La Conferenza delle Regioni ha presentato le linee guida per la riapertura di alcune attività in condizioni di sicurezza e nel rispetto dei protocolli di prevenzione del contagio.
Il documento licenziato dalla Conferenza tratta nello specifico la ristorazione, le palestre, le piscine, le strutture termali, i cinema e gli spettacoli dal vivo.
Gli esercenti di queste attività nei giorni scorsi erano scesi in piazza in diverse città con tensioni e qualche scontro soprattutto nella Capitale e a Napoli (casualmente due territori non governati dalla Lega).
Si attende adesso il parere del Cts. Poi il documento verrà inviato ed esaminato dal governo che dovrà decidere per decreto le eventuali riaperture. Oggi si riunisce la cabina di regia fissata questa mattina dal presidente del Consiglio Draghi dove si valuteranno i dati e sulla base dei ‘report’ del Cts si organizzerà un cronoprogramma delle possibili riaperture.
La filiera riaperturista, rappresentata soprattutto dalla Lega e dalle regioni a trazione leghista, ha fatto così la sua mossa. Il paradosso più velenoso è la coincidenza tra chi spinge per le riaperture e la gestione fallimentare della campagna vaccinale proprio nelle regioni governate dalla Lega e dalla destra.
Il monitoraggio indipendente della Fondazione Gimbe fotografa la situazione sul campo sulla base dei propri dati. Rileva una diminuzione dei nuovi casi (106.326 contro 125.695) nella settimana tra il 7 e il 13 aprile 2021 rispetto a quella precedente ed una diminuzione delle terapie intensive (3.526 contro 3.743), ma rileva anche un aumento dei decessi (3.083 rispetto ai 2.868).
Questi dati sono ovviamente una media a livello nazionale. I dati disaggregati per regioni confermano profonde differenze sui parametri di contagi, ricoveri, decessi tra i vari territori.
“Sul fronte ospedaliero – afferma Renata Gili, responsabile Ricerca sui Servizi Sanitari della Fondazione Gimbe – le curve dei ricoveri con sintomi e delle terapie intensive hanno iniziato una discesa lenta e irregolare. Ma i numeri assoluti restano elevati e in molte Regioni gli ospedali sono ancora in affanno”. Infatti, le soglie di allerta di occupazione dei posti letto da parte di pazienti Covid in area medica (40%) e in terapia intensiva (30%) si attestano a livello nazionale rispettivamente al 41% e al 39%. Ma 7 Regioni sono ben sopra la soglia, per l’area medica e ben 13 per le terapie intensive.
Si va dunque e probabilmente verso le riaperture, ma che questo avvenga in condizioni di sicurezza in molti territori è decisamente un eufemismo e un azzardo. Ma è ormai evidente come nella definizione di priorità tra salute ed economia abbia prevalso quest’ultima, sia nella politica sia nel corpo sociale.
Del resto il canto delle sirene di Confindustria ha fatto sì che – oltre che nella difesa della salute – anche nell’economia si fosse fatto strada un doppio standard, consentendo ad alcuni di continuare indisturbati le proprie attività e costringendo invece altri a chiudere. Alla fine la contraddizione del doppio standard non poteva che esplodere, anche nelle piazze. Ma a pagarne il conto non saranno tanto o solo i registri contabili ma la collettività nel suo complesso.
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