Al termine di un anno scolastico travagliato e snervante come quello che si sta concludendo, con una situazione pandemica che lascia tutt’altro che tranquilli, la preoccupazione del governo dovrebbe essere quella di preparare adeguatamente il rientro in classe di settembre, procedendo a fare ciò che a cui in quattordici mesi di pandemia non si è provveduto: assumere nuovo personale e risolvere il problema del precariato per ridurre drasticamente il numero di alunni per classe e procedere a quei lavori di edilizia scolastica necessari a tal fine.
Per quanto riguarda studenti e insegnanti, al lumicino delle forze fisiche e nervose dopo un anno di alternanza tra scuola in presenza (poca) e a distanza (tanta), dubbi sulla sicurezza delle scuole mai risolti, discussioni ancora in corso sulla doverosa ammissione di tutti gli studenti alla classe successiva, sarebbe saggio dar loro un meritato momento di riposo, il più ritemprante possibile.
Al contrario la coppia Draghi-Bianchi, che sembra avere una fissazione per tenere le scuole aperte in estate, ne ha inventata un’altra: Il Progetto Scuola Estate, a cui sono destinati oltre 500 milioni di finanziamento, che dovrebbe costituire un “ponte” verso il prossimo anno scolastico.
Il progetto, a cui le scuole, il personale e gli studenti potranno aderire volontariamente, è persino scandito in tre tappe rispettivamente per il periodo di giugno, di luglio e agosto e infine di settembre. In pratica, per chi desidera, sarà possibile trascorrere l’intera estate negli inadeguati edifici scolastici.
Cosa si dovrebbe fare in quei mesi, al di là del polverone dei soliti termini di anglo-italiano, ormai abitudine del ministero, che contribuiscono a confondere le idee, non è chiaro.
Infatti, la Summer school (cioè scuola estiva), dovrebbe aiutare i giovani a recuperare le competenze rimaste incerte a causa della didattica a distanza, ma anche proporre attività socializzanti, di educazione tra pari, laboratori di arte, di musica d’insieme (con quali strumenti non si sa) e di sport.
Il tutto, naturalmente, condito da un’asfissiante e tecnocratica digitalizzazione che dovrebbe farla da padrone in tutte le attività, come se la didattica a distanza non ne avesse già provocato un’indigestione.
È invece chiaro il quadro di riferimento generale dell’iniziativa. Infatti in tutta la circolare occhieggia a più riprese la funzione, ritenuta strategica, dei “Patti educativi di comunità” più volte sostenuta dal ministro Bianchi, che prevede la collaborazione tra scuola pubblica, enti locali e privati, individuati nelle imprese, nelle organizzazioni del terzo settore e in agenti territoriali e sponsor vari.
Infatti, già nelle prime righe si legge che la scuola estiva dovrebbe proporre “approfondimenti per la conoscenza del territorio e delle tradizioni delle realtà locali“; l’incontro con “mondi esterni”, delle professioni o del terzo settore.
Sappiamo cosa possa celarsi dietro al “mondo delle professioni”, soprattutto in un contesto di ingerenza delle imprese nella scuola come quello delineato dalle pagine sulla scuola del Next Generation Fund, di cui ci occuperemo presto.
Non è possibile sapere oggi quale sarà l’adesione delle scuole, degli studenti e delle famiglie a questa iniziativa, ma è possibile che un certo numero di queste ultime vi aderisca, purtroppo in una logica più custodialista che pedagogica, visto il deserto istituzionale che si è creato attorno alla scuola, che rende a volte difficile per le famiglie la gestione del tempo libero dei bambini.
Ma si tratterebbe di una dequalificazione del ruolo della scuola, da istituzione formativa a luogo di custodia. Inoltre, esiste un fondato rischio di aumento della concorrenza tra le scuole, tra istituti che offriranno un servizio alle famiglie e altre che non lo faranno, ma anche tra insegnanti che, nella logica di gerarchizzazione delle professionalità, saranno più “responsabili” e “disponibili” e invece meno.
Ma tutto ciò è perfettamente nella logica del ministro Bianchi.
In ogni caso, é probabile che l’adesione degli insegnanti al progetto non sia massiccia e a questo proposito è legittimo chiedersi quali figure e con quale contratto di lavoro gestiranno la scuola estiva. Nella circolare si accenna a studenti universitari ed esperti che potranno condurre esperienze di imprese simulate o di processi e situazioni complessi risolvibili con software dedicati (ancora le famigerate competenze).
Francamente, temiamo che dietro alle figure degli “esperti” possano celarsi imprese private e sponsor che vedono nella scuola un possibile mercato. Oppure, insegnanti precari senza lavoro che saranno probabilmente retribuiti con salari miseri. Infine, come già accennato, ci sarà forse un’apertura al terzo settore, vale a dire alle cosiddette “cooperative” che forniranno personale ipersfruttato a basso costo.
Una delle tante vie della privatizzazione della scuola, che consentirebbe ai privati di lucrare sulla logica del Patto educativo di comunità, cioè della deleteria sussidiarietà.
La circolare sembra, nel suo tono, rimandare all’idea di una scuola che recupera relazioni e affettività, e ricorda la difficoltà per i bambini di prima elementare di apprendere i fondamenti della scrittura in una situazione cosi difficile.
Tuttavia, il rientro in presenza degli alunni e degli studenti è stato salutato in modo tutt’altro che accogliente, poiché ha coinciso con la somministrazione degli astrusi e discriminatori test INVALSI (e in qualche scuola anche i test PISA), che con la socialità e l’affettività non hanno nulla da spartire. Per le classi seconde elementari, che forse davvero hanno ancora incertezze nella scrittura e la lettura, gli implacabili test INVALSI sono in programma il 6 maggio, in spregio a tutti i discorsi sul favorire un recupero sereno e socievole della vita scolastica.
Proprio il 6 maggio è previsto lo sciopero indetto da USB, Unicobas e Cobas Sardegna per protestare contro un governo che alle esigenze di maggior personale e strutture per la scuola risponde con la digitalizzazione forzata e con i test INVALSI.
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