Un’improvvisa tensione diplomatica tra la Grecia e l’Ucraina è stata provocata dal caso dell’aereo Antonov caduto la notte del 16 luglio vicino alla città di Kavala, nella Grecia settentrionale.
L’Antonov AN-26, un vecchio apparecchio militare dell’epoca sovietica, apparteneva a una società privata dell’Ucraina, era iscritto al registro di quel paese e cittadini ucraini erano anche gli otto membri dell’equipaggio che sono rimasti vittime dell’incidente.
Il caso dell’Antonov ha suscitato l’interesse delle autorità greche perchè subito dopo l’incidente è stato loro comunicato che stava trasportando un carico di armi dalla Serbia al Bangladesh, con scali intermedi ad Amman in Giordania, a Ryad in Arabia Saudita e Ahmedabad in India.
Dopo aver esaminato per giorni il terreno dove era caduto l’aereo per paura di contaminazioni, tra i rottami sono state ritrovate le armi, mortai di addestramento di fabbricazione ucraina con le relative munizioni. L’invio era stato preso in carica da una società serba.
Mentre Atene protestava presso Belgrado per non essere stata informata del volo e del carico, come impongono le normative, sulla stampa serba erano comparsi articoli allusivi su un supposto traffico d’armi e non solo gestito da una società locale che avrebbe forti agganci con il governo.
Lo stesso sospetto, del contrabbando di armi, ha sfiorato anche le autorità greche, in base al fatto che Kiev ha dato informazioni sul volo solo dopo l’incidente. L’ambasciatore ucraino ad Atene Sergii Shutenko è stato convocato ben due volte al ministero degli Esteri greco, per ricevere una nota verbale con la richiesta di fare luce su una serie di punti della vicenda rimasti ancora oscuri.
La risposta del ministero degli Esteri ucraino non solo ha del tutto ignorato la richiesta di spiegazioni avanzata dai greci, ma ha superato ogni limite di correttezza diplomatica.
Anziché dare spiegazioni, il governo ucraino ha chiesto ad Atene spiegazioni sul fatto che imprese greche continuano ad attivarsi in Russia ma soprattutto per il fatto che gli armatori greci trasportano il petrolio e il gas russo. La nota verbale conclude con la minaccia dell’Ucraina di chiedere sanzioni contro la Grecia.
Il riferimento agli armatori greci e alla loro notoria attività nei porti russi ha suscitato grande preoccupazione nel governo greco, visto che il premier Kyriakos Mitsotakis ha vinto le elezioni tre anni fa grazie all’oligarchia armatoriale e al suo controllo delle emittenti televisive, e tuttora continua ad essere fortemente dipendente dal loro sostegno mediatico.
La parte tragicomica della vicenda è che Mitsotakis e Draghi sono stati gli unici premier europei che hanno inviato armi a Kiev subito dopo l’invasione russa, scavalcando allegramente le procedure previste dalle leggi e dai regolamenti. Un coinvolgimento diretto nel conflitto che ha incrinato rapporti secolari con Mosca.
In tutto il corso della guerra, la Grecia ha inviato all’Ucraina armi per più di 300 milioni di euro, spesso creando seri problemi alle sue stesse forze armate, che hanno lasciato sguarnite molte isole dell’Egeo mentre le forze armate turche violavano le loro acque e lo spazio aereo.
In compenso Kiev e Mosca hanno rivalutato il ruolo di Erdogan come mediatore affidabile e “fattore di stabilità”. Con l’Ucraina che non nasconde oramai il suo fastidio per la pretesa greca di controllare il suo spazio aereo.
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