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30/04/2021

Liberati i compagni a Parigi, si sgonfia la “grande operazione”

Partiamo con la buona notizia. I nove compagni arrestati a Parigi su richiesta del governo italiano sono stati rimessi in libertà dopo poco più di 24 ore.

Libertà vigilata, con misure diverse (dall’obbligo di firma, all’obbligo di residenza), ma libertà. Del resto, come ha potuto constatare chi qualche volta è andato a trovare uno di loro, la “vigilanza” nei loro confronti non è mai stata interrotta.

L’obbligo per tutti di “non lasciare il territorio francese” sa quasi di scherzo: nessuno degli esuli, da quando è arrivato in Francia, ha mai lasciato neppure per un giorno il Paese. Troppo rischioso, vista la giungla delle normative europee sulle estradizioni e la possibilità di essere comunque “rapiti” da una delle tante polizie italiche (è accaduto davvero a Paolo Persichetti, sequestrato per strada a Parigi e trasportato nottetempo in Italia senza passare né per un commissariato e tanto meno per un giudice).

Resta al momento irreperibile soltanto Maurizio Di Marzio, che starà decidendo cosa fare, anche alla luce della libertà concessa anche ai due – Luigi Bergamin e Raffaele Ventura – che non erano in casa al momento della “visita” della polizia e che si erano poi spontaneamente presentati ieri mattina. Anche loro sono stati rimessi in libertà.

I giudici – secondo la legge francese – hanno notificato agli arrestati la nuova richiesta di estradizione da parte del governo italiano e chiesto, come da codice, se accettavano di essere rimandati in Italia. Ovvio il “no”, ripetuto da tutti e nove.

La palla ora passa alla Chambre de l’Instruction, che svolgerà il normale processo individuale previsto dalla legge, con tanto di esame delle carte, verifica delle prove e delle procedure, avvocati difensori, testimonianze, ecc. Nonché diritto all’appello. Alla fine, nel caso l’estradizione fosse concessa, la parola andrebbe al presidente della Repubblica e al primo ministro per la firma dell’atto.

Lo stesso Eliseo si è premurato di far sapere ai “colleghi” italiani che ci vorranno “non meno di due o tre anni”. E nel frattempo Macron avrà molto probabilmente lasciato la carica che indegnamente ricopre. Dunque – anche se l’iter giudiziario fosse negativo per i compagni – la parola finale sarà pronunciata da qualcun altro.

Finita la parte di cronaca, vediamo cosa significa.

I due governi hanno fatto una figura di merda. La “grande operazione antiterrorismo” – come è arrivato a definirla l’immaginifico gost writer di Luigi Di Maio – si è rivelata un puro atto di vendetta postuma su un gruppo di ex ribelli ormai piuttosto anziani e senza una seria base giuridica.

Un bel paradosso per i “campioni della legalità” che raccontano la favola horror della “giustizia che deve fare il suo corso”.

Vediamo perché. Dal lato italiano ci sono naturalmente le condanne comminate alcuni decenni fa. Il che darebbe una patina di “legalità” alla richiesta attuale. Ma se si va a guardare nei dettagli escono fuori “marachelle” che la dicono lunga sull’uso politico-poliziesco della legge da queste parti.

Per esempio. La fine costituzionalista Marta Cartabia, oggi ministro della giustizia, ha inserito l’”urgenza” tra le motivazioni della richiesta di estradizione. Sul piano logico e storico è una cosa priva di senso. Dopo 40 anni, infatti, l’unica “urgenza” immaginabile è legata al “rischio” che alcuni degli esuli muoiano prima di poter essere riportati in Italia (è già accaduto per diversi altri compagni ospitati in Francia).

A ben guardare, però, l’”urgenza” è legata anche allo scadere dei termini per la prescrizione del reato (il doppio della pena comminata), almeno per i non condannati all’ergastolo (che non prevede prescrizione).

Sappiamo che per almeno uno dei compagni – proprio Maurizio Di Marzio – quella scadenza arriva tra 10 giorni. Quindi “ora o mai più”, devono essersi detti ai piani alti dei vari ministeri coinvolti. Serviva proprio un fine costituzionalista per immaginare un inghippo del genere...

Per Bergamin, invece, il meccanismo della prescrizione era stato interrotto trovando un giudice disponibile ad affibbiargli la qualifica di “delinquente abituale”. Ossia una “etichetta” riservata a chi vive di reati contro il patrimonio (ladri, scippatori, truffatori, ecc.), che insomma “fa reddito” in quel modo e quindi “abitualmente” infrange le leggi.

Quale giustificazione possa essere addotta per appiopparla a uno che da 40 anni vive lavorando, sotto il controllo discreto delle forze dell’ordine di un altro paese, è davvero un mistero. È immaginabile però il tono della riunione in cui qualcuno ha diramato l’ordine “cercate un giudice che si inventa una formula per non farlo arrivare a scadenza, e poi se lo pijiamo...”.

L’abitudine a fare delle leggi carni di porco è una delle caratteristiche più costanti della classe dirigente italiana, forze repressive in primis. Basterebbe forse la testimonianza di una legatitaria senza se e senza ma, come Michela Murgia, minacciata da un poliziotto – con tanto di “mi dia i documenti” – per un suo articolo contro l’abitudine del generale Figliuolo a girare in divisa per i centri vaccinali...

Il passo falso di Macron

Da parte francese la situazione è ovviamente più complicata. Lì la “legislazione d’emergenza” non è ancora diventata un’abitudine. E nonostante la polizia sia forse ancora più brutale che in Italia, sembrano non esserci altrettante “pezze legali” per giustificare sempre e comunque l’arbitrio del potere.

Gestire un paese non è come gestire un fondo di investimento. Strano che un banchiere come Macron non ci abbia pensato...

Però i giudici che hanno preso in mano “la pratica” già ieri, e quelli che lo faranno nelle prossime settimane, si troveranno davanti fascicoli piene di decisioni già prese dalla magistratura francese; faldoni dove le “prove” esibite dai tribunali italiani sono state spesso smontate, messe in dubbio, contestate anche dal punto di vista del codice di procedura penale (naturalmente diverso tra i due paesi).

Come provavamo a spiegare in un altro articolo, i processi ai gruppi della lotta armata erano celebrati in modo decisamente “sbrigativo”. E l’unica condizione posta per l’ospitalità dalla “dottrina Mitterand” – “non aver commesso reati di sangue” – si scontrava fattualmente con sentenze in cui un imputato “poteva essere condannato per un ‘fatto di sangue’ anche se non vi aveva partecipato direttamente. Chi ha avuto la dubbia fortuna di poter leggere i dispositivi delle sentenze nei processi contro la lotta armata – si possono leggere ancora oggi – ha visto condannare in genere anche 20 o 30 imputati per una azione materialmente compiuta da 4 o 5 persone.”

Se un giudice è una persona normale, e non un “combattente in prima linea”, capisce immediatamente che la stragrande maggioranza dei condannati per un singolo reato “di sangue” sono, se non del tutto “innocenti” sul piano politico, sicuramente “estranei al fatto” su quello giudiziario.

E certamente molti giudici francesi hanno dovuto esaminare con occhio scandalizzato certe condanne – anche all’ergastolo, in primo grado! – comminate a persone che avevano al massimo incontrato un paio di volte un “clandestino”.

Ma il segreto del codice penale italiano è quel “concorso morale” che nessun paese di media cultura giuridica accetta di adottare. Specie in materia di “fatti violenti”, dove le condanne sono ovviamente pesantissime. In base a quel “trucco” giuridico, se un’azione viene compiuta da poche persone è comunque possibile condannarne decine come se fossero stati tutti presenti, partecipanti, attivi.

Non c’è dubbio, insomma, che i giudici francesi si ritroveranno ancora una volta a percorrere il museo degli orrori giuridici messo su dalla magistratura e dai legislatori italiani (molte delle leggi dell'”emergenza” furono scritte materialmente dagli stessi magistrati “antiterrorismo”).

Le infamie di casa nostra

Una parola va infine spesa per la classe dirigente italiana, in queste vicende. Compresa naturalmente la casta di giornalisti, intrattenitori, imbonitori tv, ecc.

Gente capace di strafalcioni storici come quello pubblicato da Domani, secondo cui anche Lotta Continua era un'”organizzazione terroristica” (chissà che ne pensano i Gad Lerner, i Guido Viale, le decine di giornalisti, manager, ecc. passati da quelle parti).

Presenzialisti senza professionalità che si ritrovano ora a dover disfare le borse con l’attrezzatura di ripresa per l’arrivo del “volo di stato” a Ciampino...

La narrazione falsaria ripetuta in coro in questi giorni è una sintesi sloganistica di quella decisa oltre 40 anni fa. Senza alcuna variazione. “Sono stati assassini senza alcuna ragione, non c’è stata alcuna guerra civile...” E altre stronzate del genere. Il peggiore, a parte i fascisti dichiarati, è forse Marco Travaglio...

Allora, a tutti questi immemori che blaterano, vorremmo ricordare le centinaia di morti uccisi dallo Stato (tramite i fascisti reclutati alla bisogna, ma a volte anche direttamente) mettendo bombe sui treni, nelle stazioni e nelle banche (Piazza Fontana docet).

Stragi per cui non c’è un solo condannato (se non il fascista Vinciguerra, per quella di Peteano, ma solo perché reo confesso), anche se persino la magistratura è arrivata ad identificare con certezza i responsabili... che non possono essere riprocessati perché assolti nel primo processo.

A quelle centinaia aggiungiamo necessariamente le decine di uccisi direttamente dalla polizia nelle manifestazioni, in tutto il dopoguerra e ancora fino a Genova 2001.

E poi le denunce, i millenni di galera, le vite rovinate per sempre di migliaia di persone che chiedevano diritti sul lavoro e nella società, salari migliori, un futuro per i figli...

Forse non è stata una “guerra civile” vera e propria, anche se qualche risposta violenta è arrivata, conferendole le caratteristiche della “bassa intensità”.

È stata certamente un massacro unilaterale, sempre.

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