La conferenza stampa del 16 aprile di Mario Draghi, accompagnato dal ministro Speranza, è stata inquietante. Abbandonata la prudenza che solo una settimana prima aveva caratterizzato le posizioni del governo, il Presidente del Consiglio ha annunciato che tra fine aprile e i primi di maggio, quasi tutto sarà riaperto, fatta salva qualche eccezione dovuta allo stucchevole e grottesco gioco dei colori delle regioni.
Che ogni giorno ci siano tra 400 e 500 morti, che la campagna vaccinale stia andando male, poiché ogni giorno si somministra la metà delle 500.000 dosi sognate dal generale Figliuolo, poco importa. Bisogna “ripartire”, ridare slancio all’economia.
La logica è chiara: si riprenda la vita normale, si produca, si lavori, si faccia turismo, si vada nei ristoranti e se poi qualcuno si ammala e muore, ci spiace, ma sono fatti suoi.
Un “rischio calcolato”, ha detto Draghi, delegando tutta la responsabilità ai comportamenti individuali dei cittadini, che risentono – com’è ovvio – della “comunicazione” che piove dall’alto e dalla mancanza assoluta di una prevenzione pubblica organizzata. Se si dice “si riapre tutto”, si dice che la situazione è “quasi tranquilla”; dunque inutile raccomandare l’autolimitazione individuale.
In questa corsa al peggio per gli interessi del capitale entra, ovviamente, anche la scuola, che riaprirà, sembra, in presenza totale, tranne che nelle zone rosse, dai primi di maggio.
Una notizia che dovrebbe essere accolta con soddisfazione se non nascondesse incognite e conseguenze assai preoccupanti. In realtà, in quattordici mesi di pandemia, due governi, il Conte 2 e quello di Draghi, non sono stati capaci di garantire un rientro a scuola veramente sicuro. Il tracciamento dei contagi, i tamponi rapidi, la prevenzione attraverso personale sanitario nelle scuole ormai sono dimenticati nel limbo delle richieste mai soddisfatte.
Ma, ancor più evidente, gli studenti e gli insegnanti dovranno riprendere la scuola nelle stesse condizioni del settembre 2019, quando la pandemia non era ancora scoppiata. Cioè in spazi inadeguati alle condizioni attuali e sovraffollati, poiché non si è voluto provvedere a nuove assunzioni d’insegnanti e a una seria ricerca di spazi adeguati.
Unica timida difesa sarà la mascherina, dispositivo individuale, che insegnanti e studenti dovranno ancora portare. Vedremo come evolverà la situazione, mentre presidi e insegnanti nutrono molti dubbi sulla possibilità per le scuole di rispettare quanto deciso dal governo.
Le difficoltà che si sarebbero verificate nell’anno scolastico 2020-2021 erano ben note al governo. Tuttavia, per tutta una lunga primavera-estate, il governo Conte si è trastullato con le ridicole fantasie del commissario Arcuri sui banchi a rotelle, mentre la commissione presieduta da Patrizio Bianchi (attuale ministro) immaginava improbabili lezioni nei parchi, nei musei, nei cinema e patti territoriali con le imprese private e gli enti locali, nella logica della sussidiarietà che tanti danni ha già prodotto nel settore sanitario.
Quella commissione (dell’oggi ministro), in pratica, non ha saputo formulare una sola proposta valida per una ripresa sicura della scuola.
Sia il governo Conte 2 che quello di Draghi hanno completamente fallito nel difendere la scuola dagli effetti della pandemia. Governi che per la scuola non hanno saputo fare nulla, al di là delle roboanti dichiarazioni del ministro Speranza sulla scuola come “architrave” della società.
In una situazione tanto degradata, il ministro Bianchi pretende ora che a fine anno i consigli di classe esprimano una valutazione dell’apprendimento degli studenti, compresa la possibilità di bocciature.
Seguendo questa ansia di valutazione, tipica della scuola dell’ultimo ventennio, competitivista e meritocratica, gli studenti che sono rientrati a scuola nell’ultima settima, anche se in alternanza presenza/distanza si sono trovati di fronte a quantità di verifiche e test volti ad accelerare un presunta valutazione.
A ciò si sono aggiunti i test INVALSI e, in qualche istituto, anche lo svolgimento dei test PISA. L’ossessione della valutazione non si spegne dunque nemmeno di fronte alle emergenze più gravi; si deve valutare tutto e tutti, gli studenti, gli insegnanti, le scuole, i sistemi scolastici.
La valutazione degli apprendimenti è un’operazione complessa, non è una semplice misurazione, come sono invece i test INVALSI e PISA che, almeno nelle loro intenzioni dichiarate, dovrebbero avere finalità statistiche, anche se poi si tenta di farne altro uso.
Non è un caso che sin dagli anni Settanta si parla, nella scuola, di valutazione formativa, per intendere che essa non deve solo misurare e sommare i risultati ottenuti, ma stimolare lo studente a una riflessione su cosa e come sta apprendendo, sui suoi progressi e sull’impiego che sa fare delle nuove conoscenze.
Una valutazione che, per essere tale, deve anche tenere conto dei processi attivati dall’insegnante, dei metodi usati e dalla relazione tra docente e discenti. Una valutazione che sia effettivamente formativa deve avvenire in itinere, durante tutte le fasi del percorso, non può essere posta solo al termine.
E non si capisce proprio come, in un anno scolastico così travagliato, in cui gli studenti, in molte regioni, hanno frequentato in presenza la scuola per un mese, si sarebbe potuto attuare un processo così delicato.
Inoltre, dopo mesi e mesi di snervante didattica a distanza, bene sarebbe dedicare il mese che resta a disposizione a fare lezione, recuperare gli apprendimenti mancati, predisporre piani per il prossimo anno e, infine, ristabilire relazioni umane. Ciò sarebbe molto più sensato che imporre agli studenti raffiche di test di verifica e di compiti in classe dall’incerto significato.
Inoltre, resta sempre fondamentale l’osservazione che un anno scolastico come quello in corso, ancora peggiore del precedente quanto a possibilità di frequenza reale, ha accresciuto i divari di classe nella scuola, creando ulteriori difficoltà agli studenti delle classi povere o comunque svantaggiati.
È quindi il caso di riporre qualunque pretesa meritocratica e sanzionatoria e dire chiaramente che per quest’anno scolastico non è possibile nessuna seria valutazione e che di conseguenza tutti gli studenti e le studentesse devono essere ammessi d’ufficio alla classe successiva.
L’unica bocciatura deve essere riservata al governo che ha messo la scuola italiana in una così difficile situazione.
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