Al momento non sappiamo ancora se quella del governo Draghi sia una pagina di storia da archiviare oppure se dovremo assistere a una sua seconda edizione. Tuttavia, è possibile cercare di tracciare un bilancio di cosa l’anno e mezzo di governo Draghi ha rappresentato per la scuola e per l’università.
Anzitutto, è noto che Draghi è stato nominato, di fatto, dalla UE come gendarme dell’attuazione del PNRR e che tale ruolo ha svolto con zelo e tenacia. Il PNRR steso da Draghi ha avuto un suo centro di orientamento politico nella volontà di aumentare la presenza del capitale privato nella vita e nelle istituzioni pubbliche.
La scuola non sfugge a questa regola, poiché, come abbiamo più volte analizzato, i capitoli del PNRR sulla scuola e la formazione hanno come obiettivo l’asservimento istituzionale alla preparazione di mano d’opera come voluta dalle imprese. Ciò significa lavoratori flessibili, acritici, senza tanti fronzoli culturali per la testa, sempre pronti a piegarsi alle esigenze del padronato.
Del resto, non dimentichiamo che da decenni questo tipo di formazione è ciò che “ci chiede l’Europa” o meglio l’Unione Europea, che è il grande giudice del rispetto dei quasi seicento parametri imposti all’Italia per ottenere i prestiti del PNRR.
Ugualmente, per l’Università, Draghi ha inserito nel PNRR la vecchia idea confindustriale del “dottorati d’impresa”, i cui programmi e contenuti sono decisi da aziende che sono interessate a tali ricerche per i propri fini produttivi. Quindi una strada ben tracciata da cui non discostarsi.
Nel percorrere quella strada Draghi ha trovato un partner eccellente nel ministro Patrizio Bianchi, grande promotore di tutto ciò che nella scuola può contribuire a una formazione che sia partner dell’impresa: competenze a scapito dei saperi, digitalizzazione forzata, “patti territoriali di comunità” (che nel lessico Bianchi significa “impresa”), rilancio dell’alternanza scuola-lavoro, sino a vere e proprie forme di apprendistato.
Infine, due sono stati i punti conclusivi della carriera di Bianchi al Ministero: la riforma del reclutamento dei docenti e la riforma degli Istituti Tecnici Superiori, ora denominati ITS Academy (un po’ d’inglese ci vuole sempre).
La riforma del reclutamento si pone in realtà come un provvedimento molto più complesso poiché oltre al reclutamento iniziale prevede anche i passaggi, più o meno obbligatori, della formazione in servizio che i docenti dovranno rispettare nel corso della loro carriera seguendo corsi decisi dall’Alta Scuola di Formazione, un carrozzone di nuova istituzione i cui dirigenti saranno pagati sino a 250.000 euro l’anno e che avrà come fulcri l’INVALSI e l’INDIRE, istituzioni che hanno già un almeno discutibile passato e pessima fama nel mondo della scuola.
In pratica, una macchina mangiasoldi che promuoverà corsi su temi scelti dall’alto (possiamo provare a indovinare? Competenze, STEM, Digitale...) a cui i docenti dovranno partecipare per anni nel miraggio di un incentivo economico che sarà per il 40% degli iscritti su giudizio del comitato di valutazione interno della scuola e comunque di consistenza esigua.
Su questa riforma pende ancora la possibilità di decadenza, poiché necessita di una quantità di decreti attuativi che potrebbero non essere approvati in tempo in caso di crisi di governo definitiva. Nel caso, non ce ne dispiaceremo.
Per quanto riguarda la riforma degli Istituti Tecnici Superiori la coppia Draghi-Bianchi è stata particolarmente efficace. Infatti, il potenziamento di questo tipo di istituzioni, destinate a formare mano d’opera à la carte per le imprese di un determinato territorio era presente come punto programmatico già nel discorso d’insediamento di Draghi alle Camere.
La trasformazione degli ITS in ITS Academy è stata approvata in via definitiva dalla Camera il 12 luglio senza nemmeno un voto contrario. A questo nuovo sistema di istruzione tecnologica terziaria verranno destinate risorse per nuove sedi e attrezzature e per l’implementazione della formazione a distanza per un totale di 48.000.000 di euro l’anno. Un miliardo e mezzo di finanziamento verrà invece dai fondi del PNRR.
