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19/07/2022

I “pieni poteri” a Mario Draghi?

A 24 ore dall’apparizione di Mario Draghi in Parlamento la domanda non è se l’ex presidente della Bce resterà a Palazzo Chigi, ma come. Ovvero con quali poteri.

Tutto il sistema dei media chiama alla mobilitazione e alla preghiera perché faccia la grazia di continuare, con toni a volte incompatibili con una democrazia parlamentare credibile.

Si moltiplicano gli appelli di gruppi trasversali (i sindaci, i presidenti di regione, ecc.), come di associazioni di categoria (dai camionisti in su, la CGIL aveva già dato...), fino ai cosiddetti “partiti” che dovrebbero rappresentare qualche frangia della società.

Prendiamo ad esempio un post di Italia Viva, la sigla di copertura di Matteo Renzi, in cui si dice esplicitamente “Chiediamo a Mario Draghi di restare a Palazzo Chigi con un programma chiaro di pochi punti da comunicare in Parlamento, senza ulteriori trattative con le forze politiche di maggioranza e con un governo di persone di sua stretta fiducia”.

Il Re Sole poteva contare su una dialettica interna più vivace, se non altro a corte...

Non mancano neanche “i mercati”, tornati tranquilli dopo un primo momento di apprensione. Anche lo spread ridiscende, segno che “c’è fiducia”. Fitch (una delle tre agenzie di rating Usa che decidono dello spread di qualunque paese o società quotata nel mondo) avverte che “Le implicazioni di breve termine per la politica economica e di bilancio dipendono dagli esiti politici, ma è probabile che le riforme strutturali e il risanamento di bilancio diventino più impegnativi“. Stateve accuort’...

Da Washington e Bruxelles sono arrivate voci pesanti, nello stesso senso. Il cosiddetto “ministro degli esteri” dell’Unione Europea, Joseph Borrell, cui veniva chiesto un parere sull’ironia di Mosca circa l’ennesimo “caduto” tra i governanti occidentali, ha risposto con un lapidario “Non si vende la pelle dell’orso prima di averlo preso”. Una scommessa, o la certezza, che tutto resterà sotto controllo, come prima.

Sul piano strettamente istituzionale, e costituzionale, va segnalato che in effetti non si è mai vista una crisi più “strana”. Sul “decreto aiuti” il governo Draghi ha ricevuto il voto di fiducia da entrambe le Camere, e con una maggioranza pressoché “bulgara”.

Solo al Senato si è registrata l’uscita dall’aula del gruppo parlamentare Cinque Stelle, dopo molti giorni di inutile attesa di una risposta di Draghi ad una lettera con nove punti consegnatagli da Giuseppe Conte. Ma senza spostare di una virgola i numeri a favore del governo.

Tanto è bastato a far presentare le dimissioni, che Mattarella non poteva che respingere rinviando il governo al Parlamento per verificare se dispone o no di una maggioranza.

Cosa che peraltro aveva evitato di fare – forse “per distrazione”, segnalano alcuni osservatori – quando Luigi Di Maio aveva dichiarato la scissione dai Cinque Stelle trascinandosi dietro una pattuglia di parlamentari, ministri, sottosegretari, dando vita all’ennesima formazione politica non rilevata da nessun sondaggio, neanche quelli più amichevoli.

Quella, in termini democrazia liberale, era una vera “svolta che modifica la maggioranza di governo” e richiedeva – come minimo – un passaggio parlamentare.

Ma di stranezze, in questi mesi, ne abbiamo registrate a bizzeffe, a cominciare da un presidente del consiglio che di fronte alla richiesta di sottoporre ad un nuovo voto l’invio di armi all’Ucraina – “tecnicamente” un’entrata in guerra al fianco di Kiev – rispondeva «Impossibile: vorrebbe dire che il governo è commissariato dal Parlamento». Come è previsto da ogni Costituzione liberale, peraltro...

