Dal catastrofismo alla realtà sono passati solo dieci anni.
Gli insetti del crepuscolo. Questo è un racconto che ho scritto circa un decennio fa, e che è pubblicato sul mio blog del Manifesto dal 2012. Trovate il racconto qui sotto.
Riletto nel 2021, questo – sotto molti versi mediocre – parto letterario è tuttavia impressionante, per come è cosparso di elementi di profezia. Io stesso me lo ero dimenticato, come tutti del resto, ma rileggerlo mi ha messo i brividi. Certamente, dato che lo scrivente è un discreto professore, ma un mediocre scrittore, e neppure un santone con la palla di vetro che conosce il futuro, il racconto – che azzecca molte delle cause iniziali del disastro che stiamo vivendo – andrebbe un po’ modificato in alcuni dettagli, per corrispondere meglio alla realtà di oggi. Ed a quello che succederà nei prossimi decenni, che date le premesse, e dato il mio modo di vedere le cose, è spaventoso.
Alcune cose, nel racconto, si sono verificate, anche se non ci voleva chissà quale dotazione di profezia per capirlo.
Vediamo di andare per ordine.
1) I mutamenti climatici stanno rendendo la Terra inabitabile. Ma non direttamente per la temperatura, il livello del mare, e neppure per gli uragani, le alluvioni, o la siccità, bensì con un meccanismo un poco più complicato. Sapete, non è che semplicemente farà più caldo, la Liguria andrà sott’acqua e il Piemonte diventerà come la Florida: mica è come alzare un po’ il riscaldamento di casa.
Su questo il racconto si dilunga all’inizio, e non sbaglia. Ero favorito dall’aver fatto ricerca sui mutamenti climatici più o meno dal 2000, accoppiandola però con il mio naturale amore per i sistemi complessi. Se in un semplice reattore nucleare si innescano, in seguito ad un aumento della temperatura, così tante controreazioni, cambiamenti – attraverso meccanismi anche molto complicati – delle sue proprietà, a volte incontrollabili, viene naturale pensare che un sistema estremamente complesso come la Terra reagisca in maniere così articolate da sembrare, dato che conosciamo solo in parte la fisica che lo governa, imprevedibili.
Tra l’altro la Terra non è solo un sistema fisico, è un ecosistema con milioni di specie viventi; un vero guaio se si vogliono fare delle previsioni...
2) L’occupazione selvaggia del territorio, “antropizzandolo” (oh, quale eufemismo) sempre più velocemente, riempiendo la Terra di individui della nostra specie che vivono in città, ambienti artificiali e contro natura, sempre più ampi, collegati da vie di comunicazione sempre più impattanti sul territorio, aerei che volano come mosche impazzite, industrie, allevamenti intensivi, colture intensive, ha ridotto le zone “selvagge” del Pianeta sempre di più.
Si noti la nostra terminolgia, che è la stessa dei conquistadores o dei coloni nordamericani: “selvaggio” sarebbe poi l’ambiente naturale, quello che è stato normale per la Terra per il 99,9% della sua storia recente, diciamo da 100 milioni di anni fa fino a un paio di migliaia di anni addietro. Anche questo, è descritto nel mio raccontino.
3) A causa di quanto abbiamo fatto, gli ecosistemi adatti alla sopravvivenza degli animali “selvaggi” (aridaje) sono quasi spariti. Togliendo noialtri, ed alcune poche specie da noi selezionate (esempio, alcuni bovini e suini) sappiamo che la biomassa animale “selvaggia” è ridotta allo 0.1% di quella totale.
In questa situazione residuale, molte specie si sono estinte, altre sono divenute insignificanti nel numero, fossili viventi, eccetera. Anche questo, è descritto.
4) Fra le specie che, per ora, risentono meno di questo terremoto troviamo non certo i mammiferi, gli uccelli o i pesci. Troviamo gli insetti, favoriti dall’enorme quantità di specie a disposizione, quindi da una di gran lunga maggiore adattabilità. Certo, non tutti, abbiamo visto cosa sta succedendo alle api, o alle lucciole.
Ma – gli insetti – hanno milioni di specie: l’accelerazione febbrile del metabolismo della Terra permette loro, a fronte di molte vittime, di avere molte specie in grado di evolversi e sopportare, anzi trarre vantaggio, dal mutare delle condizioni.
Inoltre, quelli sopra di loro (esempio, rondini e pipistrelli) nella catena alimentare sono falcidiati, e quindi, allez!, c’è spazio. Anche questo, è descritto.
Da qui, il racconto ha bisogno di qualche aggiustamento.
5) Non tutti gli animali che vengono cacciati dai loro habitat hanno la cortesia di estinguersi e basta, sgombrando il terreno. Ci sono dei meccanismi di controreazione dell’habitat stesso, che non dipendono volontariamente dagli animali.
Partiamo dal fatto che le specie superstiti siano anche più deboli e suscettibili al manifestarsi di altre forme di vita ancora più semplici, come parassiti, batteri, virus. Consideriamo poi che espandendosi a dismisura, gli umani si trovano a convivere con queste specie animali negli stessi habitat.
Come si difendono da questa nostra intrusione? Mordendo, graffiando, pungendo? Siamo troppo semplicioni. Un bel meccanismo, del tutto involontario, si chiama zoonosi o salto di specie.
Si tratta di virus acrobati, capaci di adattarsi e infettare nuove specie. Normalmente non succede: il mio cane Pippo Pancino ha le sue malattie, che so, cimurro e leptospirosi, ma noi ne siamo immuni. E viceversa. Quasi sempre è così, ma se si moltiplicano a dismisura contatti, convivenze, e malattie, dai che ti dai, uno di queste riesce a fare il salto di specie.
Esempietto a caso: se tu vai a insediarti in certe foreste subtropicali della Cina, e fai a gomitate convivendo con certe specie selvatiche, che so, di pipistrelli, e proprio a casetta loro ci allevi pure i maiali, che poi ti mangi, ecco che per lo stress una di queste “rate vuloire” (così le chiamiamo in piemontese) si ammala di un nuovo virus, e proprio quella volta lì questo virus è capace a fare il salto di specie, e dal pipistrello eccoci al maialino, che poi dal maiale all’uomo, come sappiamo, il passo è breve.
Dice: eh però che sfortuna, che abbiamo avuto, con questo virus COVID-19! Mica vero: chissà quante altre milionate di volte ci è andata bene, e il disastro non è successo. Ma tanto va la gatta al lardo...
Questo nel racconto non è descritto con esattezza, ma solo a grandi linee, mica sono un biologo, io. Io supponevo che un qualche tipo di insetto si evolvesse in una specie gigante, capace di fondersi e trasformare alcuni uomini in grandi pipistrelli carnivori, che si sarebbero pasciuti dei miliardi di cicciottelle scimmie nude Homo sapiens sapiens, bocconcino per loro prelibato. Troppi film di fantascienza visti, temo, troppa letteratura cyber-punk, troppo Kafka.
6) Va beh, tornando alla realtà, la razza umana è dominatrice del Pianeta ed ha la capacità di sconfiggere il virus, no? Come già fatto in passato, e con perdite relativamente contenute (per ora tre milioni di morti, facciamo sette alla fine, vuol dire solo una persona su mille).
Solo che la civiltà umana del 2020 ha dimostrato come la sua complessità sia anche la sua debolezza. È bastato un virus neppure troppo cattivo e mortale a mandarla in crisi profonda. Chi lo avrebbe detto che – la nostra civiltà – sarebbe stata tramortita non già dalla guerra atomica, oppure dall’esaurimento delle risorse, ma da un piccolo insignificante virus capace di infettare finora 150 milioni di persone, facendone morire 3 milioni? Anche di questo, nel racconto, occorrerà parlare meglio.
7) Quanto ci metteremo a riprenderci da questa batosta? Parecchio. Ma “riprenderci” a quanto pare vuol dire rimetterci a inquinare il pianeta, occuparlo vieppiù, stuprando la Terra con rinnovata lena.
Non ci vuole poi molto a capire che questo COVID-19 era solo un avvertimento, un primo scricchiolio. Ma dato che continueremo così, altri accidenti simili e di maggior gravità seguiranno. Sempre più grandi e sempre più frequenti.
Riusciranno i nostri eroi a fronteggiarli? Magari all’inizio sì, ma a quale prezzo ogni volta? Si stima che un evento solo un po’ più grave di questo avrebbe conseguenze non più controllabili sugli equilibri sui quali si basa la società umana attuale.
Siamo come dentro uno di quegli alloggi di città dove si consuma un mucchio di gasolio per tenerli eccessivamente riscaldati, che al calduccio stiamo bene; ma in quell’ambiente malsano finiamo per ammalarci, dobbiamo spendere risorse per curarci, lavoriamo sempre di meno, finché ci mancano i soldi per pagare il riscaldamento, ci chiudono i termosifoni e disabituati al freddo ci pigliamo una bella polmonite e “ciao core”.
Conclusione. Allora moriremo tutti? La nostra civiltà è destinata a scomparire in un olocausto di epidemie e virus? Non credo. Però credo che occorreranno ben altre batoste rispetto a questa pandemia, per farci smettere di nuocere al Pianeta. Farci smettere volontariamente (del che, ne dubito) o forzosamente, in questo ultimo caso perché tutto questo bel castello di vetro e cemento crollerà riducendoci gioco forza a diventare, quelli che sopravviveranno, una specie non più nociva per il suo stesso habitat.
Non credo l’umanità sia in grado di fermarsi in tempo, imparare alla svelta ed evitare tutte le catastrofi che verranno. Temo dovremo, prima, farci molto male. Sono una isterica Cassandra, un pazzo? Andrà invece “tutto bene”?
Io lo spero. Perché fra gli attori di questo bel tragedione catastrofico che ho prospettato per il futuro ci sono anche due comparse, i miei figli Stefano (anni 13) ed Emilia (anni 9). Non aggiungo altro.
Buona lettura de “Gli insetti del crepuscolo”, se vorrete. Ma anche no, eh.
Gli insetti del crepuscolo. Questo è un racconto che ho scritto circa un decennio fa, e che è pubblicato sul mio blog del Manifesto dal 2012. Trovate il racconto qui sotto.
Riletto nel 2021, questo – sotto molti versi mediocre – parto letterario è tuttavia impressionante, per come è cosparso di elementi di profezia. Io stesso me lo ero dimenticato, come tutti del resto, ma rileggerlo mi ha messo i brividi. Certamente, dato che lo scrivente è un discreto professore, ma un mediocre scrittore, e neppure un santone con la palla di vetro che conosce il futuro, il racconto – che azzecca molte delle cause iniziali del disastro che stiamo vivendo – andrebbe un po’ modificato in alcuni dettagli, per corrispondere meglio alla realtà di oggi. Ed a quello che succederà nei prossimi decenni, che date le premesse, e dato il mio modo di vedere le cose, è spaventoso.
Alcune cose, nel racconto, si sono verificate, anche se non ci voleva chissà quale dotazione di profezia per capirlo.
Vediamo di andare per ordine.
1) I mutamenti climatici stanno rendendo la Terra inabitabile. Ma non direttamente per la temperatura, il livello del mare, e neppure per gli uragani, le alluvioni, o la siccità, bensì con un meccanismo un poco più complicato. Sapete, non è che semplicemente farà più caldo, la Liguria andrà sott’acqua e il Piemonte diventerà come la Florida: mica è come alzare un po’ il riscaldamento di casa.
Su questo il racconto si dilunga all’inizio, e non sbaglia. Ero favorito dall’aver fatto ricerca sui mutamenti climatici più o meno dal 2000, accoppiandola però con il mio naturale amore per i sistemi complessi. Se in un semplice reattore nucleare si innescano, in seguito ad un aumento della temperatura, così tante controreazioni, cambiamenti – attraverso meccanismi anche molto complicati – delle sue proprietà, a volte incontrollabili, viene naturale pensare che un sistema estremamente complesso come la Terra reagisca in maniere così articolate da sembrare, dato che conosciamo solo in parte la fisica che lo governa, imprevedibili.
Tra l’altro la Terra non è solo un sistema fisico, è un ecosistema con milioni di specie viventi; un vero guaio se si vogliono fare delle previsioni...
2) L’occupazione selvaggia del territorio, “antropizzandolo” (oh, quale eufemismo) sempre più velocemente, riempiendo la Terra di individui della nostra specie che vivono in città, ambienti artificiali e contro natura, sempre più ampi, collegati da vie di comunicazione sempre più impattanti sul territorio, aerei che volano come mosche impazzite, industrie, allevamenti intensivi, colture intensive, ha ridotto le zone “selvagge” del Pianeta sempre di più.
Si noti la nostra terminolgia, che è la stessa dei conquistadores o dei coloni nordamericani: “selvaggio” sarebbe poi l’ambiente naturale, quello che è stato normale per la Terra per il 99,9% della sua storia recente, diciamo da 100 milioni di anni fa fino a un paio di migliaia di anni addietro. Anche questo, è descritto nel mio raccontino.
3) A causa di quanto abbiamo fatto, gli ecosistemi adatti alla sopravvivenza degli animali “selvaggi” (aridaje) sono quasi spariti. Togliendo noialtri, ed alcune poche specie da noi selezionate (esempio, alcuni bovini e suini) sappiamo che la biomassa animale “selvaggia” è ridotta allo 0.1% di quella totale.
In questa situazione residuale, molte specie si sono estinte, altre sono divenute insignificanti nel numero, fossili viventi, eccetera. Anche questo, è descritto.
4) Fra le specie che, per ora, risentono meno di questo terremoto troviamo non certo i mammiferi, gli uccelli o i pesci. Troviamo gli insetti, favoriti dall’enorme quantità di specie a disposizione, quindi da una di gran lunga maggiore adattabilità. Certo, non tutti, abbiamo visto cosa sta succedendo alle api, o alle lucciole.
Ma – gli insetti – hanno milioni di specie: l’accelerazione febbrile del metabolismo della Terra permette loro, a fronte di molte vittime, di avere molte specie in grado di evolversi e sopportare, anzi trarre vantaggio, dal mutare delle condizioni.
Inoltre, quelli sopra di loro (esempio, rondini e pipistrelli) nella catena alimentare sono falcidiati, e quindi, allez!, c’è spazio. Anche questo, è descritto.
Da qui, il racconto ha bisogno di qualche aggiustamento.
5) Non tutti gli animali che vengono cacciati dai loro habitat hanno la cortesia di estinguersi e basta, sgombrando il terreno. Ci sono dei meccanismi di controreazione dell’habitat stesso, che non dipendono volontariamente dagli animali.
Partiamo dal fatto che le specie superstiti siano anche più deboli e suscettibili al manifestarsi di altre forme di vita ancora più semplici, come parassiti, batteri, virus. Consideriamo poi che espandendosi a dismisura, gli umani si trovano a convivere con queste specie animali negli stessi habitat.
Come si difendono da questa nostra intrusione? Mordendo, graffiando, pungendo? Siamo troppo semplicioni. Un bel meccanismo, del tutto involontario, si chiama zoonosi o salto di specie.
Si tratta di virus acrobati, capaci di adattarsi e infettare nuove specie. Normalmente non succede: il mio cane Pippo Pancino ha le sue malattie, che so, cimurro e leptospirosi, ma noi ne siamo immuni. E viceversa. Quasi sempre è così, ma se si moltiplicano a dismisura contatti, convivenze, e malattie, dai che ti dai, uno di queste riesce a fare il salto di specie.
Esempietto a caso: se tu vai a insediarti in certe foreste subtropicali della Cina, e fai a gomitate convivendo con certe specie selvatiche, che so, di pipistrelli, e proprio a casetta loro ci allevi pure i maiali, che poi ti mangi, ecco che per lo stress una di queste “rate vuloire” (così le chiamiamo in piemontese) si ammala di un nuovo virus, e proprio quella volta lì questo virus è capace a fare il salto di specie, e dal pipistrello eccoci al maialino, che poi dal maiale all’uomo, come sappiamo, il passo è breve.
Dice: eh però che sfortuna, che abbiamo avuto, con questo virus COVID-19! Mica vero: chissà quante altre milionate di volte ci è andata bene, e il disastro non è successo. Ma tanto va la gatta al lardo...
