla spicciolata” ed è altrettanto
probabile che ad essi si associno altri delusi della battaglia. Qui c’è
da capire cosa farà Orlando che può decidere di restare, ripetendo la
traiettoria di Bersani che è arrivato quasi senza truppe allo scontro
finale, perché i suoi uscivano uno alla volta, o se troverà il coraggio
di una nuova scissione. Di fatto c’è che Renzi avrà molti meno seggi da
distribuire in occasione delle politiche (realisticamente 200 fra camera
e Senato, contro i quasi 350 complessivi attuali) dove deve soddisfare
molti appetiti di quelli che lo hanno sostenuto (a cominciare da De Luca
che vuole piazzare il figlio). Il che significa che ci sarà assai poco
spazio per gli orlandiani che dovranno accontentarsi di qualche
riconferma. Anche questo potrebbe consigliare una uscita in gruppo dal
partito.
Ma, che ci sia una nuova scissione o tutto si riduca ad abbandoni
individuali (prevedibilmente non pochi) va da sé che la tendenza, almeno
per ora, è quella ad un ulteriore indebolimento del Pd ed uno
stillicidio prolungato potrebbe rivelarsi più dannoso di un taglio
secco.
Ma i guai più grossi per Renzi verranno, con ogni probabilità, dal correntone che lo ha retto.
Abbiamo detto che oggi il suo rapporto di forze con i boiardi è molto
inferiore a quello degli inizi ed in queste condizioni diventa difficile
fare le liste da solo: bisogna pur sempre passare per la direzione dove
i vari Fassino, Franceschini, Zanda, De Luca, Orfini eccetera, hanno un
forte peso e ciascuno ha il suo codazzo di seguaci da garantire. Per di
più Renzi ha bisogno di loro per vincere la battaglia con i
“ministeriali” (Gentiloni, Padoan, eccetera) che non ne vogliono sapere
di elezioni in autunno. Non sarà facile reggere questo delicato
equilibrio e rilanciare il partito in un momento complicato come questo.
Quando un partito incassa una sconfitta storica come quella del 4 dicembre e non è in grado di trovare un nuovo gruppo dirigente
o anche solo un nuovo leader, vuol dire che è un partito avviato ad un
inesorabile declino, che non è detto duri poco o non possa avere
sussulti, ma che resta sul viale del tramonto.
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