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25/04/2021

Ciad - “Siamo in guerra con la Francia”. Parla il leader dei ribelli

Il Fronte ribelle per l’alternanza e la concordia del Ciad (Fact) “è in guerra contro la Francia“. Lo ha dichiarato ad Agenzia Nova Kingabé Ogouzeimi de Tapol, portavoce della coalizione che dall’11 aprile ha lanciato un’offensiva nel nord del Paese con l’obiettivo di raggiungere la capitale N’Djamena, il quale ha accusato le truppe francesi della forza anti-jihadista Barkhane di non aver rispettato la tregua armata che i ribelli avevano dichiarato in occasione dei funerali del presidente Idriss Deby Itno, tenuti oggi a N’Djamena.

“Parigi continua a sorvegliare 24 ore su 24 i combattenti e le opposizioni del Ciad, comunicando all’esercito lealista le loro posizioni e facilitando il loro attacco. Non c’è stato un giorno in cui non siamo stati bombardati”, ha denunciato il portavoce in una lunga intervista, accusando la Francia di voler istituire “una dittatura” tollerando il Consiglio militare istituito all’indomani della morte di Deby e che fa capo al figlio Mahamat Idriss Deby Itno.

“Perché non rispettare la Costituzione ciadiana?”, ha chiesto il portavoce, osservando che nel discorso tenuto ai funerali di Deby il presidente francese Emmanuel Macron ha ribadito la sua posizione “interventista”.

“È fuori questione che la Francia ci imponga questa transizione di militari, questo ‘genocidio alla ruandese’”, ha concluso accusando Parigi di “tenere in ostaggio il Ciad con le sue relazioni nel mondo militare e della Francafrique”.

I combattenti del Fact, ha poi aggiunto il portavoce, “non sono sostenuti dagli Emirati Arabi Uniti, dal generale dell’autoproclamato Esercito di liberazione nazionale libico (Gna) Khalifa Belqasim Haftar o da ‘alcuna forza straniera‘”, ma “si autofinanziano” grazie al sostegno del popolo ciadiano e della diaspora. “Non è che perché veniamo dalla Libia siamo sostenuti da Haftar, in questo tipo di guerra ognuno cerca le proprie giustificazioni“, ha detto Kingabé.

“Ci hanno accusati di essere jihadisti quando invece abbiamo combattuto lo Stato islamico in Libia e sofferto come individui e rifugiati nel deserto libico”, ha detto Kingabé, che prende le distanze dalle azioni del defunto presidente Deby, accusandolo di aver “organizzato Boko Haram”.

Da quel periodo “abbiamo colto la possibilità di procurarci un po’ di armi e di tornare nel nostro Paese per imporre la pace”, ha aggiunto il portavoce, ribadendo che il gruppo ha “largamente ciò di cui autofinanziarsi” e “nessuna forza dietro”.

Dopo la morte del presidente Idriss Deby, il Fact ha disconosciuto la giunta militare salita al potere con a capo il figlio Mahamat Idriss Deby Itno e ha detto di essere “pronto a marciare” sulla capitale N’Djamena.

Il portavoce – che ha detto a “Nova” di trovarsi attualmente in Svizzera – ha poi chiesto alla comunità internazionale di condannare l’istituzione di un Consiglio militare di transizione in Ciad come ha denunciato il colpo di Stato in Mali, ribadendo che i ciadiani “non possono accettare che il figlio di Deby prenda il potere in tutta illegalità”.

In quell’occasione – il colpo di Stato in Mali – “tutta la comunità internazionale ha reagito mentre ora non parla nessuno”, ha detto Kingabé, ironizzando sul fatto che ora “bisogna lasciar violare la Costituzione” con quello che tecnicamente è stato considerato un colpo di Stato.

L’articolo 81 della Costituzione ciadiana, promulgata nel 2018, prevede infatti che in caso di “impedimento definitivo” da parte del presidente della Repubblica di esercitare le sue funzioni, il governo ad interim viene provvisoriamente affidato al presidente del parlamento o, in caso di impedimento di quest’ultimo, al primo vicepresidente. “Ma il Ciad non è una monarchia e i ciadiani vengono da 37 anni di dittatura: non accetteranno di farne altri 30″, ha detto Kingabé.

Il Ciad, ha poi assicurato il portavoce, resta al fianco della comunità internazionale nella lotta al terrorismo saheliano “indipendentemente dai suoi recenti sviluppi politici”, perché è nel suo interesse proteggere e mettere in sicurezza la regione.

“Il Ciad sarà sempre dalla parte della democrazia e dello stato di diritto”, e temere che dopo la caduta del presidente Deby il Paese si ritiri dalla lotta comune al jihadismo “è un falso problema“, ha detto Kingoré, per il quale N’Djamena “non ha bisogno di Deby o di suo figlio per garantire la presenza ciadiana nella lotta al terrorismo: sono il Ciad e i ciadiani che sono impegnati in questa lotta perché non possiamo tollerare il terrorismo vicino a noi, non è (merito di) un solo individuo o della sua famiglia”.

Il Ciad manterrà il suo impegno “costi quel che costi”, ha proseguito Kingabé, ricordando l’impegno dei militari ciadiani nella Seconda guerra mondiale. “Siamo gli stessi che nell’inverno del 1940 hanno attraversato il Paese per andare ad affrontare le truppe tedesche”, ha aggiunto, “e sulla scia di quella lotta siamo ancora qui”.

Infine, alla domanda su come consideri il ruolo dell’Italia nel monitoraggio delle frontiere sud della Libia – dato che in base agli accordi del 2008 il nostro Paese dovrebbe fornire ai libici un sofisticato sistema radar – il portavoce del Fact ha dichiarato di non vederlo “di cattivo occhio”, a condizione che quest’intervento sia fatto allo scopo di “stabilizzare la situazione e contribuire alla messa in sicurezza” regionale.

“Ogni intervento di sorveglianza è benvenuto se è per contribuire a stabilizzare la situazione e garantire la sicurezza”, ha detto Kingabé, il quale auspica che “l’Italia, da grande democrazia qual è, non si lasci distogliere dal suo ruolo”.

Il portavoce, che risponde dalla Svizzera, ha portato come esempio negativo quello della forza a guida francese Barkhane e di tutta la coalizione G5 Sahel, presenza che a poco a poco “si è trasformata in dittatura”, con una “messa in sorveglianza dell’opposizione” ciadiana e continue operazioni sul terreno. Se l’Italia manterrà saldi i capi della sua presenza al confine libico, ha ribadito Kingabé, “la sua azione sarà benvenuta”.

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