Luigi II, principe di Condè, uno dei generali più famosi della guerra dei trent’anni, era noto per il sonno lungo e sereno prima della battaglia. Del resto, si era ancora in un mondo nel quale equilibrio esistenziale, disciplina fisica e studio della strategia stavano sullo stesso piano. Nella nostra repubblica parlamentare il giorno prima della battaglia, quella mimata alle camere, è caratterizzato da continui rilanci d’interviste, tweet, post sui social e ostentazioni di serenità. Questa volta lo spettacolo dell’ostentazione della serenità è toccato a Enrico Letta e la manifestazione di sereno e sovrano disinteresse, ben protetto dai media, è stata espressa da Mario Draghi.
Entrambi, il segretario del PD e il presidente del consiglio, hanno clamorosamente perso, con un voto parlamentare disastroso che è riuscito, di fatto, a evaporare una maggioranza, giusto prima del voto al senato, con numeri di unità nazionale.
Il discorso al senato, tutto d’attacco, di Mario Draghi, teso a rappresentare una pressione del paese verso le forze della maggioranza più resistenti al potere del presidente del consiglio, si così è risolto in una disfatta su due fronti. Partito, ufficialmente, per combattere su un fronte (la dissidenza M5S) Draghi ha finito per aprirne un altro (quello del consenso del centrodestra) ed è riuscito a capitolare su entrambi. Quindi le dimissioni e il ritorno all’astronave cioè alla residenza tecnologica di Città della Pieve dalla quale, da banchiere celeste che vive in spazi differenti rispetto a quelli di noi umani, segue e interviene sulle vicende del mondo.
Dobbiamo prendere sul serio chi rappresenta quanto accaduto come una nuova puntata dello scontro tra “riforme” e populismo. Ovviamente intendendo per riforme l’ulteriore trasformazione di beni pubblici in capitale, il taglio dei servizi sociali e la possibilità di rendere il nostro paese sempre più attrattivo per fondi d’investimento che necessitano di fare profitti per ripagare una raccolta di capitale sempre più onerosa (i fondi pensione privati sono il paradigma di questo processo). Per populismo non possiamo che intendere che quello che è: la produzione di alcune parole d’ordine spot, fatte in nome del popolo, che servono alla promozione sociale dei componenti di uno o più cartelli elettorali. In entrambi i casi si tratta di politiche di accumulazione privata: il “riformismo” serve direttamente quella delle società, spesso apolidi, di capitale, il populismo quella delle reti clientelari e corporative, spesso nazionali, attorno ai cartelli elettorali che si formano. La privatizzazione della politica, mettendo assieme l’estensione dei due schieramenti, è quindi vasta ed egemone e in grado di bruciarne ulteriori risorse. Il PNRR, se si vuole, qui non è tanto un problema di fondi da acquisire, ma piuttosto la misura di quanto il paese diventi amministrativamente compatibile con le “riforme” delineando una società troppo complessa per la sopravvivenza del populismo. E, anche qui, la differenza tra varie componenti del governo Draghi si è vista eccome.
Certo, i due soggetti si ibridano continuamente, nello scontro politico è naturale, ma la sostanza è in questa divisione di campo e in uno scenario nel quale né il “riformismo” né il populismo riescono a imporre il proprio concetto di ordine anche perché, all’interno dei due insiemi, le differenze sono così forti da sembrare insormontabili.
La prossima fase, quella successiva al governo appena caduto, sarà una nuova fase della battaglia tra “riforme” e populismo che da trent’anni, con protagonisti molto diversi tra loro (e persino con attori che cambiano di campo) si gioca, con effetti disastrosi, sul terreno del nostro paese. Draghi farà parte della contesa? Tra uno scontro combattuto di persona e una guerra per procura la differenza non è minima. Vedremo. Intanto partono elezioni estive, un inedito per il nostro paese, sotto un clima brutalmente antropizzato mentre il presidente del consiglio è fuggito sull’astronave. Proprio come un rettiliano che deve curare le ferite o come un alieno di The Colony, sorpreso dalla reazione di spaventati e confusi terrestri.
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