Questo nel racconto non è descritto con esattezza, ma solo a grandi linee, mica sono un biologo, io. Io supponevo che un qualche tipo di insetto si evolvesse in una specie gigante, capace di fondersi e trasformare alcuni uomini in grandi pipistrelli carnivori, che si sarebbero pasciuti dei miliardi di cicciottelle scimmie nude Homo sapiens sapiens, bocconcino per loro prelibato. Troppi film di fantascienza visti, temo, troppa letteratura cyber-punk, troppo Kafka.
6) Va beh, tornando alla realtà, la razza umana è dominatrice del Pianeta ed ha la capacità di sconfiggere il virus, no? Come già fatto in passato, e con perdite relativamente contenute (per ora tre milioni di morti, facciamo sette alla fine, vuol dire solo una persona su mille).
Solo che la civiltà umana del 2020 ha dimostrato come la sua complessità sia anche la sua debolezza. È bastato un virus neppure troppo cattivo e mortale a mandarla in crisi profonda. Chi lo avrebbe detto che – la nostra civiltà – sarebbe stata tramortita non già dalla guerra atomica, oppure dall’esaurimento delle risorse, ma da un piccolo insignificante virus capace di infettare finora 150 milioni di persone, facendone morire 3 milioni? Anche di questo, nel racconto, occorrerà parlare meglio.
7) Quanto ci metteremo a riprenderci da questa batosta? Parecchio. Ma “riprenderci” a quanto pare vuol dire rimetterci a inquinare il pianeta, occuparlo vieppiù, stuprando la Terra con rinnovata lena.
Non ci vuole poi molto a capire che questo COVID-19 era solo un avvertimento, un primo scricchiolio. Ma dato che continueremo così, altri accidenti simili e di maggior gravità seguiranno. Sempre più grandi e sempre più frequenti.
Riusciranno i nostri eroi a fronteggiarli? Magari all’inizio sì, ma a quale prezzo ogni volta? Si stima che un evento solo un po’ più grave di questo avrebbe conseguenze non più controllabili sugli equilibri sui quali si basa la società umana attuale.
Siamo come dentro uno di quegli alloggi di città dove si consuma un mucchio di gasolio per tenerli eccessivamente riscaldati, che al calduccio stiamo bene; ma in quell’ambiente malsano finiamo per ammalarci, dobbiamo spendere risorse per curarci, lavoriamo sempre di meno, finché ci mancano i soldi per pagare il riscaldamento, ci chiudono i termosifoni e disabituati al freddo ci pigliamo una bella polmonite e “ciao core”.
Conclusione. Allora moriremo tutti? La nostra civiltà è destinata a scomparire in un olocausto di epidemie e virus? Non credo. Però credo che occorreranno ben altre batoste rispetto a questa pandemia, per farci smettere di nuocere al Pianeta. Farci smettere volontariamente (del che, ne dubito) o forzosamente, in questo ultimo caso perché tutto questo bel castello di vetro e cemento crollerà riducendoci gioco forza a diventare, quelli che sopravviveranno, una specie non più nociva per il suo stesso habitat.
Non credo l’umanità sia in grado di fermarsi in tempo, imparare alla svelta ed evitare tutte le catastrofi che verranno. Temo dovremo, prima, farci molto male. Sono una isterica Cassandra, un pazzo? Andrà invece “tutto bene”?
Io lo spero. Perché fra gli attori di questo bel tragedione catastrofico che ho prospettato per il futuro ci sono anche due comparse, i miei figli Stefano (anni 13) ed Emilia (anni 9). Non aggiungo altro.
Buona lettura de “Gli insetti del crepuscolo”, se vorrete. Ma anche no, eh.
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Gli insetti del crepuscolo
(Questa è – sarebbe – narrativa. Avverto in anticipo. È basata su un sogno – anch’esso – borderline sugli effetti inattesi dell’Effetto Serra.)
I giorni passavano lenti, un po’ sospesi e un po’ in attesa. Era – stando al calendario – l’inizio della primavera, ma l’aria si preannunciava già più calda del normale, malsana e un po’ nebbiosa di mezze piogge, come una stagione che preludesse a cambiamenti.
Il calore del sole filtrava attraverso gli strati inquinati dell’atmosfera sporca, e ci restava più volentieri del solito, lasciando più calduccio del normale alla vecchia Terra, anche se questa non aveva per nulla bisogno del regalo. Sudava, la vecchia Terra, sbuffava accaldata e stracolma di carne umana, continuando a riempirsi di gas ed a scaldarsi.
Fortunatamente, dopo soli cinquant’anni di profonde ed illuminate discussioni, si era finalmente raggiunta l’unanimità fra i Grandi Geni della Scienza Mondiale: questo novello fenomeno di socializzazione fra il pianeta ed il suo astro era senz’altro dovuto ad un meccanismo innescato dall’uomo, che si poteva chiamare con il nome tecnicistico di Effetto Serra.
Eh, già: pareva proprio che i vari miliardi di scimmie nude – sempre più abili e lodevoli nel costruire giocattoli con le loro manine con le dita opponibili – stessero bruciando un po’ troppi fuochi per soddisfare la loro voglia di Progresso (con la P maiuscola, ovvio), così che la loro comune casetta si stava scaldando un po’ troppo; i ghiacciai si erano mezzo sciolti, molte zone costiere erano un ricordo dei bei tempi andati, mentre una simpatica compilation di disastri “naturali” stava allietando tutta la fascia mediana del pianeta: in quei luoghi, le prudenti compagnie di assicurazione avevano smesso da tempo di accettare polizze contro i danni da cicloni, alluvioni e uragani.
Il colpo definitivo alle povere economie disastrate dei paesi asiatici tropicali venne dal crollo verticale degli introiti del turismo: se il paradiso tropicale si trasforma in un inferno alluvionato, tanto vale andare a passare le meritate ferie nelle nuove località balneari, dove vi potrete rilassare con i vostri bimbi. La costa dell’Oregon, le spiagge della Scozia e del Baltico, mentre i fanatici delle isole subtropicali si potevano consolare con le un tempo misconosciute isole Curili, per non parlare della grande Sakhalin, a nord del Giappone, dalle parti della vecchia Vladivostok; o al limite, la nuova terra verde, appunto, la Groenlandia vestita di nuovo.
La Terra, d’altra parte, è molto grande, non è vero, papà? Non poi così grande, non poi così grande, figliolo.
Mammiferi ed uccelli a rischio di estinzione avevano smesso – finalmente! – di soffrire: grazie ai cambiamenti del clima e alla distruzione di tutti gli ecosistemi selvaggi, da tempo pascolavano nel Paradiso delle Creature Estinte, insieme a molte altre razze animali appena appena un po’ cagionevoli di salute, sorprese dal Progresso prima di potercisi adattare.
Alcuni esemplari impagliati, tuttavia, facevano bella mostra di sé nei principali musei, dove venivano proiettati anche interessanti documentari naturalistici, che difettavano soltanto nell’omettere nei titoli di testa la dicitura “C’era una volta”, come si conviene in ogni favola che si rispetti. Una raccolta di figurine-ologramma tridimensionali “I nostri animali estinti” aveva avuto grandissimo successo fra i bambini ricchi di tutto il mondo.
I paesi dell’Africa e dell’Asia tropicale, che avevano risieduto per molti anni fiduciosamente in “Via di Sviluppo”, si erano ritrovati traslocati gratuitamente dall’amorevole attenzione degli Stati Ricchi, chi in “Piazza del deserto di sabbia”, chi in “Vicolo della palude inondata”.
I loro abitanti, inaugurando una nuova forma di turismo ecologicamente consapevole, si erano trasferiti in massa nel settentrione del mondo. Soprattutto quest’ultimo fenomeno, chissà come non gradito dai sedicenti autoctoni europei e nordamericani, aveva provocato un fiorire di grande attenzione e dottissimi studi sul fenomeno del riscaldamento terrestre, da parte di prestigiose istituzioni di ricerca dei paesi ricchi o ex-ricchi: centinaia e centinaia di esperti salmodiavano i più fantasiosi rimedi alla nuova situazione – contingente, stiamone certi – mentre importanti decisioni venivano approvate dai governi.
