Il mondo non ascolta le nostre storie o vede la nostra realtà, perché dovrebbe essere solidale con noi?
Il “piano per il Medio Oriente” di Donald Trump ha pienamente adottato l’agenda israeliana e ignora il problema fondamentale che è continuato per più di 70 anni.
I Palestinesi non stanno cercando di migliorare le condizioni della loro detenzione, vogliamo il ritorno dei nostri rifugiati e la fine dell’occupazione.
Questa è la realtà, i Palestinesi sono isolati, con pochissima libertà di movimento e nessuna voce per raccontare la nostra versione della storia. Ciò non cambierà con questo “patto”, soprattutto quando la comunità internazionale chiuderà un occhio sulla realtà sul campo della gente comune.
Sento l’isolamento che i Palestinesi subiscono quando viaggio. Quello che amo di più nel viaggiare è la libertà di movimento; essere in grado di salire in macchina, ascoltare musica e partire.
Più di 70 anni dopo che la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo ha sancito il diritto alla libertà di circolazione, essa non è contemplato per la maggior parte dei Palestinesi.
Le persone in tutto il mondo, anche quelle che potrebbero non sapere di avere questo diritto, lo esercitano quotidianamente. Ma per quelle che vivono nei Territori Palestinesi – essenzialmente un campo di detenzione circondato da recinzioni, mura e torri militari – cercare di provarlo è rischiare la vita.
A Gaza e in Cisgiordania, la possibilità di una persona di viaggiare è subordinata all’ottenimento di un permesso da parte del governo israeliano, per poi essere inserito in una lista d’attesa amministrata dal Ministero dell’interno di Gaza. Come risultato, la maggior parte degli abitanti di Gaza non ha lasciato la Striscia dall’inizio del blocco israeliano nel 2007. La decisione di viaggiare è di solito presa solo in caso di estrema necessità, come per urgenti cure mediche.
Qualche mese fa ho ricevuto l’invito da NOCVACT, l’Istituto Internazionale per l’Azione Nonviolenta, con sede in Spagna, a partecipare a un’audizione, in collaborazione con numerose altre organizzazioni civili, sulla situazione di Gaza. Mi fu chiesto di tenere conferenze in Belgio, Germania, Spagna, Repubblica Ceca, Italia, Finlandia, Olanda, Francia e Slovenia. Questo invito è stato il motivo per cui mi è stato concesso il visto di Schengen e, non appena l’ho ricevuto, ho registrato il mio nome sulla lista di attesa per viaggiare da Gaza.
Ho aspettato per due mesi.
Le conversazioni che ho avuto con i miei colleghi europei in questo periodo hanno sintetizzato perfettamente le differenze nelle nostre esperienze e aspettative.
Loro dovevano programmare le mie attività.
“In che giorno?” chiedevano.
“Non lo so dire”, rispondevo. “Non dipende da me”.
“Va bene. In quale settimana?”
“Non so neanche questo” rispondevo. “I piani possono essere fatti solo quando ho effettivamente lasciato Gaza.”
“Allora in che mese sarà?”
“Forse a dicembre, forse a gennaio. Quando potrò viaggiare ve lo farò sapere”.
Quando alla fine ho ottenuto il permesso di viaggiare, l’esperienza è stata di gioia offuscata dal dolore che altri del mio paese non potevano godere di questo semplice diritto.
Sulla strada dalla Germania alla Repubblica Ceca e successivamente dalla Repubblica Ceca all’Austria, non ho visto frontiere per indicarmi che stavo entrando in un altro paese. L’unico ad informarmi è stato il messaggio di benvenuto che ho ricevuto da Telecom sul mio cellulare.
Ho potuto attraversare gli aeroporti europei senza registrazione, senza liste d’attesa e senza lunghi interrogatori; ho potuto sbarcare da un aereo e dirigermi al cancello d’uscita senza essere fermato da un agente di sicurezza. È stato uno shock.
Dozzine di attivisti che ho incontrato in Europa mi hanno detto di aver visitato la Palestina. Il pensiero che avevano vagato per le nostre città, imparato la nostra cultura, assaggiato il nostro cibo e sentito il calore del nostro sole, mi ha sempre fatto sentire bene. “Hai visitato Gaza?” chiedevo loro. “No, solo la Cisgiordania,” rispondevano invariabilmente, “Israele non ci dava il permesso di visitare Gaza.”
Non solo i Gazawi sono chiusi sotto chiave. E questo isolamento sta uccidendo noi e la nostra storia. Se la gente non ci conosce, non vede la nostra realtà, le possibilità che solidarizzi con noi diminuiscono.
Durante il mio viaggio in Europa, ho visto di persona cosa significa quando i Palestinesi a Gaza non possono raccontare la loro storia. Mi è stato chiesto ripetutamente da persone che non sapevano nulla della lunga storia in cui gli ebrei sono una parte importante della società araba, perché gli arabi fossero così ostili agli ebrei.
Mi è stato domandato del ruolo di Hamas nella Grande Marcia del Ritorno – proteste pacifiche del venerdì da parte dei Palestinesi – e se questa fosse la ragione per cui l’esercito israeliano aveva usato una forza eccessiva contro i manifestanti. Ho risposto che, secondo l’OCHA, 213 Palestinesi sono stati uccisi dall’inizio delle manifestazioni nel marzo 2018 e più di 36.000 sono rimasti feriti, molti dei quali con disabilità permanenti. Invece, nessun Israeliano era morto.
Mi è stato chiesto perché non abbiamo fatto semplicemente pace con gli israeliani. Ma la pace non può essere avviata dalle vittime di occupazione, deportazione e oppressione, ho risposto.
Adesso che il nuovo piano per il Medio Oriente di Trump mette a tacere le voci dei Palestinesi, le nostre storie, le nostre realtà, più che mai l’Europa ha una decisione da prendere.
Per anni l’Europa ha espresso la sua “profonda preoccupazione” per le uccisioni mirate e gli insediamenti illegali d’Israele. Ma gli attivisti filo-palestinesi subiscono sempre più censure e restrizioni nei paesi europei.
A maggio scorso, la Germania ha approvato una risoluzione simbolica che designa il movimento per Boicottaggio Disinvestimenti e Sanzioni (Bds) come “antisemita”, anche se le richieste del movimento si basano sul diritto internazionale e i metodi che utilizza sono pacifici.
A dicembre, il Parlamento francese ha approvato una risoluzione che definisce l’”antisionismo” una forma di “antisemitismo”.
L’Europa oggi è di fronte a una prova: apprezzerà i principi della libertà di opinione, di espressione e il diritto internazionale che li sottende o aiuterà a continuare a mettere a tacere e soffocare i Palestinesi?
Se l’Europa e la comunità internazionale appoggiano il piano per il Medio Oriente di Trump – un piano in cui i Palestinesi non hanno voce – la risposta sarà chiara.
di Ahmed Abu Artema giornalista e scrittore di Gaza, tra gli ideatori della Grande Marcia del Ritorno che si è tenuta a Gaza quasi tutti i venerdì per quasi due anni e che continuerà a scadenze più ampie. È reduce da un viaggio in Europa, come lui stesso racconta, che lo ha portato in diverse città italiane: Napoli, Avellino, Roma, Pistoia, Firenze, Bologna, Trieste, Torino.
Traduzione di Flavia Lepre
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento