Sarà una svolta davvero “green”, di quelle che fanno diventare verdi per il travaso di bile.
Era già stato intuibile quando Draghi ha messo Roberto Cingolani sulla poltrona di ministro della “transizione ecologica”. Uno scienziato che arriva dritto dritto dal settore militare di Leonardo, holding a partecipazione pubblica che prima si chiamava Finmeccanica.
Ma il primo atto legislativo concreto che esce dalla sua fucina di pensiero conferma quanto di peggio ci si poteva attendere.
Siccome la parte più grande della torta da 248 miliardi (teorici) descritta nel Pnnr (o Recovey Plan) andrà a finire proprio dalle sue parti (68,6 miliardi), ecco pronto un nuovo “sistema di regole” che consenta di effettuare gli investimenti “senza lungaggini burocratiche”.
Bello, bene, bravo, bis...
Ma quali sono le lungaggini che di solito bloccano gli investimenti “ecologici”? Quel piccolo inciampo chiamato Via – valutazione di impatto ambientale – ossia un esame, condotto da poteri pubblici, sugli effetti che produrrà sull’ambiente circostante una certa azione industriale (investimento).
In effetti, la Via arriva di solito dopo parecchio tempo, in media quasi due anni. Dopo di che c’è la Vas (valutazione di assoggettabilità alla stessa Via), per cui si attendono di solito circa 11 mesi, da minimo di 84 giorni a un massimo di 634. Totale medio: tre anni. In effetti, decisamente troppo tempo...
Il problema è anche una delle principali “condizionalità” del Recovery Fund decise in sede di Commissione Europea: ogni azione finanziata dovrà essere verificabile in tempi abbastanza brevi.
Dunque, se tocca aspettare tre anni prima di mettere a terra un pilone o una pala eolica, i soldi europei rischiano di restare a Bruxelles (mentre comunque risulterebbero debito per l’Italia).
Ecco allora la prima pensata: semplifichiamo, come il prode Calderoli di circa 20 anni fa (divenne ministro alla semplificazione, senza però lasciar traccia di attività reale).
Ma Cingolani è uno scienziato dall’animo militare, dunque non si perde d’animo. E trova la soluzione, racconta l’Huffington Post (insospettabile di antipatie per il governo Draghi): “Una Commissione tecnica Pniec-Pnrr: le opere previste nel Recovery passeranno da qui, da una con tempi più rapidi per la conclusione del procedimento. Saranno 40 i componenti della commissione che già nella sua denominazione ingloba la logica del Recovery con quella del Pniec, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima che guarda al 2030.”
Questa commissione – strutturata secondo la “logica” e le condizionalità del Recovery Fund – darà una corsia preferenziale ai progetti che hanno un valore economico superiore ai 5 milioni, “ovvero una ricaduta in termini di maggiore occupazione attesa superiore a 15 unità di personale”. La “robetta” di portata inferiore resta indietro e si privilegiano le opere più significative. È già una rarefazione degli “assembramenti” sulle scrivanie ministeriali...
Ma non basta.
Ecco allora il coniglio dal cappello: le “norme di semplificazione in materia di produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili” incorporano una novità sostanziale.
Per queste opere la Commissione competente si deve esprimere al massimo entro 170 giorni dalla presentazione della documentazione e predispone il provvedimento della valutazione di Via. Se entro un mese il direttore generale del ministero dell’Ambiente non ottiene il parere del Mibact (ministero per i beni culturali, ecc; insomma, quello di Franceschini), allora il parere del Mibact si intende acquisito.
In altri ambiti si chiama silenzio-assenso. Se Franceschini non risponde al telefono, vuol dire che “se po’ ffa“...
La stessa logica, mutatis mutandis, si applica un po’ a tutti gli altri ambiti (dissesto idrogeologico, bonus del 110%, ecc.).
Non c’è dubbio insomma che sarà tutto molto verde. Basta la parola...
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