Abbiamo tradotto questa lunga conversazione, di circa un’ora, tra Ezra Klein e Brian Deese, capo-economista del neopresidente Biden che già lavorava nell’amministrazione Obama.
Qui viene spiegato l’attuale ampio programma economico federale, nonché le differenze che sussisterebbero tra il 2009 e oggi.
Inizialmente pubblicata in forma di podcast, è apparsa come trascrizione sul New York Times il 9 aprile.
Deese è il tipico prodotto di quel sistema a “porte girevoli” che caratterizza le élite statunitensi, lo dimostra il suo curriculum che da “giovane economista” dello staff di Obama l’ha portato, prima di giungere nell’amministrazione Biden, a un ruolo dirigenziale nella BlackRock.
Due principi, innanzitutto, sembrano innervare le politiche dell’attuale amministrazione statunitense: la coscienza della crescente disuguaglianza economica e del cambiamento climatico, secondo le parole dell’intervistato. Deese li pone come elementi che differenziano il contesto attuale da quello precedente dell'era Obama.
Ma l’urgenza di un'azione economica in grado di risanare la frattura sociale prodottasi, e riparare la catastrofe ambientale che si sta consumando, è vista all’interno del vero aspetto di novità sostanziale: l’emersione della Cina come potenza economica.
Afferma Deese: «l’ultimo tassello è che la situazione economica globale è cambiata. La Cina si trova in un posto molto diverso rispetto a dieci anni fa. Ci troviamo in un luogo diverso rispetto ai nostri concorrenti internazionali. E la mia apertura a sforzi più mirati per cercare di costruire la forza industriale interna – ciò che la gente in epoche precedenti umilierebbe o deriderebbe come politica industriale – è aumentata, perché penso che non stiamo operando su un piano di parità».
Riconquistare una capacità produttiva all’altezza è quindi una priorità nell’agenda politica statunitense che, per raggiungere l'obiettivo non può affidarsi solo al “privato”.
Continua il consigliere capo: «Non esiste una soluzione basata sul mercato per cercare di affrontare alcune delle grandi debolezze che stiamo vedendo aprirsi nella nostra economia quando abbiamo a che fare con concorrenti come la Cina che non operano a condizioni di mercato. E questo è, almeno per me, un cambiamento di prospettiva da dove mi trovavo dieci anni fa».
Lo Stato deve quindi tornare ad assumere una funzione strategica in materia economica, più o meno obtorto collo, ma è l’unica chance – aggiungiamo noi – per fare fronte ad una economia pianificata dove i settori strategici sono sempre più in mano pubblica, come la Cina.
Numerosi avvenimenti hanno messo in evidenza un gap che fa risaltare gli investimenti infrastrutturali necessari, al centro tra l’altro dell’attuale dibattito economico statunitense.
La concorrenza con la Cina e la possibile perdita del ruolo di leader mondiale sono le motivazioni che spingono quindi a modificare in maniera significativa la politica industriale statunitense.
Gli Stati Uniti possono mettere ordine in casa propria? È la domanda che Deese mette in bocca agli altri Stati che stanno osservando ciò che avviene negli USA.
Nella configurazione da Nuova Guerra Fredda che Washington sta dando alle relazioni internazionali, con un “multilateralismo selettivo” che coopta a geometria variabile i vari attori funzionali al mantenimento della propria egemonia, con un ruolo sempre importante dell’Alleanza Atlantica, è fondamentale che gli Stati Uniti riprendano il primato in alcuni campi diversi dal solo dominio militare o quello del sistema valutario/commerciale, comunque in crisi.
“La vulnerabilità della nostra economia e delle nostre catene di approvvigionamento” è uno degli aspetti che la pandemia ha mostrato con evidenza empirica, e quindi bisogna approfondire quel processo già iniziato in precedenza di “re-internalizzazione” delle filiere produttive.
Questo anche perché – come è stato abbondantemente dimostrato – il margine dato dalla dinamica di scambio ineguale che ha caratterizzato a lungo i rapporti economici con Pechino si è molto assottigliato, relativizzando (ed in alcuni settori si è trasformata nel suo contrario) il vantaggio che ne derivava, dando vita alla guerra commerciale USA contro la Cina durante l’amministrazione Trump.
Afferma il consigliere capo:
«abbiamo un obiettivo politico esplicito per cui non solo i consumatori americani potranno essere in grado di acquistare veicoli elettrici, ma questi saranno assemblati negli Stati Uniti, e avremo il maggior ambito possibile dell’ecosistema dell’innovazione negli Stati Uniti, perché crediamo che questo sia un mercato globale in crescita. È una delle grandi opportunità di esportazione da costruire negli Stati Uniti per diventare leader. Per fare ciò è necessario un investimento iniziale strategico. Richiede la posa delle fondamenta in modo da sbloccare quel capitale privato».
Diventare un hub di questo ed altri settori strategici con un intervento diretto dello Stato nell'economia (non un semplice stimolo fiscale) che funga da base per lo sviluppo del privato, è la formula della finta “transizione ecologica” USA.
Di questa intervista vorremmo mettere evidenza altri due aspetti: la lucida consapevolezza del fallimento di un modello di welfare assistenziale che si è risolto in una vera e propria ecatombe – sia del personale impiegato che degli assistiti – e la necessità di cambiare le relazioni industriali per dare una base solida al nuovo “patto sociale”, che l’attuale amministrazione vorrebbe consolidare con quella classe lavoratrice di cui una parte dei Repubblicani dicono di essere ormai – se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato, direbbe il poeta – il principale riferimento.
Ecco le parole di Deese:
«E poi, all’improvviso, abbiamo avuto questa pandemia, che in qualche modo è il perfetto esempio del fallimento del nostro sistema di assistenza – certamente rispetto alla popolazione anziana e alla morte sproporzionata a cui abbiamo assistito, perché questo sistema ha fallito. (...) Il punto di vista del presidente è che, in particolare mentre portiamo avanti questi investimenti pubblici, dovremmo legarli a salari migliori, più contrattazione collettiva e opportunità per i lavoratori di entrare a far parte di un sindacato e a posti di lavoro dignitosi.»
È un progetto complessivo i cui perni sono gli investimenti pubblici pluriennali ed il recupero della funzione pubblica nell'economia a livello federale.
«E quindi per me, la più grande preoccupazione è dimostrare che gli investimenti pubblici pluriennali sono effettivamente nell’interesse del popolo americano e che i lavoratori americani rappresenteranno un esempio per provare a dimostrare che questi tipi di interventi governativi possono produrre risultati positivi. (…) Molto di questo si riduce all’esecuzione. Molto di questo si riduce alla professionalità della funzione pubblica a livello federale, statale e locale, che oggi spesso è carente. E quindi dobbiamo essere molto umili riguardo a quanto sia difficile e quanto lavoro, impegno, concentrazione e implementazione richiederanno nel tempo. Ma è qui che, penso, larga parte del nostro obiettivo debba essere quello di lavorare bene.»
Non si può comprendere lo sviluppo della politica economica interna di Biden se non dentro la cornice della competizione internazionale in cui gli USA devono rafforzare il “fronte interno” dopo un anno per loro disastroso da più punti di vista.
Com’è stato storicamente, l’America deve prendere alcuni elementi del modello di sviluppo che si è dimostrato più avanzato e meglio attrezzato per affrontare la crisi economica globale (nel 1929 l’URSS oggi la Cina) inserendoli nel proprio sistema, senza però mettere in discussione i rapporti di produzione, anche per una governance più oculata delle contraddizioni interne, dimostratesi più volte esplosive.
Non ultimo, deve costruire una efficace narrazione che occulti il più possibile i suoi fini egemonici, presentandosi da campione del “progressismo”, come mutatis mutandis cercò di fare con Wilson dopo la Prima Guerra Mondiale.
