Oggi sono quarantacinque anni dall’uccisione di Giorgiana Masi, giovane studentessa del Pasteur colpita dalla polizia a Ponte Garibaldi in una delle tante giornate maledette del 1977.
Il 12 maggio e Giorgiana Masi per una generazione politica non sarà mai una data come le altre sul calendario.
Non solo per la memoria impressa nella carne e nel sangue di un pomeriggio di lacrimogeni, cariche della polizia estese e ripetute nel centro di Roma, colpi di pistola sparati a profusione contro i manifestanti.
Non solo perché la repressione abbattutasi contro quel movimento è servita a spianare la strada agli orrori che hanno devastato socialmente e culturalmente la società italiana nei decenni successivi.
Non solo perchè purtroppo e per fortuna non dimentichiamo e non vogliamo dimenticare nulla.
Il 12 maggio del 1977 le squadre speciali dell’allora ministro dell’Interno Francesco Cossiga uccidevano Giorgiana Masi, una giovane compagna scesa in piazza insieme a tante e tanti altri sfidando il divieto di manifestare, in occasione dell’anniversario della vittoria referendaria sul divorzio.
Le forze di polizia risposero ai tentativi di concentrarsi a Piazza Navona, Torre Argentina, Campo de ‘Fiori, Trastevere sparando candelotti lacrimogeni e colpi di arma da fuoco. Picchiati e maltrattati anche fotografi, giornalisti, passanti e parlamentari dell’opposizione.
Pochi minuti prima delle 20, durante l’ennesima carica della polizia, due compagne furono raggiunte da proiettili sparati da Ponte Garibaldi, dove erano attestati poliziotti, carabinieri e agenti in borghese.
Elena Ascione rimase ferita a una gamba. Giorgiana Masi, 19 anni, studentessa del liceo Pasteur, venne centrata alla schiena. Morirà durante il trasporto in ospedale.
Le chiare responsabilità emerse a carico di polizia, questore, Ministro dell’Interno, ampiamente documentate dalle fotografie di Tano D’Amico porteranno il governo con la complicità vergognosa dell’allora PCI, a intessere una fitta trama di omertà e menzogne.
Cossiga prima elogiò in Parlamento “il grande senso di prudenza e moderazione” delle forze dell’ordine, poi fu costretto a modificare la propria versione dei fatti, ammettendo la presenza delle squadre speciali ma continuò sempre a negare che la polizia avesse sparato, pur se smentito da testimoni, foto e filmati.
L’inchiesta per omicidio si concluse nel 1981 con sentenza di archiviazione del giudice istruttore Claudio D’Angelo “per essere rimasti ignoti i responsabili del reato”.
Di tutto questo resta la lapide di Giorgiana a Ponte Garibaldi, sulla quale ci auguriamo che oggi qualcuno porti dei fiori, le foto che testimoniano una giornata in cui lo Stato mostrò il suo volto più feroce ed infine l’esigenza di mantenere viva la memoria storica come alimento per le nuove generazioni di rivoluzionari.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento