Le notizie che giungono dall’area del Sahel, danno un’idea che pochi sembrano comprendere in merito al ginepraio in cui l’Italia si è andata a infilare, sia in Libia sia inviando contingenti militari in Niger e Mali.
Il presidente del Ciad – “l’eterno” Idriss Deby Itno – è infatti stato ucciso dai ribelli. Deby era stato rieletto lunedì scorso per il sesto mandato dopo aver vinto le elezioni presidenziali dello scorso 11 aprile con quasi l’80 per cento dei voti.
L’agenzia Novanews riferisce che mercoledì il Fronte per l’Alternanza e la Concordia del Ciad (Fact), la coalizione ribelle che poco più di una settimana fa ha lanciato un’offensiva nel nord del paese, ha ribadito l’intenzione di “marciare fino alla capitale N’Djamena” dopo la morte del presidente Idriss Deby Itno.
“Rifiutiamo categoricamente la transizione (che dovrebbe essere guidata da uno dei figli di Deby)”, ha dichiarato in un comunicato il portavoce del Fact, Kingabe Ogouzeimi de Tapol. “Intendiamo portare avanti l’offensiva. Le nostre truppe sono in avanzata verso N’Djamena, ma secondo la tradizione concederemo 15-28 ore ai figli di Deby per seppellire il padre”, ha aggiunto.
L’esercito del Ciad aveva precedentemente affermato di aver respinto i ribelli dopo più di una settimana di combattimenti, affermando lunedì di aver ucciso più di 300 combattenti e di averne catturati altri 150. Il Fact, un gruppo composto principalmente da membri della tribù sahariana dei Goran, aveva dichiarato domenica scorsa di aver “liberato” la regione di Kanem, una delle aree che aveva attaccato dopo aver lanciato la sua incursione lo scorso 11 aprile, giorno in cui il Paese si recava alle urne.
La dichiarazione del Fact giunge dopo che martedì l’esercito di N’Djamena ha confermato la morte del presidente Deby in seguito alle ferite riportate mentre comandava le truppe dell’esercito del Ciad nella battaglia contro i ribelli nel nord, durante lo scorso fine settimana. Ad annunciarlo è stato il portavoce dell’esercito, Azem Bermandoa Agouna, in un comunicato letto in diretta sull’emittente televisiva ciadiana.
Intanto sui media del Ciad circolano notizie contrastanti circa una presunta sparatoria che sarebbe avvenuta nel palazzo presidenziale di N’Djamena il giorno dopo l’uccisione del presidente Idriss Deby. Una sparatoria che avrebbe portato al ferimento dell’erede di Deby, il figlio Mahamat Idriss Déby Itno, che si era insediato a capo della giunta d’emergenza.
Ripercussioni in Libia
Le ripercussioni dell'instabilità e della guerra civile in Ciad sono arrivate subito in Libia, dove la Camera dei rappresentanti di Tripoli sta seguendo l’accelerazione degli eventi che attraversa il vicino Ciad e ciò che potrebbe derivare dall’insicurezza o dall’esodo della popolazione della regione.
Il parlamento libico ha invitato tutte le autorità interessate alla protezione e alla sicurezza del Paese ad adottare tutte le misure urgenti al fine di assicurare e proteggere il paese e i suoi confini meridionali e preservarne la sovranità.
Il parlamento ha altresì invitato il Comitato militare congiunto 5+5 (cinque membri delle forze della Tripolitania, cinque fedeli al generale Khalifa Haftar) ad “accelerare l’unificazione dell’establishment militare per garantire la sicurezza e la stabilità della Libia, proteggere i suoi confini e preservare la sua sovranità”.
Secondo la sempre ben informata Novanews, le tribù della Libia meridionale, appaiono fortemente preoccupate per l’escalation del conflitto nel vicino Ciad, un conflitto che vede storicamente coinvolta anche la Francia.
Il Ciad infatti viene coinvolto direttamente e indirettamente nell’operazione militare francese “Barkhane” in Africa Centrale. Inoltre, tra il 1983 e il 1984, la Francia inviò le proprie truppe in Ciad contro quelle libiche inviate da Gheddafi durante la guerra civile nel paese.
Le tribù del Fezzan libico hanno chiesto al nuovo Governo di unità nazionale di riattivare gli accordi con l’Italia per mettere in sicurezza i confini meridionali. Il consiglio degli anziani e dei notabili della città di Murzuq, nel sud della Libia, ha lanciato l’allarme sul fatto che scontri militari nel nord del Ciad potrebbero causare “un’altra ondata di sfollati in Libia”.
La nota afferma che il sud della Libia è diventato “un incubatore per bande ciadiane, criminali, Stato islamico e terroristi”, anche a causa di “ambizioni coloniali straniere che mirano dominare il paese e saccheggiare le sue risorse”.
“È diventato chiaro che il Paese abbia bisogno di proteggere in particolare i suoi confini meridionali: chiediamo alle autorità libiche di attivare l’accordo libico-italiano firmato nel 2008 nel settore della sicurezza. Proteggere i confini è un dovere nazionale per eccellenza”, scrive il Consiglio di Murzuq.
Nel 2010, l’anno precedente la catastrofe del colpo di stato contro Gheddafi e dei bombardamenti Nato sulla Libia, l’Italia aveva cominciato a fornire alla Libia sofisticate attrezzature per il controllo radar dei porosi confini meridionali: gli equipaggiamenti, del valore complessivo di 300 milioni di euro, sono però andati perduti a Bengasi durante il golpe del 2011.
Secondo il rapporto Onu sulle violazioni dell’embargo sulle armi in Libia, relativo agli anni 2019-2020, i gruppi armati del Ciad “sono onnipresenti nel sud della Libia e sono diventati parte della vita sociale”.
Città come Hun e Murzuq hanno visto un numero crescente di cittadini ciadiani la cui presenza armata è fortemente evidente. Il Rapporto dell’Onu identifica in particolare due gruppi ciadiani, denominati “Ccmsr” e appunto il “Fact”.
Il primo ha buone relazioni con il Governo di accordo nazionale di Tripoli, ed ha dichiarato la propria “neutralità nel conflitto inter-libico”. La maggior parte degli elementi del gruppo ha attualmente sede nell’area di confine tra Libia e Ciad, nella zona di Kouri Bougoudi, e può contare su almeno 100 veicoli.
Il Fact, posizionato ad Al Jufra, ha ampliato i suoi campi a Sebha, Tamenhint e Brak Shati. Secondo quanto riferito, sta spostando la sua base di comando nell’area di Jabal al Aswad.
Anche il Fact rivendica la sua neutralità nel conflitto libico, ma le sue milizie stanno a guardia di alcune basi dell’Esercito nazionale libico (Lna) del generale Haftar, mentre elementi di questo gruppo servono anche i battaglioni 116 e 128 dell’esercito di Haftar.
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