La notizia del grattacielo in fiamme di via Antonini ha fatto il giro dell’intero paese e sta sollevando più di qualche dubbio sui materiali utilizzati, sulle misure di sicurezza, sulle regole costruttive e così via.
Al di là dei tecnicismi, penso che ci siano alcune domande rimosse dal dibattito pubblico ma di grande importanza: se questo è il livello di sicurezza del lusso di cui tanto Milano si fa vanto, quale può essere la condizione delle abitazioni dei quartieri popolari ad altissima densità come le nostre periferie?
Nella morsa fra privati che per massimizzare i profitti lesinano sulla sicurezza, sui materiali e spesso violano anche quelle (evidentemente) scarse regole che vengono poste dalle normative e un pubblico che ha smesso di investire e curare il proprio patrimonio considerato come un “costo” inutile di cui liberarsi, crediamo sia lecito sospettare che il problema sia ben più grave e generale e probabilmente che la Torre del Moro sia solo la punta di un iceberg.
La narrazione imperante e portata avanti anche dall’amministrazione Sala di un mercato immobiliare milanese all’avanguardia, uno dei grandi motori della città attrattiva e in costante rinnovamento, ha evidentemente del tossico.
I parametri con cui si è costruita questa favola sono infatti quelli del profitto, della speculazione e della rendita. E ciò avviene senza alcun riguardo per la tutela del diritto ad avere un’abitazione dignitosa e abbordabile con il proprio reddito, impedito anche da prezzi esorbitanti come gli 8000€ mq della torre-torcia che gonfiano a dismisura il prezzo generale degli affitti di “libero mercato”; figurarsi poi la vivibilità dei quartieri, se addirittura si arriva a mettere tranquillamente a repentaglio la vita delle persone come in questo caso.
È inaccettabile che le regole vengano costruite per lasciare la massima libertà agli speculatori privati; è inaccettabile che il pubblico non sia garante della sicurezza, della pianificazione territoriale così come dei prezzi e del diritto alla casa.
Quella di via Antonini non è una fatalità ma è il profitto contro la salute e la vita, citando il nostro Giorgio Cremaschi.
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