Ma è il “socialismo degli allocchi”, a cui una buona parte del ceto intellettuale nostrano sembra dare credito senza indagarne le vere ragioni.
Buona lettura.
Qui viene spiegato l’attuale ampio programma economico federale, nonché le differenze che sussisterebbero tra il 2009 e oggi.
Inizialmente pubblicata in forma di podcast, è apparsa come trascrizione sul New York Times il 9 aprile.
Deese è il tipico prodotto di quel sistema a “porte girevoli” che caratterizza le élite statunitensi, lo dimostra il suo curriculum che da “giovane economista” dello staff di Obama l’ha portato, prima di giungere nell’amministrazione Biden, a un ruolo dirigenziale nella BlackRock.
Due principi, innanzitutto, sembrano innervare le politiche dell’attuale amministrazione statunitense: la coscienza della crescente disuguaglianza economica e del cambiamento climatico, secondo le parole dell’intervistato. Deese li pone come elementi che differenziano il contesto attuale da quello precedente dell'era Obama.
Ma l’urgenza di un'azione economica in grado di risanare la frattura sociale prodottasi, e riparare la catastrofe ambientale che si sta consumando, è vista all’interno del vero aspetto di novità sostanziale: l’emersione della Cina come potenza economica.
Afferma Deese: «l’ultimo tassello è che la situazione economica globale è cambiata. La Cina si trova in un posto molto diverso rispetto a dieci anni fa. Ci troviamo in un luogo diverso rispetto ai nostri concorrenti internazionali. E la mia apertura a sforzi più mirati per cercare di costruire la forza industriale interna – ciò che la gente in epoche precedenti umilierebbe o deriderebbe come politica industriale – è aumentata, perché penso che non stiamo operando su un piano di parità».
Riconquistare una capacità produttiva all’altezza è quindi una priorità nell’agenda politica statunitense che, per raggiungere l'obiettivo non può affidarsi solo al “privato”.
Continua il consigliere capo: «Non esiste una soluzione basata sul mercato per cercare di affrontare alcune delle grandi debolezze che stiamo vedendo aprirsi nella nostra economia quando abbiamo a che fare con concorrenti come la Cina che non operano a condizioni di mercato. E questo è, almeno per me, un cambiamento di prospettiva da dove mi trovavo dieci anni fa».
Lo Stato deve quindi tornare ad assumere una funzione strategica in materia economica, più o meno obtorto collo, ma è l’unica chance – aggiungiamo noi – per fare fronte ad una economia pianificata dove i settori strategici sono sempre più in mano pubblica, come la Cina.
Numerosi avvenimenti hanno messo in evidenza un gap che fa risaltare gli investimenti infrastrutturali necessari, al centro tra l’altro dell’attuale dibattito economico statunitense.
La concorrenza con la Cina e la possibile perdita del ruolo di leader mondiale sono le motivazioni che spingono quindi a modificare in maniera significativa la politica industriale statunitense.
Gli Stati Uniti possono mettere ordine in casa propria? È la domanda che Deese mette in bocca agli altri Stati che stanno osservando ciò che avviene negli USA.
Nella configurazione da Nuova Guerra Fredda che Washington sta dando alle relazioni internazionali, con un “multilateralismo selettivo” che coopta a geometria variabile i vari attori funzionali al mantenimento della propria egemonia, con un ruolo sempre importante dell’Alleanza Atlantica, è fondamentale che gli Stati Uniti riprendano il primato in alcuni campi diversi dal solo dominio militare o quello del sistema valutario/commerciale, comunque in crisi.
“La vulnerabilità della nostra economia e delle nostre catene di approvvigionamento” è uno degli aspetti che la pandemia ha mostrato con evidenza empirica, e quindi bisogna approfondire quel processo già iniziato in precedenza di “re-internalizzazione” delle filiere produttive.
Questo anche perché – come è stato abbondantemente dimostrato – il margine dato dalla dinamica di scambio ineguale che ha caratterizzato a lungo i rapporti economici con Pechino si è molto assottigliato, relativizzando (ed in alcuni settori si è trasformata nel suo contrario) il vantaggio che ne derivava, dando vita alla guerra commerciale USA contro la Cina durante l’amministrazione Trump.
Afferma il consigliere capo:
«abbiamo un obiettivo politico esplicito per cui non solo i consumatori americani potranno essere in grado di acquistare veicoli elettrici, ma questi saranno assemblati negli Stati Uniti, e avremo il maggior ambito possibile dell’ecosistema dell’innovazione negli Stati Uniti, perché crediamo che questo sia un mercato globale in crescita. È una delle grandi opportunità di esportazione da costruire negli Stati Uniti per diventare leader. Per fare ciò è necessario un investimento iniziale strategico. Richiede la posa delle fondamenta in modo da sbloccare quel capitale privato».
Diventare un hub di questo ed altri settori strategici con un intervento diretto dello Stato nell'economia (non un semplice stimolo fiscale) che funga da base per lo sviluppo del privato, è la formula della finta “transizione ecologica” USA.
Di questa intervista vorremmo mettere evidenza altri due aspetti: la lucida consapevolezza del fallimento di un modello di welfare assistenziale che si è risolto in una vera e propria ecatombe – sia del personale impiegato che degli assistiti – e la necessità di cambiare le relazioni industriali per dare una base solida al nuovo “patto sociale”, che l’attuale amministrazione vorrebbe consolidare con quella classe lavoratrice di cui una parte dei Repubblicani dicono di essere ormai – se non del tutto giusto, quasi niente sbagliato, direbbe il poeta – il principale riferimento.
Ecco le parole di Deese:
«E poi, all’improvviso, abbiamo avuto questa pandemia, che in qualche modo è il perfetto esempio del fallimento del nostro sistema di assistenza – certamente rispetto alla popolazione anziana e alla morte sproporzionata a cui abbiamo assistito, perché questo sistema ha fallito. (...) Il punto di vista del presidente è che, in particolare mentre portiamo avanti questi investimenti pubblici, dovremmo legarli a salari migliori, più contrattazione collettiva e opportunità per i lavoratori di entrare a far parte di un sindacato e a posti di lavoro dignitosi.»
È un progetto complessivo i cui perni sono gli investimenti pubblici pluriennali ed il recupero della funzione pubblica nell'economia a livello federale.
«E quindi per me, la più grande preoccupazione è dimostrare che gli investimenti pubblici pluriennali sono effettivamente nell’interesse del popolo americano e che i lavoratori americani rappresenteranno un esempio per provare a dimostrare che questi tipi di interventi governativi possono produrre risultati positivi. (…) Molto di questo si riduce all’esecuzione. Molto di questo si riduce alla professionalità della funzione pubblica a livello federale, statale e locale, che oggi spesso è carente. E quindi dobbiamo essere molto umili riguardo a quanto sia difficile e quanto lavoro, impegno, concentrazione e implementazione richiederanno nel tempo. Ma è qui che, penso, larga parte del nostro obiettivo debba essere quello di lavorare bene.»
Non si può comprendere lo sviluppo della politica economica interna di Biden se non dentro la cornice della competizione internazionale in cui gli USA devono rafforzare il “fronte interno” dopo un anno per loro disastroso da più punti di vista.
Com’è stato storicamente, l’America deve prendere alcuni elementi del modello di sviluppo che si è dimostrato più avanzato e meglio attrezzato per affrontare la crisi economica globale (nel 1929 l’URSS oggi la Cina) inserendoli nel proprio sistema, senza però mettere in discussione i rapporti di produzione, anche per una governance più oculata delle contraddizioni interne, dimostratesi più volte esplosive.