Tutto questo, fosse ben chiaro, senza rinunciare al Progresso (quello già citato, con la P maiuscola), che si incarnava essenzialmente nel nuovo modello di condizionatore d’aria appena lanciato in quelle settimane sul mercato, pagabile in sole 36 comode rate mensili a partire dal prossimo anno in tutti gli ipermercati. Un nuovo modello di auto ecologica “a zero emissioni” ad idrogeno era però il vero status symbol che distingueva le environmentally concerned people: che l’idrogeno allo stato libero, effettivamente un po’ scarsino a trovarsi sulla Terra, venisse prodotto bruciando il povero vecchio carbone, era un dettaglio che le potenti campagne pubblicitarie orchestrate dai guru dell’idrogeno erano riuscite sapientemente a velare.
Certamente, il fatto che i principali proprietari e promotori del business dell’idrogeno fossero le stesse multinazionali petrolifere – pardòn, ora, energetiche – che avevano ucciso il clima del pianeta con il benestare e la complicità dei governi, poteva destare qualche sospetto nei più sagaci.
Intanto – dopo aver acquistato i suddetti condizionatore ed automobile – tutti gli abitanti della Terra con diritto di parola si lamentavano della situazione, con alti lai sulle rubriche dei giornali, sia conservatori che progressisti. I dibattiti infuriavano accesissimi, mentre i più ecologicamente consapevoli controllavano attentamente se i libretti d’istruzione dei condizionatori fossero stampati su carta riciclata.
Non proprio tutti gli abitanti della Terra, in realtà, erano così scontenti della situazione. Certo, noi avevamo ridotto il pianeta a un mondo ormai invivibile per l’uomo, gli animali e le piante. Già: ma negli animali, in quanto più simili al Signore del Creato, noi umani includiamo automaticamente – con il nostro agile cervello – i mammiferi, gli uccelli e – bontà nostra – anche quei fastidiosi e strani rettili.
Gli insetti non sono “animali”, quelli no. Sono insetti. Va bene, ma per un attimo, come esperimento di democrazia globale, includiamo fra i cittadini del mondo anche gli insetti. Già, in fondo siam migliaia di miliardi, direbbero loro se potessero parlare. Ma parlare non era necessario: era meglio fare. Tessere. Trasformare.
Fra i milioni di specie, non era stato difficile trovarne diverse migliaia che – nel caldo e nell’aria mefitica – si trovassero a loro perfetto agio. Ma zitti, però. Non ancora. Di quello che stava capitando davvero, sul buon caro pianeta, non era opportuno parlarne a voce troppo alta. Non ancora. Mica male, comunque, questo ultimo ritrovato del progresso umano: era proprio il clima che ci voleva per fare grandi e nuove cose.
In ogni parte del globo, lente ma inesorabili, le crisalidi crescevano con meno fatica nei bozzoli. E loro fu la Terra e il Regno dei Cieli. Il Grande Insetto creò le nuove razze a Sua immagine e somiglianza, vide che ciò era buono, e comandò che tutti gli umani fossero masticati.
L’occhio da telecamera dell’insetto si spostò sugli ultimi umani, uno sparuto gruppo di scimmie nude. Mica male, questi umani, però, belli rotondi, anche se ridicolmente goffi e sudati, pensò. Lenti, poi. Con atteggiamento assurdamente indeciso, davanti ad una mortale minaccia predatoria che già aveva masticato e digerito miliardi di loro.
Neppure si accorsero – gli umani – dell’arto velocissimo ed artigliato che con un sol colpo tagliò in due la più polposa delle prede e rapidamente porto i pezzi alla bocca che efficientemente li risucchiò, buon alimento per benzinare il processo di crescita. Poche cose vennero sputate fuori: alcune ossa del bacino e del cranio, in particolare, ancora un poco indigeste per uno stomaco in trasformazione. E in più i polmoni e il fegato, sputati interi sul pavimento del terrazzo. D’altra parte a lui non erano mai piaciute le interiora, neanche da piccolo.
Gli altri cari amici erano ancora lì, paralizzati dal terrore e inelegantemente inondati da schizzi di sangue. Pupazzati ed abbastanza inutili, poi, scarsamente decorativi, buoni solo da sventrare, avendo tempo e voglia. Così sia. Così fu. Game over.
Lui ci pensò un attimo, a quanto aveva mangiato. E mentre combatteva con la laboriosa digestione, prese coraggio e d’un balzo volò via. Mentre volava, d’un tratto percepì nell’aria calda il loro debole fruscio: lente ma inesorabili, le crisalidi crescevano nei bozzoli.
Fonte
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