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11/02/2020

Valle d’Aosta - Come nascondere la mafia sotto il “senso d’appartenenza”

Chi ha seguito le vicende politiche della Valle d’Aosta dell’ultimo anno, saprà che in questa piccola, ricca regione autonoma del nord Italia è successo – come dicono i francesi – “n’importe quoi”.

Il 23 gennaio 2019, l’inchiesta Geenna aveva portato agli arresti del consigliere regionale Marco Sorbara, dell’ex assessore alle Finanze di Saint-Pierre Monica Carcea e dell’ex consigliere comunale di Aosta Nicola Prettico, con l’accusa di voto di scambio mafioso.

Nel mese di aprile, si era insediata la commissione antimafia per approfondire e verificare se le infiltrazioni mafiose avessero condizionato le normali attività e l’andamento politico delle due amministrazione comunali. In tal caso, per i due comuni sarebbe scattato il commissariamento.

Nonostante il profondo sgomento dell’intera comunità valdostana di fronte a un sistema che si stava rivelando guasto nel suo insieme, gli arresti erano stati rigettati come “corpi estranei” dai partiti autonomisti in seno ai quali erano stati eletti, e trattati come “casi isolati” e non significativi a livello politico, in quanto riconducibili alle sole responsabilità penali individuali dei tre.

Il 21 dicembre2019, sempre in seguito all’operazione Geenna, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, aveva deliberato lo scioglimento per 18 mesi del Consiglio comunale di San Giorgio Morgeto (comune della Calabria gemellato con quello di Aosta) e il contestuale affidamento dell’amministrazione a una “commissione di gestione straordinaria”.

Contemporaneamente, in Valle d’Aosta, la Ddl di Torino apriva una nuova inchiesta (Egomnia) e questa volta gli indagati erano il Presidente della regione Antonio Fosson, gli assessori regionali Laurent Viérin e Stefano Borrello e il Consigliere Luca Bianchi, sempre per voto di scambio mafioso, sempre appartenenti a liste autonomiste, come quelli dell’inchiesta Geenna del mese di gennaio.

Quindi gli indagati si dimettevano dalle loro cariche scatenando una crisi politica del governo regionale e il successivo esercizio provvisorio del bilancio, approvato dopo un lungo travaglio fatto di cambi di casacche, ricatti e guerre intestine, il 31 gennaio del 2020.

Lo scorso 4 febbraio, per finire, è arriva la sentenza definitiva del Consiglio dei Ministri sul commissariamento dei due comuni valdostani toccati dall’operazione Geenna: Aosta si è salvata, ma il piccolo comune di Saint Pierre (3000 abitanti), no. Per la prima volta in Valle d’Aosta, un’amministrazione comunale sarà affidata a una “commissione di gestione straordinaria”.

Di fronte a un fatto così grave, ci si aspetterebbe che finalmente l’Union Valdôtaine e i suoi partiti satelliti cominciassero a fare un po’ di autocritica, che ammettessero che la Valle d’Aosta non è estranea alla mafia, nonostante i vantaggi economici e i poteri politici derivanti dal suo Statuto Speciale.

Ci si aspetterebbe dicessero che la mafia è una montagna di merda indipendentemente dalle zone geografiche in cui si radica e dalle origini di chi la pratica, che divulgassero un monito, che lanciassero un forte segnale di discontinuità e rottura rispetto a un sistema evidentemente corrotto e profondamente malato.

E invece no.

“Sono certo che i Sen Pierrolèn (abitanti di Saint-Pierre, ndr) si riscatteranno superando con la tenacia dei montanari questo momento difficile, dimostrando di essere del tutto estranei alle logiche mafiose“, dichiara su twitter il senatore valdostano Albert Lanièce, dell’Union Valdôtaine.

Usando parole simili, il Presidente ad interim della regione, sempre dell’UV, richiama le radici etniche del popolo valdostano per riportare la questione mafiosa sul piano geografico e razziale facendo appello al senso di appartenenza della comunità valdostana: “il dolore, la rabbia e la consapevolezza che questa ferita colpisce profondamente il nostro ‘senso di appartenenza’ non può però che spronarci a lavorare sin da subito con umiltà, onestà, serietà e coesione per allontanare dal nostro territorio ogni dubbio in merito all’operato delle nostre Istituzioni e ai valori nei quali da sempre si riconosce la nostra comunità”.

Un discorso razzista del secolo scorso, il loro. Ma non è certo una novità – di questi tempi – che a farlo non siano gli anonimi avventori di un bar, bensì le alte cariche istituzionali dello Stato e della Regione.

E non è nemmeno una novità che i politici autonomisti strumentalizzino il discorso identitario per i propri fini politici ed elettorali, facendo leva sul sentimento di attaccamento alle radici etniche e territoriali del popolo valdostano.

Hanno “campato” di questo per oltre cinquant’anni. Talvolta, il nemico da cui difendere la comunità autoctona è stato lo Stato italiano, talvolta sono stati tutti gli stranieri, talvolta i “fratelli” calabresi (“i calabrotti” – come li chiamano qui), a seconda del momento e della “pericolosità” della minaccia individuata.

Una vecchia storia che viene da lontano, la loro, ma incredibilmente al passo coi tempi. I tempi bui del “Prima gli italiani” di Salvini, apparentemente avversi a quelli delle piccole correnti autonomiste locali, in realtà a loro propizi e favorevoli, perché generati dalla stessa mentalità razzista e conservatrice e dalla stessa pochezza di contenuti politici e mancanza di etica. Nonostante leghisti e autonomisti, in Valle d’Aosta, appaiano attualmente come due forze opposte.

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