Non ultimo, deve costruire una efficace narrazione che occulti il più possibile i suoi fini egemonici, presentandosi da campione del “progressismo”, come mutatis mutandis cercò di fare con Wilson dopo la Prima Guerra Mondiale.
Ma è il “socialismo degli allocchi”, a cui una buona parte del ceto intellettuale nostrano sembra dare credito senza indagarne le vere ragioni.
Buona lettura.
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La migliore spiegazione del “Biden-pensiero” che abbia mai ascoltato
La migliore spiegazione del “Biden-pensiero” che abbia mai ascoltato
Brian Deese – “Ezra Klein Show”
Con l’American Jobs Plan da 2000 miliardi di dollari, la teoria economica di Biden sta prendendo forma. E in grande stile. Mette il clima al centro di tutto. È più preoccupato per i rischi politici – perdere la Camera, dare a Donald Trump un percorso di ritorno al potere – che non per alcuni rischi economici tradizionali, come sprecare denaro e far salire l’inflazione.
Preferisce sbagliare di più e assicurarsi che le persone sappiano di avere un un lavoro piuttosto che far credere alla gente che il governo non stia lavorando per loro. Ma ho ancora molte domande sulla “biden economia”, sia in termini di teorie economiche sia politiche.
Brian Deese è il direttore del Consiglio Economico Nazionale, il centro nevralgico che coordina la politica economica in tutto il ramo esecutivo. Ha guidato il salvataggio automatico nell’amministrazione Obama e poi si è rivolto al clima, prima alla Casa Bianca con Obama e poi a BlackRock. Poi il presidente Biden lo ha messo a gestire la N.E.C., un chiaro messaggio programmatico: nell’amministrazione Biden, tutta l’economia sarebbe stata economia climatica.
Ho chiesto a Deese di unirsi a me nel podcast per parlare di come la sua politica economica ed il suo pensiero sono cambiati dal 2009, cosa ha imparato l’amministrazione Biden dai successi e dai fallimenti dell’era Obama, perché gran parte della politica economica della Casa Bianca è inquadrata in termini di concorrenza con la Cina, perché non pensa che una tassa sul carbonio sia la risposta giusta per il clima, come l’amministrazione Biden investirà nell’economia dell’assistenza e altro ancora.
Nel 2009 lo stimolo all’economia è stato indicato come tempestivo, temporaneo e mirato. C’era l’idea che quello che stavamo cercando di fare era accelerare la ripresa alle tendenze economiche pre-crisi. E quello che sta accadendo ora nell’amministrazione Biden sembra dirci che l’economia pre-crisi era un disastro sia per le persone che per il pianeta. È giusto?
Penso che sia una riflessione abbastanza giusta. Nello slogan che il presidente ha coniato sulla campagna di Build Back Better era implicito che, anche quando eravamo nel bel mezzo di una crisi del tutto unica, dovessimo pensare alle sfide fondamentali dell’economia e a come le avremmo superate.
Penso che tu abbia puntato il dito su due sfide importanti, una delle quali è la crescente disuguaglianza economica che persiste da due decenni, ma che è stata messa a nudo durante la pandemia. L’altro è il cambiamento climatico; abbiamo anche visto l’impatto accelerare. E, a nostro avviso, avere una strategia economica che non risponde o è agnostica su tali questioni non è più un’opzione praticabile.
Questi progetti di legge – il piano di salvataggio, il piano per l’occupazione, il prossimo piano familiare – sono sempre costruiti su un mix di teorie politiche ed economiche. Allora, su cosa hai cambiato idea politicamente dal 2009?
Penso che politicamente, una delle cose importanti sia assicurarsi che i beneficiari finali delle cose che stai cercando di realizzare, sappiano e capiscano cosa stai cercando di fare per loro. A volte questi sforzi si riassumono in discorsi che prediligono la complessità alla semplicità. Ma penso che ci sia la volontà di mostrare ciò che stiamo cercando di realizzare, cosicché capiscano cosa sta succedendo.
Nel 2009 ci siamo davvero concentrati sull’idea di un percorso intrapreso in costante contatto con i beneficiari finali, che si trattasse di una piccola impresa o di un’organizzazione comunitaria o di una famiglia. Questa era la politica. E ora, penso che questo aspetto sia ancora più rafforzato. Perché la capacità di sostenere una buona politica è legata alla capacità di sostenere l'appoggio politico a questa buona politica.
Penso che questo contribuisca a illuminare un dibattito che si è verificato, in particolare con il piano di salvataggio e i controlli. C’erano economisti, tra cui il tuo predecessore, Larry Summers, che hanno sostenuto che non fossero ben mirati. Andavano a persone che non soffrivano.
E c’è un altro gruppo che ha detto che anche se non sono perfettamente mirati, sono popolari, la gente saprà che li stanno ottenendo, hanno la sensazione di essere aiutati dall’amministrazione, e questo genererà slancio politico.
L'opinione che hai espresso prima dovrei intenderla come un compromesso che questa amministrazione sta facendo?
Penso che ci siano un paio di cose da analizzare. Una di questi è che la logica politica e l’obiettivo politico, in questo caso, sono diversi. L’obiettivo di tamponare il problema è più simile al disastro post naturale: come si fa a collegare le persone a quando la vita tornerà a qualche parvenza di normalità?
Nell’attuale crisi, stiamo concedendo prestiti che si trasformano in sovvenzioni. Questo è analiticamente molto diverso dal tipo di approccio adottato nel 2009. Si tratta più di tamponare la ferita, evitare la sofferenza.
La seconda cosa che dici, però, riguarda la comprensione di come questo sia un vantaggio che le persone stanno ottenendo e attorno alle quali le persone possono unirsi. Penso che questo sia di grande importanza.
E questa definizione di ciò che significa essere feriti è più ampia e universale dell’idea di considerare le persone come semplici passaggi per incrementi di stimolo fiscale.
Anche se hai mantenuto il tuo lavoro – se hai una famiglia con due percettori di reddito e hai mantenuto il tuo lavoro durante questa crisi – la vita è molto dura in questo momento. È più costosa. Ed è costosa in modi importanti per il modo in cui le persone stanno vivendo la loro vita, anche se non si adatta a una sorta di analisi moltiplicatrice del divario di output.
Considerare le persone come semplici passaggi per unità di stimolo incrementale è una delle frasi davvero grandi dell’economia che abbia mai sentito.
Che ne dici di economicamente? Cosa è cambiato economicamente nel tuo pensiero, dal 2009?
Un paio di cose. Sia l’evidenza che la mia comprensione dell’impatto del cambiamento climatico hanno influenzato la mia visione dell’importanza di costruire gli inevitabili e ora irreversibili cambiamenti che l’aumento delle temperature medie globali sta avendo sulla nostra società in tutto ciò che stiamo facendo. Questo è il n. 1.
Il n. 2 è che la nostra economia sta diventando più disuguale. Pertanto, le conseguenze distributive della politica fiscale in particolare sono diventate più risonanti per me. Quindi questa crisi mi ha reso più in sintonia e più attento ai modi in cui la politica economica, agnostica degli impatti distributivi e agnostica della disuguaglianza economica, probabilmente non affronta il momento.
L’ultimo tassello è che la situazione economica globale è cambiata. La Cina si trova in un posto molto diverso rispetto a dieci anni fa. Ci troviamo in una posizione diversa rispetto ai nostri concorrenti internazionali. E la mia apertura a sforzi più mirati per cercare di costruire la forza industriale interna – ciò che la gente in epoche precedenti umilierebbe o deriderebbe come politica industriale – è aumentata, perché penso che non stiamo operando su un piano di parità.
Non esiste una soluzione basata sul mercato per cercare di affrontare alcune delle grandi debolezze che stiamo vedendo aprirsi nella nostra economia quando abbiamo a che fare con concorrenti come la Cina che non operano a condizioni di mercato. E questo è, almeno per me, un cambiamento di prospettiva da dove mi trovavo dieci anni fa.
Mi aspettavo l’attenzione sul clima. Ma non mi aspettavo l’attenzione rivolta alla Cina nell’elaborazione e persino nella definizione delle politiche di questo piano. Quindi dimmi di più sul perché il tuo pensiero, il pensiero dell’amministrazione, è cambiato su questo dal 2009.
Molto di questo deriva direttamente da ciò che il Presidente sta elaborando al momento attuale e alla direzione che ci sta fornendo. Quando pensa agli investimenti infrastrutturali necessari, molti di questi sono in contrasto con ciò che la Cina sta facendo in termini di investimenti strategici.
La Cina ha costruito la ferrovia ad alta velocità, gli Stati Uniti non l’hanno fatto. La Cina ha incrementato la propria quota di investimenti strategici in Ricerca e Sviluppo in un modo che non avevamo previsto. Abbiamo vissuto un decennio in cui la Cina ha meticolosamente pensato di fare quegli investimenti, concentrando quegli investimenti – non tutti di successo, ma tutti con un focus deliberato sul tentativo di costruire la propria base industriale e la propria base intellettuale e di innovazione. E, per la maggior parte di un decennio, abbiamo ignorato o derogato quelle leve. Pertanto, qualunque fosse il nostro focus su quegli investimenti dieci anni fa, ora è più evidente.
Ma penso che il secondo elemento sia che, sulla scia degli ultimi quattro anni tra i nostri alleati e tra i nostri omologhi globali, c’è una grande domanda, gli Stati Uniti possono offrire qualcosa ai cittadini dei nostri paesi? Gli Stati Uniti possono governare e investire con competenza in settori che sono ovviamente vantaggiosi per il proprio benessere, la loro forza economica, la loro resilienza economica? Perché il mondo ha guardato per un paio d’anni gli Stati Uniti operare in un modo che era molto difficile da capire per i nostri omologhi internazionali. Questa è in realtà la questione dominante. Penso che ora più di ogni altro momento della storia moderna, il mondo stia osservando la politica interna degli Stati Uniti. La questione del piano di salvataggio era una questione di alto livello al G7. E penso che questo rifletta il fatto che il mondo sta ponendo questo dubbio: se gli Stati Uniti saranno nuovamente la guida a livello internazionale su una questione come il cambiamento climatico o una questione come la salute globale e la risposta alla pandemia. Prima di tutto, la domanda è: gli Stati Uniti possono mettere ordine in casa propria? E questa domanda è inevitabilmente inquadrata nei confronti della Cina.
Non pensiamo troppo a quanto il Regno Unito o la Germania, la Malesia o il Brasile stanno spendendo in Ricerca e Sviluppo. Non pensiamo molto agli investimenti strategici che stanno facendo. Perché, invece, inquadrare le cose nel contesto della Cina?
Perchè la Cina è la potenza economica e militare ascendente nel mondo. E così, per ragioni geopolitiche ed economiche, la loro forza economico-militare incomberà maggiormente di altre. Credo che questo sia il n. 1.
Il n. 2 è che, a causa degli investimenti che hanno fatto, si sono posizionati in una serie di aree critiche per la nostra economia globale e per le catene di approvvigionamento come attore cardine. Mentre pensiamo alle dinamiche competitive con la Cina, dobbiamo porci una serie più seria di domande sulla nostra vulnerabilità.
Ma non è solo la Cina. Questa non è solo una grande dinamica di potere tra Stati Uniti e Cina. Questa pandemia ha reso visibili per noi negli Stati Uniti la vulnerabilità della nostra economia e delle nostre catene di approvvigionamento in un’economia globalizzata sfrenata, dove le vulnerabilità della catena di approvvigionamento sono spesso collegate alla Cina ma sono collegate in modi molto complicati.
La carenza di semiconduttori che abbiamo oggi negli Stati Uniti è una storia complicata che coinvolge molti paesi e molti elementi della catena di approvvigionamento e dove si trovano i siti di fornitori di secondo livello in Europa, anche se il luogo finale in cui viene prodotto è in Asia. Questa è una realtà dell’economia globale, ma queste realtà stanno creando vulnerabilità per l’economia degli Stati Uniti che penso siano state più difficili da vedere in passato.
Vorrei tornare a un’altra cosa di cui lei ha parlato un minuto fa: la preoccupazione che il governo americano possa ancora pensare al proprio popolo. Una cosa che mi sembra sia cambiata negli ultimi 10, 15 anni, in particolare nella politica economica democratica, è la sensazione che i rischi della politica economica non siano solo economici, ma politici.
Uno dei tuoi colleghi mi ha detto qualcosa che mi è rimasta in testa: “Se la gente non vede che la stiamo aiutando, questo paese potrebbe tornare da Donald Trump o qualcosa come lui molto presto". C’è un diverso senso dell’interazione qui tra economia, senso che la gente ha del governo che lavora, e qual è la gamma di risultati politici per l’America?
Penso che ci sia sicuramente la sensazione che abbiamo appena vissuto quattro anni di Donald Trump, il che sicuramente aumenta la posta in gioco per assicurarci di non tornare mai più in quella condizione.
Ma stiamo anche vivendo questa pandemia, che ha smentito così tanto di ciò che abbiamo dato per scontato come elementi stabili della nostra economia e della nostra vita. E siamo in un momento critico anche a livello internazionale per le ragioni che abbiamo appena discusso. Quindi, per tutti questi motivi, penso che ci sia un senso accresciuto della posta in gioco.
E anche, direi tra gli aspetti positivi, un senso dell’opportunità: vediamo storicamente che questi momenti di crisi sono momenti in cui il potenziale spettro di possibilità si espande.
In che modo i negoziati con le correnti (caucus, NdC) democratiche del Congresso ora sono diversi da quelli di allora?
Beh, penso che la politica del Paese e la politica del Partito Democratico siano cambiate. C’è un’aspirazione e un’aspettativa diverse per ciò per cui siamo stati eletti. E penso che il presidente abbia molto a che fare con questo in termini di campagna che ha condotto e della visione che ha delineato per il paese.
Ma penso anche che, pur con le scarse maggioranze che abbiamo, il caucus democratico nel suo complesso si concentri sulla realizzazione di quell’agenda, che è grande e ambiziosa. Di conseguenza, la pressione su di noi affinché rimaniamo coerenti con l’attuazione di un’agenda estesa e ambiziosa rimane. Penso anche che, almeno finora, ci sia stato un notevole accordo, non su tutti i dettagli della politica e non su tutti gli elementi di ciò che stiamo cercando di fare – e questo è complicato, tutti hanno opinioni diverse – ma sul fatto che dobbiamo muoverci, dobbiamo muoverci con velocità, dobbiamo muoverci con attenzione per cercare di arrivare a questi problemi.
Non ci stiamo scontrando su qualcosa di categoricamente diverso dall’agenda che il presidente sta cercando di proporre. Quindi in questo senso, penso che ci sia un senso condiviso di dove dobbiamo arrivare e la posta in gioco di ciò che dobbiamo fare. Ma all’interno di questo, abbiamo un’ampia coalizione e dei caucus che hanno molte opinioni diverse. E certamente, rende note queste opinioni.
La sensazione del modo in cui lo spazio negoziale qui è cambiato si vede nel fatto che nel 2009-2010, ma anche in ogni amministrazione prima di quella di Obama, tutto – ogni politica, ogni messaggio – è stato progettato fin dall’inizio con l’aspettativa che ci sarebbe stato un negoziato anche con il partito del Congresso dell’altra parte. Se si torna allo stimolo, ci sono stati tagli fiscali per questo motivo. L’Affordable Care Act si basa sul quadro di Romneycare.
E mi sembra che sia per l’amministrazione che per i democratici del Congresso, tutti adorerebbero l’impegno e i voti costruttivi repubblicani e sarebbero disposti ad apportare modifiche per ottenerli. Ma le cose non vengono prenegoziate nelle aspettative, e questo ha davvero cambiato la progettazione delle politiche in un modo piuttosto fondamentale. È ragionevole?
Vorrei dire due cose al riguardo. Una è che il presidente è stato chiaro – e mi aspetto che sia chiaro sia nel piano di salvataggio sia nel piano per l’occupazione – e ritiene che dobbiamo andare alla grande. È un momento per essere audaci. È un momento per delineare di cosa ha effettivamente bisogno il paese, il che ti mette nella categoria di fare cose audaci – cose che non sono state fatte da un bel po‘ di tempo.
Questa è la convinzione ferma del presidente – che la cosa giusta per il paese è delineare quel tipo di visione e poi cercare di galvanizzare il paese intorno al perché è necessario. Questo definisce sicuramente il modo in cui si sta avvicinando, e penso che sia diverso.
La seconda cosa, in particolare per quanto riguarda questo piano per l’occupazione, penso che il presidente stia mostrando che si può effettivamente delineare una visione audace. Senza negare le proprie convinzioni o prenegoziare, questo passa anche proponendo cose che sono ampiamente entro i limiti di ciò che entrambe le parti hanno concordato siano necessarie.
Penso che ci sia una differenza tra tirare le cinghia, dire, “Penso che ciò di cui il paese ha bisogno sia X, ma possiamo fare solo lo 0,3%, e dire, “Si scopre che X di cui il paese ha bisogno è qualcosa che in realtà è ampiamente supportato in tutto il paese.” Non è una priorità politica particolarmente di parte. È solo che non è stato fatto. Non abbiamo trovato un modo per farlo.
L’opinione del presidente è che non c’è una disconnessione tra l’essere audaci e proporre cose che, riguardo alla loro reputazione, non c’è motivo per cui democratici e repubblicani non possano lavorare insieme. Ora andremo a capire se è possibile. Ma non c’è motivo per cui non dovrebbe essere vero.
Beh, mi sembra che nella misura in cui c’è una disconnessione che viene sfruttata, è una disconnessione tra i repubblicani del Congresso e la loro base. L’amministrazione sta cercando di proporre cose che hanno il sostegno repubblicano, ma il sostegno dei repubblicani in tutto il paese non viene definito nel modo in cui era definito – come supporto tra una sorta di think tank repubblicani d’élite e legislatori a Washington.
Sì. La cosa più interessante di questo pacchetto di posti di lavoro è che in realtà le persone là fuori nel paese, in particolare in aree del paese che non hanno beneficiato di investimenti precedenti spesso si sovrappongono a parti rosse del paese, America rurale, aree in cui c’è stato un sottoinvestimento cronico in cose come sistemi idrici, sistemi elettrici e simili.
E c’è un’ampia sovrapposizione con le cose che dobbiamo assolutamente fare come paese e che hanno un ampio appeal di buon senso. E quindi stiamo certamente cercando di attingere a questo. Ma questo è uno sforzo in buona fede per cercare di dire, “Se c’è un modo possibile per riunire le persone e fare qualcosa in modo bipartisan al Congresso, lo faremo.”
Io e te ci conosciamo da un po’. Eri il giovane dell’amministrazione Obama. Ora sei il vecchio brizzolato al Consiglio Economico Nazionale. In che modo i giovani economisti dell’amministrazione sono diversi ideologicamente o nel temperamento rispetto alla vostra generazione?
Faccio difficoltà a pensare a me stesso come "al vecchio", ma capisco cosa vuoi dire.
Penso che ci sia stato molto più lavoro da fare per cercare di capire quali sono le radici della disuguaglianza economica nel corso dell’ultimo decennio e l’apertura a pensare al potere e alle dinamiche di potere nell’economia, al potere dei lavoratori. Significativamente più lavoro intellettuale è andato in “Cosa ha significato il declino del movimento di sindacalizzazione negli Stati Uniti, e come possiamo realisticamente costruirlo di nuovo?” Questo è un esempio.
Un altro esempio sono le cose che sarebbero tradizionalmente descritte come politica industriale, dove ora ci poniamo domande su “Come pensi davvero di costruire forza industriale in settori chiave dell’economia in cui abbiamo chiaramente vulnerabilità, stiamo scegliendo i vincitori, o stiamo sprecando denaro?” Lo spazio di pensiero si è davvero allargato, e avere persone che sono davvero disciplinate nel garantire che stiamo pensando in modo intelligente a questo, ma aperte a una gamma molto più ampia di potenziali risultati.
Quindi l’ultima cosa che dirò – e questo è stato vero, credo, durante l’amministrazione Obama e ora – è anche incredibilmente utile avere una combinazione di nuovo pensiero ed esperienza. Avere qualcuno come il segretario Yellen nel team economico che ha effettivamente prestato servizio alla Casa Bianca di Clinton, è stato il presidente della Fed, ha attraversato crisi economiche – anche questa prospettiva aiuta a fare in modo che stiamo pensando attentamente ai mercati e anche alle questioni. Ma penso che abbiamo una più ampia diversità di prospettive disposte a sfidare alcune cose che erano convenzioni del pensiero economico prima della metà dello scorso decennio.
Una cosa che mi ha colpito sull’amministrazione Biden e su questa nuova generazione di membri dello staff democratico è che la generazione di democratici le cui esperienze formative sono state la crisi finanziaria e la crisi climatica vedono il mondo e il ruolo del governo in modo molto diverso rispetto a quelli le cui esperienze formative erano forse la stagflazione e le politiche economiche di Clinton e il successivo boom.
Quando vi ho chiesto come è cambiato il vostro pensiero, la prima cosa che avete detto è stato il clima. Quindi voglio parlare del contesto climatico di questo disegno di legge. Spiegami la teoria di come l’American Jobs Plan affronta il clima e gli approcci al problema climatico.
Abbiamo due grandi questioni in materia di clima e di infrastrutture. Il primo è che l’aumento della frequenza e della gravità degli eventi meteorologici estremi – che si tratti di inondazioni nel Midwest, incendi in Occidente, tempeste nel bacino atlantico – significa che se hai una visione agnostica sul clima per costruire infrastrutture, ti perderai elementi importanti di come costruisci infrastrutture resilienti, intelligenti e sostenibili.
Questo deve riguardare tutte le cose a cui penserete, anche gli elementi più basilari delle infrastrutture, perché dobbiamo costruire sulla realtà dei modi in cui l’ambiente fisico e l’ambiente in cui tutti operiamo sono cambiati. Quindi in ogni elemento a cui stiamo pensando, dobbiamo porci la domanda, “Stiamo tornando a una posizione più resiliente per affrontare gli inevitabili impatti che vivremo, indipendentemente da quanto siamo efficaci nel mitigare le future emissioni di CO2 nel paese o le emissioni di gas serra nel paese?”
E poi se pensate ai grandi sistemi del nostro paese – il sistema dei trasporti è uno, il sistema energetico e l’energia è un altro – per risolvere il cambiamento climatico, dovremo trasformare questi sistemi. E investire nelle infrastrutture può essere uno dei modi più efficaci per farlo in un modo che crea molti posti di lavoro, crea molte nuove opportunità ed è anche economicamente ragionevole. Quindi l’obiettivo è: “Dove possiamo fare gli investimenti necessari per costruire il futuro sistema infrastrutturale che vogliamo e di cui avremo bisogno?”
Quindi, ovviamente, dal lato dei trasporti, la cosa che cattura più immaginazione è costruire stazioni di ricarica elettriche in tutto il paese. Ma c’è dell’altro. Dal lato del settore energetico, si sta costruendo l’infrastruttura reale di come spostiamo gli elettroni in tutto il paese in un modo che richiede molta occupazione, porta posti di lavoro in molte parti diverse del paese, ma è assolutamente necessario se questa sarà la struttura futura.
L’ambiente e l’industria ottengono meno attenzione ma sono opportunità straordinarie. E questo piano vede un investimento molto significativo nella riqualificazione degli edifici e nel renderli più efficienti dal punto di vista energetico. Sono lavori di costruzione, mestieri edilizi. In realtà si tratta di investimenti di alto valore, in cui fornire un incentivo potrebbe effettivamente sbloccare un sacco di capitale privato da investire, in particolare nello spazio degli edifici commerciali.
E poi, ultimo dal lato del settore, stiamo investendo sia in Ricerca e Sviluppo sia nell’implementazione di nuove tecnologie che aiuteranno l’industria statunitense ad avere un ruolo guida nella creazione di applicazioni industriali a basse o zero emissioni di carbonio nel futuro, che si tratti di materiali a basse emissioni di carbonio, acciaio, cemento o in aree a zero emissioni di carbonio come CCS e idrogeno. Questi sono luoghi in cui hai bisogno di investimenti pubblici per aiutare effettivamente a sbloccare nuove scoperte.
Quindi in tutte queste aree, stiamo cercando di pensare a dove investire in un modo che aiuti a gettare le basi per la futura economia a zero emissioni di carbonio che vogliamo.
Lasciami porre una critica da “fuoco amico” che ho sentito sulla teoria del piano...
Non vedo l’ora!
Sì, sono sicuro che sei impaziente. Quindi alcune delle cose di cui parla sono cose che, in teoria, il settore privato dovrebbe saper fare. Abbiamo costruito stazioni di servizio in questo paese senza che fosse il governo federale a farlo. Impermeabilizzare le case, impermeabilizzare gli edifici, migliorare l’efficienza energetica: queste sono cose che il settore privato sa fare. Quindi l’approccio economico corretto, secondo questa critica, è che si dovrebbe imporre una carbon tax (tassa sulle emissioni), si dovrebbe aumentare il prezzo del carbone e poi lasciare che la magia del mercato privato funzioni. Perché, invece, dal tuo punto di vista, il governo deve assumere un ruolo così centrale oggi?
Un paio di cose. Uno è che dobbiamo muoverci il più rapidamente possibile per decarbonizzare la nostra economia. Dobbiamo farlo in modo da creare quanti più posti di lavoro e più opportunità economiche possibili per gli americani in questo paese. Questo è il nostro obiettivo.
Se questo è il nostro obiettivo, guardare settore per settore quali saranno gli elementi fondamentali che aiuteranno a sbloccare quel capitale privato è un modo sensato per farlo. Quindi nel settore dei trasporti, inevitabilmente, alla fine, il settore privato potrebbe risolvere il problema dell’uovo e della gallina del “Ci sono abbastanza stazioni di ricarica in modo che le persone si sentano a proprio agio nell’acquistare veicoli elettrici?” Ma quando questo succederà, avremo solo perso tempo dal lato del clima. E avremo perso opportunità in termini di investimenti sottostanti nelle innovazioni fondamentali e negli elementi che diventeranno la base di quel settore per il futuro.
Lo vediamo nei semiconduttori. Lo vediamo già nelle batterie. Ma siamo intenzionati a cercare di arginare la marea. In realtà abbiamo un obiettivo politico esplicito per cui non solo i consumatori americani potranno essere in grado di acquistare veicoli elettrici, ma essi saranno assemblati negli Stati Uniti e avremo il maggior ambito possibile dell’ecosistema dell’innovazione negli Stati Uniti, perché crediamo che questo sia un mercato globale in crescita. È una delle grandi opportunità di esportazione da costruire negli Stati Uniti per diventare leader. Per fare ciò è necessario un investimento iniziale strategico. Richiede la posa delle fondamenta in modo da sbloccare quel capitale privato.
Agire sui prezzi avrebbe impatti differenti in settori differenti dell’economia. Ci sono modelli di prezzi economici. Ciò ridurrebbe le emissioni nel settore energetico molto più rapidamente. Nel settore dei trasporti no. Quindi, se il tuo obiettivo fosse cercare di ridurre le emissioni nel settore dei trasporti, avresti bisogno di un’imposizione di prezzi molto diversa. Penso che l’altra risposta, più pratica, sia che è vero da diversi anni che gli aggiornamenti dell’efficienza energetica negli edifici commerciali dovrebbero avvenire ma non si sono verificati. E quindi l’altra cosa che stiamo cercando di fare è guardare oltre e dire: “Quali sono le barriere pratiche in cui, strategicamente, gli investimenti pubblici o il settore pubblico possono svolgere un ruolo catalitico?” Molti di questi sono fallimenti del mercato o barriere che non sono superabili solo con un aumento del prezzo nello sblocco del settore privato. Il motivo per cui non disponiamo di un sistema di trasmissione sufficiente per supportare l’aumento delle energie rinnovabili è un complicato mix di questioni politiche ed economiche e giurisdizionali e, in realtà, il governo federale potrebbe intervenire con una combinazione di incentivi e requisiti per aiutare davvero a sbloccarle.
E quindi il nostro punto di vista è certamente più sfumato di “impostiamo semplicemente una rotta e il settore privato la seguirà”. Penso che ciò sia confermato sia dall’urgenza di dover agire sia dal fatto che, in molti di questi casi, la barriera non è solo una barriera di prezzo. La barriera che si sta cercando di superare è qualcos’altro.
Questo è un cambiamento teorico rispetto agli ultimi, diciamo, 15 anni di politica climatica. E l’idea è che non puoi semplicemente avvicinarti alle persone e chiedere loro un sacrificio. Non puoi dire: “Lo faremo rendendo l’energia più costosa e alcune cose non saranno più disponibili”. Si vuole farlo in un modo che sia positivo per le persone: migliori tecnologie, nuovi posti di lavoro. Si sta già guadagnando qualcosa, non “ora hai di meno perché nel futuro tu possa ottenere di più”.
Vorrei dire che non è solo un imperativo di comunicazione ed una strategia narrativa. Vorrei che gli americani vedessero e sperimentassero che gli investimenti nella costruzione di una rete elettrica più resiliente migliorano effettivamente le loro vite e creano opportunità di lavoro per loro o per i loro vicini o altro.
E che un’agenda di investimenti sulla falsariga di ciò che il presidente ha presentato in realtà è tra le migliori opportunità che abbiamo per creare una prossima generazione di posti di lavoro ben retribuiti in tutta l’America. Ciò deve effettivamente diventare vero nella pratica. E in un certo senso siamo in una posizione migliore ora di quanto non lo siamo mai stati, perché in così tante di queste aree, il mercato globale si sta muovendo verso fonti di energia più pulite e a basse emissioni di carbonio. Quindi questi investimenti possono effettivamente sbloccare più investimenti privati, ma lo fanno in un modo per cui le persone sentono che la politica del governo sta effettivamente trovando una strategia che renderà le loro vite migliori.
Su questo, i veicoli elettrici stanno arrivando. La maggior parte delle case automobilistiche del mondo sta dicendo che passerà a veicoli elettrici. Questo è inevitabile. La domanda è: “Possiamo farlo in un modo che sia davvero positivo per la nostra economia e per i lavoratori americani e i consumatori americani?” Parte di ciò a cui stiamo cercando di rispondere sono le leve politiche che faranno in modo che sia così.
Il presidente dice: “Quando penso al cambiamento climatico, penso al lavoro”. Penso che sia un buon modo per cercare di spiegare ciò che stiamo cercando di realizzare.
Gran parte di ciò che viene messo nel piano è una spesa molto elevata per le infrastrutture. Negli ultimi anni ci sono stati anche molti errori su grandi progetti infrastrutturali. Sono in California e non posso prendere un treno ad alta velocità. Quindi cosa si è imparato sulla costruzione di infrastrutture, in particolare di questa scala?
Abbiamo imparato molte cose. In primo luogo, questo disegno di legge non si concentra solo su progetti pronti per il cantiere. Si concentra anche su cose degne di un cantiere. Nel 2009 il paradigma era lo stimolo fiscale: agire il più rapidamente possibile, far partire i cantieri il più rapidamente possibile. Questo ha dettato molto di ciò che era possibile fare. C’era molta attenzione sulla manutenzione differita. C’era molta attenzione nell’usare quei soldi immediatamente, il che significava che le entità statali e municipali che stavano ricevendo i soldi alla fine dovevano riciclare quel capitale.
Se guardi all’American Jobs Plan, c’è una vera attenzione su un piano pluriennale di investimenti pubblici progettato per sostenere i progetti che meritano un cantiere – quei progetti che non dureranno per sempre ma che richiedono davvero una certa capacità di pianificazione tecnica.
Una seconda cosa è che le capacità tecniche e tecnocratiche sono importanti. E sono importanti a livello statale e locale. Devi costruire quella capacità. Devi investire in quella capacità. Una delle idee del piano per l’occupazione americano è di costruire ciò che altri paesi hanno fatto, nel Regno Unito e in Canada, per cercare di creare effettivamente un’autorità indipendente che aiuti entrambi a fare ampie e complete revisioni su quali sono gli investimenti di maggior valore da fare, ma che funzioni anche con gli Stati e le autorità locali per costruire la capacità tecnica in modo che l’ente che ha il compito di capire come costruire il tunnel o posare la linea di trasmissione o costruire il ponte abbia la capacità di pensare in anticipo a “Quali sono i possibili ostacoli?”.
Il terzo è più sul lato dell’economia politica. Più possiamo utilizzare gli investimenti federali in modo da fornire finanziamenti competitivi per identificare quelle aree in cui c’è capacità e appetito, meglio è. Ad esempio, nel piano per l’occupazione, c’è attenzione sui 10 ponti economicamente più significativi, che saranno tutti progetti molto grandi e complicati perché questi sono i ponti su cui la maggior parte delle persone e delle merci passa quotidianamente. Ma l’obiettivo è dire: “Vogliamo organizzare una gara” – una gara a livello nazionale, magari usando questa Infrastructure America Authority per dire non solo “Dove farli?” ma “Dove c’è il buy-in locale e il know-how tecnico?”
Possiamo farcela. Possiamo incoraggiare offrendo l’investimento. E poi investi in quei posti in cui hai grande fiducia nel farlo. Quindi penso che in tutte queste aree abbiamo imparato molto. Abbiamo cercato di inserire queste lezioni nella progettazione di questo piano.
L’ultima cosa che vorrei dire, per tornare all’elemento climatico, è che siccome il mercato sta andando verso mezzi di trasporto a ridotte emissioni ed elettrificazione, ci sono più opportunità in cui il capitale pubblico può sbloccare un maggiore capitale privato.
Quindi questa idea di un acceleratore di energia pulita, una banca di energia pulita – questa è una delle idee in questo piano che in gran parte si basa sulle opinioni dei membri del Congresso di entrambi gli schieramenti negli ultimi due anni. E pensiamo che ci siano più opportunità di imparare da ciò che è stato fatto in altri paesi su questo fronte. Non sarebbe stato vero diversi anni fa.
Mi interessa questa idea di usare il denaro per premiare o anche per migliorare le capacità locali e persino le leggi del settore, a volte gestendo meglio gli appalti. Nella sezione del disegno di legge sugli alloggi, si vogliono costruire moltissime nuove abitazioni, ma è anche legato, almeno in alcuni casi, al fatto di spingere le città a cambiare le loro leggi sui piani di governo del territorio, in modo che sia più facile costruire quei plessi abitativi.
Questa è una politica piuttosto interessante. Dimmi come potrebbe funzionare in pratica.
Sì. Giusto per essere chiari, questa non è una prelazione federale sui piani regolatori locali o altro. In realtà, queste sono proposte che si basano su idee che, ancora una volta, Repubblicani e Democratici hanno almeno presentato al Congresso nel corso degli ultimi due anni.
L’idea è, fondamentalmente, dobbiamo costruire più alloggi negli Stati Uniti nei posti giusti. E se possiamo farlo questo diventa un importante moltiplicatore economico, perché consente alle persone di avere più opportunità e passare a lavori che sono potenzialmente ascensori verso carriere meglio retribuite e vivere nelle zone in cui c’è offerta di questo lavoro.
Per farlo è necessario avere politiche di governo del territorio più illuminate a livello locale. Ma l’uso degli investimenti a volte può aiutare a superare il problema della gallina e dell’uovo: cambiare le politiche di regolamentazione per consentire lo sviluppo è più difficile da fare se non si dispone di qualche investimento o di finanziamenti per la costruzione di quelle abitazioni.
Quindi l’idea è relativamente semplice ed è quella di attrarre la domanda e poi mettere quelle risorse nelle aree in cui ci sarà il maggiore boom. E in alcuni casi, ciò sarà dovuto al fatto che hai ottenuto un cambiamento nella suddivisione in zone che sbloccherebbe maggiori opportunità di costruire alloggi nei posti giusti.
L’American Jobs Plan recita: “Anche prima del Covid-19, il nostro paese era nel mezzo di una crisi assistenziale”. Parlami della crisi del pre-coronavirus.
Penso che questo sia un luogo in cui la politica debba essere anche personale. Ci sono così tante persone là fuori che si prendono cura di un genitore anziano, milioni di persone che in realtà si prendono cura di bambini e adulti che hanno qualche forma di disabilità – autismo, disabilità che richiedono cure significative. E poi, ovviamente, i genitori dei bambini, in particolare i bambini più piccoli.
Prima della pandemia, se si guarda all’infrastruttura per supportare la cura di quelle persone – che in definitiva è un prerequisito economico per quei genitori, perché coloro che si prendono cura di loro partecipino effettivamente all’economia – quell’infrastruttura ha fallito per molto tempo. Le richieste rimaste inevase per l’assistenza domiciliare e comunitaria e Medicaid sono quelle di centinaia di migliaia di persone. Quindi, se hai bisogno di queste cure, non hai alcuna garanzia di poter accedere a quelle cure.
La mancanza di un’assistenza all’infanzia a prezzi accessibili e di qualità nel Paese, prima della pandemia, era un ostacolo significativo alla capacità delle famiglie di trovare il giusto equilibrio tra uno o entrambi i partner in una relazione genitoriale che funzionasse davvero. E così prima della pandemia, eravamo in una situazione in cui ciò stava frenando la nostra economia, frenando il nostro potenziale.
E poi, all’improvviso, abbiamo avuto questa pandemia, che in qualche modo è il perfetto esempio del fallimento del nostro sistema di assistenza – certamente rispetto alla popolazione anziana e alla morte sproporzionata a cui abbiamo assistito, perché questo sistema ha fallito.
Forse una delle più grandi eredità su cui dovremo concentrarci per uscire da questa crisi sono i genitori, e in modo sproporzionato le donne, che lasciano la forza lavoro perché non hanno un’opzione di assistenza alternativa nella pandemia. Quindi, mentre pensiamo di ricostruire un’economia migliore sulla scia di questa pandemia, ci concentriamo su quali siano i giusti investimenti pubblici per costruire un sistema di assistenza più forte in futuro.
Mi sembra che una delle cose che la pandemia ha reso chiaro – per portare ad un cambiamento politico – è che fondamentalmente ogni famiglia che ha genitori anziani o figli piccoli o semplicemente chiunque nella propria famiglia abbia una situazione difficile è stato improvvisamente esposto ad un’assistenza assente, un sistema di assistenza assente che però per molti era già normale prima della pandemia. In parte è stato semplicemente mettere luce su una realtà preesistente, ma ora colpisce tutti contemporaneamente, il che ne cambia la valutazione politica abbastanza profondamente.
Allora a cosa ammonta tutto questo investimento? Una volta che saranno fatti tutti gli investimenti, quali opzioni di assistenza saranno disponibili per una famiglia rispetto ad ora?
Penso che tu abbia ragione nel dire che [la pandemia] ha dimostrato che le famiglie dipendono da quella cura. Ha anche messo in luce la forza lavoro. La forza lavoro di cura, le persone che si prendono cura degli anziani e dei disabili nel paese e le persone che si occupano principalmente di assistenza all’infanzia sono per la stragrande maggioranza donne e per la stragrande maggioranza pagate con salari da povertà.
E così le persone che erano in quelle case di cura che fornivano assistenza agli anziani, parte della forza lavoro essenziale e maggiormente esposta durante questa pandemia, sono anche la sotto struttura di questo sistema di assistenza che sta fallendo. E parte di ciò che sta fallendo è che la società non riesce a dare dignità al lavoro che svolgono, che è uno dei lavori più difficili.
Questo vuol dire dare un volto ai moderni sistemi di assistenza. Le persone che indossano un camice e vanno a cambiare cateteri e si prendono cura di pazienti veramente malati, anziani o forniscono assistenza nelle case di quelle persone stanno facendo un duro lavoro che crea un sistema che consente a tanti di noi di operare effettivamente nell’economia.
Allora cosa c’è di diverso? Uno, l’accesso a quell’assistenza per quelle famiglie che altrimenti non potrebbero accedervi.
Costruire strutture per l’assistenza all’infanzia – investire nel lato dell’offerta dell’assistenza all’infanzia, e rendere disponibili più opzioni. E poi anche investire in meccanismi per garantire che i lavoratori che forniscono tale assistenza siano pagati meglio, abbiano maggiori opportunità di organizzarsi e avere più possibilità di carriera in modo che ci siano più opportunità di avere successo e avanzare.
Penso dall’altra parte che – oltre ad affrontare la situazione di crisi immediata di “Come possiamo riportare più genitori e donne nel mondo del lavoro ed evitare che i bambini perdano anni della loro istruzione?” – dovremmo avere un sistema in cui sia più facile trovare un’assistenza di qualità e che sia retribuita come merita di essere.
Questa sembra essere una linea guida di tutto il progetto di legge. Si trova nella sezione assistenza del piano. È anche nella legge PRO (progetto di legge per la protezione dei diritti sindacali dei lavoratori NdT). Molte parti del disegno di legge riguardano fallimenti del mercato molto profondi: fallimenti dei mercati legati al cambiamento climatico, fallimenti del mercato legati alla disuguaglianza.
Ma sembra anche che la poca forza dei lavoratori sia diventata un fallimento nell’economia. E poiché i lavoratori delle industrie chiave hanno perso potere o sono stati sfruttati, come nel settore dell’assistenza tutto ciò non solo è stato un male per quei lavoratori, ma è stato anche un male per la società nel suo complesso.
Il punto di vista del presidente è che, in particolare mentre portiamo avanti questi investimenti pubblici, dovremmo legarli a salari migliori, più contrattazione collettiva e opportunità per i lavoratori di entrare a far parte di un sindacato e a posti di lavoro dignitosi. Ciò assume forme diverse in diverse parti del piano, ma hai ragione a dire che è una parte fondamentale dell’intera agenda, comprese anche cose come gli investimenti in ricerca e sviluppo.
Parte della teoria qui è che dobbiamo investire in modi che non si vedono dagli anni ’60, ma anche pensare a “Come ci assicuriamo che quando investiamo, stiamo generando più opportunità di lavoro di qualità negli Stati Uniti?”
Il presidente è deciso anche sul fatto che l’altro elemento fondamentale dell’utilizzo di questi fondi è che quando investiamo, dovremmo dare la priorità ai prodotti di fabbricazione americana e al lavoro salariato prevalente americano. E c’è anche un elemento climatico in questo, ovvero il potere degli appalti federali può essere utilizzato per far avanzare effettivamente la tecnologia e portare avanti nuovi mercati e farlo in un modo che crei maggiori opportunità interne.
Quindi dicendo che non solo compreremo materiali da costruzione per costruire un mucchio di nuove abitazioni, ma faremo acquisti all’ingrosso di materiali da costruzione a basse emissioni di carbonio, e preferiremo prodotti di fabbricazione americana, in realtà creeremo domanda stabile per i produttori con sede negli Stati Uniti. Lo stesso vale per i veicoli elettrici. Quindi dire che il governo degli Stati Uniti sarà un grande acquirente di veicoli elettrici e che si assume questi impegni sul front-end aiuta a ridurre il costo della tecnologia delle batterie che è incorporata in essi.
Penso che questo piano e la visione del presidente rappresentino una volontà molto lungimirante su come utilizzare gli strumenti degli appalti federali per provare effettivamente a far avanzare quella tecnologia connessa a posti di lavoro meglio retribuiti.
Vorrei concludere con questa domanda. Abbiamo parlato molto di cosa potrebbe andare bene se il disegno di legge fosse approvato. Ma supponendo che il disegno di legge venga approvato – e sappiamo che l’American Rescue Plan è stato approvato – cosa ti preoccupa che possa andare storto? Abbiamo sentito Larry Summers parlare di inflazione, i repubblicani parlare di deficit di bilancio. Quali rischi vedi in questo?
Il nostro obiettivo è essere paranoici su ogni tipo di rischio. E questa è una cosa su cui siamo molto concentrati. Se stiamo parlando del piano per l’occupazione, ho meno preoccupazioni per le questioni fiscali a lungo termine, perché questo è un piano che intende investire in gran parte all’inizio ma è pluriennale e può essere compensato direttamente per un periodo di tempo più lungo.
Le aree principali in cui mi preoccupo riguardano l’esecuzione e l’implementazione. Stiamo cercando di realizzare una serie di grandi cose. E così quando cerchi di fornire, ad esempio, internet ad alta velocità a tutti gli americani, se sbagli, puoi finire in una situazione in cui quello che stai facendo è sovvenzionare gli operatori storici, rischi di pagare molto per un beneficio pubblico relativamente piccolo e costa molto più di quanto dovrebbe. Quando si investe in grandi progetti infrastrutturali, se non si dà la priorità ad alcuni degli aspetti competitivi di cui abbiamo parlato – la capacità tecnocratica, la definizione delle priorità – è possibile che le cose richiedano troppo tempo o che non accadano.
E quindi per me, la più grande preoccupazione è dimostrare che gli investimenti pubblici pluriennali sono effettivamente nell’interesse del popolo americano e che i lavoratori americani rappresenteranno un esempio per provare a dimostrare che questi tipi di interventi governativi possono produrre risultati positivi.
Molto di questo si riduce all’esecuzione. Molto di questo si riduce alla professionalità della funzione pubblica a livello federale, statale e locale, che oggi spesso è carente. E quindi dobbiamo essere molto umili riguardo a quanto sia difficile e quanto lavoro, impegno, concentrazione e implementazione richiederanno nel tempo. Ma è qui che, penso, larga parte del nostro obiettivo debba essere quello di lavorare bene.
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