Anche dagli “ambienti di Palazzo Chigi”, a leggere sui giornali, trapela qualche sicurezza sul fatto che domattina potrà essere registrato qualche “fatto politico nuovo” che consentirà a SuperMario di “sciogliere le sue riserve” e concedersi come monarca fino a fine legislatura (marzo 2023).

E anche i muri sanno che si tratta dell’ennesima scissione dei Cinque Stelle, con i gruppi parlamentari ormai schedati minuto per minuto per stilare gli elenchi dei “governisti” e dei “reprobi fedeli a Conte”. Per chi ha visto sempre queste stesse scene ad ogni crisi di governo – ricordare i “responsabili” di Razzi e Sicilipoti? – tutto sembra già scritto. Ed anche abbastanza noioso.

La novità vera, che dovrebbe invece preoccupare tutti quelli non si sentono affatto rappresentati da SuperMario, è la misura dello strapotere che viene concentrato nelle sue mani e che dovrebbe valere in futuro per ogni altro governo dello stesso tipo: “tecnico”, di “unità” o “salvezza nazionale”, senza “una formula politica precisa” (fuori dalla dialettica politica, insomma) e senza opposizione. Né politica, né – soprattutto – sociale.

Come se Draghi avesse chiesto, senza dirlo apertamente, quei “pieni poteri” che un Salvini ottenebrato al Papeete aveva invocato, facendosi ridere dietro. Personaggi diversi, sostenuti da poteri molto diversi quanto a forza coercitiva, e risultati necessariamente opposti.

Un passo deciso sulla via della governance oligarchica che sostituisce la dialettica politica fatta da forze che rappresentano – bene o male – classi e figure sociali portatrici di interessi diversi, e che “la politica” dovrebbe comporre in programmi di governo che favoriscono alcune figure e penalizzano altre.

E già si trovano i “costituzionalisti” che legittimano come “pienamente democratica” questa inversione di dominanza tra i poteri dello Stato (dal legislativo-parlamentare all’esecutivo).

Tale Marco Olivetti, docente alla Lumsa (una delle tante università private dove ti puoi comprare una laurea senza studiare troppo), è arrivato a sostenere che “Mattarella potrebbe anche respingere nuovamente le dimissioni di Draghi e sciogliere le Camere. In quel caso sarebbe un governo non dimissionario; certo, senza le Camere i suoi poteri sarebbero limitati. Ma noi non abbiamo una contezza precisa di quali saranno questi limiti. Per esempio si discute se possa o meno fare i decreti legge, e io dico di sì se c’è una reale urgenza; si discute se le possa adottare i decreti legislativi di attuazione delle leggi delega del PNRR, e io direi di sì con la dovuta prudenza. Insomma non è uno scenario apocalittico: si vota in tutti i Paesi d’Europa alla scadenza“.

Un bel governo senza Parlamento... Cosa c’è di più moderno e “democratico”, in tempi di guerra?

Un “golpe morbidissimo”, applaudito da quasi tutto l’establishment. E che dovrebbe mettere sotto gli occhi di tutti noi la differenza radicale tra “andare al governo” ed “esercitare il potere”.

Era già accaduto alla “sinistra” bertinottiana di sperimentare, disastrosamente, lo scarto irrimediabile tra facoltà concesse dalle poltrone istituzionali e potere effettivo di imporre scelte economiche, belliche (la guerra contro la Jugoslavia, allora), istituzionali.

In questa legislatura ne hanno fatto esperienza – con identici risultati – anche i due “populismi” piccolo-borghesi che avevano gonfiato Lega e M5S. La “sovranità”, o il potere di decidere, sta ormai nei “mercati”, non negli Stati. E la struttura istituzionale dei mercati, in questo continente, si chiama Unione Europea,

Chiunque lo ignori, prima o poi, si trova di fronte a un plotone di esecuzione – metaforico e non sanguinario, per ora – che lo rimette a posto.

Di quei plotoni di esecuzione uno come Draghi è abituato a fare il comandante, non il semplice componente (ricordatevi della Grecia del 2015, sempre). E tra lui e il Parlamento va a casa il Parlamento, non certo lui.

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