A differenza dei vecchi ITS, l’offerta formativa sarà articolata su due livelli, rispettivamente biennale e triennale, in accordo con il Quadro Europeo delle Qualifiche. Rafforzato il numero delle ore di lezione che saranno tenute da dirigenti e manager aziendali, che raggiungerà il 60% del totale, mentre il 35% del monte orario sarà comunque dedicato a tirocini e stage aziendali. Insomma, anche da un punto di vista ideologico, formazione alla cultura d’impresa e alla subordinazione ai suoi voleri.
Naturalmente, esistono diverse condizioni perché una ITS Academy possa essere costituita e tra di esse particolarmente significativa è la presenza nel territorio di una o più imprese legate all’uso delle tecnologie trattate dalla stessa. In pratica, si studia una tecnologia se serve alle imprese di un certo territorio. Davvero un bel paradigma di sviluppo scientifico, ministro Bianchi!
Le ITS Academy saranno rette da Fondazioni che vedranno al loro interno rappresentanti degli enti pubblici e dell’imprenditoria privata e non è difficile immaginare che, con l’impostazione che ho descritto, il peso decisionale delle imprese private sarà decisivo.
Il ministro Bianchi ha espresso grande soddisfazione per l’approvazione di questo obbrobrio formativo ma eguale soddisfazione è stata espressa anche dalla ministra per gli Affari Regionali e le Autonomie Mariastella Gelmini, già al dicastero dell’Istruzione nei governi Berlusconi.
Sicuramente, la ministra Gelmini vede nella stabilizzazione del ruolo delle ITS Academy una possibilità di costruire istituzioni formative locali che rispondano al principio dell’autonomia differenziata a lei cara. Tuttavia la convergenza tra Bianchi, ministro PD e Gelmini, nota affossatrice, in passato, della scuola pubblica, dimostra che in fondo, i progetti sulla scuola della destra e del PD sono assai vicine.
Restano ancora due questioni da segnalare, sulla gestione del Ministero da parte di Patrizio Bianchi: la scarsa attenzione al rinnovo del contratto dei lavoratori della scuola, che si trascina con proposte normative e salariali inaccettabili dopo i soliti anni di vacanza contrattuale e la mancanza di alcuna indicazione su come dovranno riaprire le scuole a settembre in relazione alla pandemia.
La pandemia, quest’anno, non ha dato tregua nemmeno durante l’estate ma sembra che al Ministero non se ne accorgano. In Viale Trastevere si pensa al Piano Scuola Estate, altra invenzione di Bianchi, la cui seconda edizione è fallita sul nascere per il disinteresse degli studenti, la stanchezza dei docenti e l’inadeguatezza delle strutture.
In realtà, nulla è stato fatto per garantire un rientro in sicurezza a settembre, quando le scuole riapriranno nelle stesse condizioni dell’anno 2019: classi numerose, aule fatiscenti ecc. Uno scandalo di inefficienza e cialtroneria.
Negli ultimi mesi, il Ministro Bianchi ha ciarlato spesso e di tutto, essendo presente quasi ogni giorno sulla stampa per dichiarazioni spesso inutili ma ha evitato rigorosamente il tema Covid, su cui non si sa cosa stia facendo il ministero.
Uno dei temi è sicuramente quello dell’areazione delle aule, onde evitare di ricorrere alle finestre aperte a gennaio (che tra l’altro brucerebbe un patrimonio, dati i costi di riscaldamento che si annunciano). È noto che oggi esistono dei sistemi di ventilazione efficaci, ma il Ministero si guarda bene dal dotarne le scuole.
Unico provvedimento da parte del Ministero sembra essere l’inclusione nella piattaforma degli acquisti on line della Pubblica Amministrazione di un apparecchietto di dubbia efficienza prodotto da una nota ditta di elettrodomestici. Insomma, le scuole che ci credono e possono farlo, se lo comprino.
Fonte
Nessun commento:
Posta un commento