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16/07/2022

Le “super armi” della propaganda Nato

di Francesco Dall'Aglio

È davvero arrivato il momento di parlare un po’ degli HIMARS, soprattutto perché, come era lecito aspettarsi visto lo stato in cui versa la nostra informazione, da qualche giorno si stanno diffondendo delle teorie piuttosto singolari sul loro utilizzo e soprattutto sulle conseguenze di esso – allego prova fotografica delle suddette teorie singolari, tratta, manco a dirlo, da Repubblica che supera, di molto e non da oggi, i canali nazionalisti ucraini più accesi.

Chiariamo subito alcune cose:

1) non esistono “super armi” in grado di modificare l’andamento di un conflitto (se non quelle atomiche, ovviamente). Questa cosa è vera a proposito dei Kindzhal russi, i missili ipersonici, e lo è anche per gli HIMARS statunitensi.

2) Gli HIMARS sono degli ottimi sistemi d’arma, ma non sono “super armi”, non sono armi particolarmente sofisticate, non sono armi senza equivalente nell’arsenale russo (o cinese, e nemmeno ucraino, almeno agli inizi del conflitto).

3) Non tutto quello che salta in aria nelle retrovie russe è colpito dagli HIMARS; non tutto quello che salta in aria nelle retrovie russe, colpito o meno dagli HIMARS, è un deposito di munizioni. Tanto per fare un esempio, l’ultimo in ordine di tempo, l’esplosione di ieri a Lugansk era una batteria contraerea.

HIMARS è l’acronimo di High Mobility Artillery Rocket System (Sistema d’Artiglieria Missilistico ad Alta Mobilità): in sintesi, un camioncino con montato sopra un lanciamissili il cui nome tecnico è M142. È, come ho già detto sopra, un ottimo sistema.

Qual è il vantaggio del suo impiego, e perché sta creando problemi? Li sta creando perché utilizza munizioni a gittata molto più lunga dei modelli di cui disponeva prima l’esercito ucraino.

Questo significa che la zona da cui parte il lancio può venire “coperta” molto più difficilmente dall’artiglieria o dall’aviazione russa: perché è abbastanza chiaro che se la gittata del missile che mi arriva in testa è di, poniamo, 40 chilometri, il lanciatore si troverà in una zona delimitata; se è di 150 la zona sarà molto più grande, e conseguentemente molto più difficile rilevare il lancio – cosa, ad ogni modo, già difficile di suo (per fare un esempio, è come dover cercare un singolo camion da piazza Vanvitelli a Frosinone. Il camion, ovviamente, si muove, e da Afragola, dove sarà il confine, a Frosinone può contare su una serie di rifugi preparati in precedenza molto più ampia di quella di cui disporrebbe sparando, che so, da Caserta).

Non si tratta, quindi, di un’arma particolarmente sofisticata in sé; i russi ne hanno, per dire, di migliori, come i BM-27M “Uragan” e ancor di più i 9A52-4 “Tornado”, perché storicamente hanno sempre investito nei lanciamissili che sono uno dei punti di forza del loro esercito e della loro dottrina militare (possiamo, per una volta, uscire da questa forma mentis vagamente razzista in base alla quale tutto ciò che è occidentale è tout court migliore dei suoi omologhi orientali o meridionali?).

Il problema, per i russi, è che questi sistemi d’arma gli ucraini prima non li avevano e ora li hanno, non che questi sistemi siano inarrivabili.

Veniamo alla questione dei depositi distrutti. Il caso più eclatante è stato quello di Novaja Kakhovka l’altro ieri: oltre al deposito è stata distrutta una fabbrica di fertilizzanti (nitrato di potassio. Forse non un’ottima idea, mettere un deposito di munizioni a poca distanza da una fabbrica di fertilizzanti), la cui esplosione ha coinvolto una sessantina di abitazioni facendo una decina di morti e un centinaio di feriti, bilancio probabilmente destinato ad aumentare perché ancora si scava tra le macerie.

E i morti e i feriti di cui sopra non sono nemmeno russi, cosa di cui a parecchi non importa e anzi, ma ucraini sotto occupazione russa, cosa di cui alle stesse persone dovrebbe invece importare – ma tale è l’orgasmo del gran botto che la notizia delle vittime civili, e ripeto, vittime ‘buone’, è completamente cancellata. Può mai un’arma occidentale fare vittime civili? No, e quindi non parliamone nemmeno.

Oltre a Novaja Kakhovka, nell’ultima settimana sono stati colpiti altri quattro depositi. Avete letto bene: quattro. Con Novaja Kakhovka fanno cinque. Per fermare per un giorno l’artiglieria russa bisognerebbe colpirne, stimando a occhio, centocinquanta. Per fermarla, ripeto, per un giorno.

E infatti ieri (alcuni giorni fa, ndr), come ho già avuto modo di scrivere in un altro post, sono stati sparati molti più dei 50.000 colpi d’artiglieria che vengono sparati di solito dai russi: segno in primo luogo che le linee logistiche non sono state interrotte, e in secondo che l’uso di questi sistemi d’arma non porta a una diminuzione del fuoco ma al suo incremento (cosa che andrebbe spiegata agli articolisti di Repubblica).

La situazione è naturalmente diversa per quanto riguarda le repubbliche di Lugansk e Donetsk, che hanno armamenti (e quindi possibilità di risposta) sensibilmente inferiori a quelli russi, e non hanno a disposizione sistemi antiaerei come gli S-350 o i Pantsir S-1/SM che possono, nei limiti, intercettare i missili.

E infatti i danni maggiori li stanno subendo loro, tanto che il comando russo ieri ha iniziato a tirar fuori dai magazzini i vecchi, ma ancora molto utili, Totchka-U, in modo da garantirgli una capacità di risposta a lungo raggio che al momento gli manca.

Vabbè, quindi tutto questo paraustiello per dire che gli HIMARS faranno la fine degli M777, e prima ancora dei Javelin, nel lungo elenco dei “gamechanger” che non hanno poi cambiato di molto il game?

Sì e no. Sì perché, come già detto, nessuna arma è un gamechanger; perché sono pochi, e hanno poche munizioni; perché i russi semplicemente forniscono troppi bersagli, e distruggere anche 10 depositi al giorno (come, per inciso, fanno i russi con quelli ucraini, cosa che passa un po’ sotto silenzio) non cambierebbe poi troppo le cose, soprattutto quando si entrerà in una nuova fase di operazioni militari; perché, come hanno fatto ogni volta che si sono trovati di fronte un imprevisto, i russi adatteranno le tattiche, magari spostando meno munizioni in più volte, e stoccandole in depositi più piccoli o semplicemente meglio protetti.

No, perché il problema non sono gli HIMARS, ma quello che c’è dietro.

Come facevano gli artiglieri ucraini a sapere che a Novaja Kakhovka, ed esattamente in quel punto di Novaja Kakhovka, c’era un deposito di munizioni, e che gli altri che hanno colpito erano esattamente lì dove sono stati colpiti?

I canali Telegram ucraini abbondano di storie mirabolanti, di arditi incursori e coraggiosi partigiani che a rischio della vita forniscono queste informazioni. La realtà è molto più prosaica e molto più pericolosa, in termini di potenziale escalation e di ribaltamento del tavolo con tutte le carte sopra (le carte siamo noi, per chiarire la metafora).

In ogni momento ci sono almeno due aerei spia USA/NATO che circolano, uno sul Mar Nero, l’altro tra Baltico, Polonia e Romania; e in ogni momento, soprattutto, ci sono un bel po’ di satelliti, militari e civili dati in uso ai militari, che passano al pettine tutto il territorio in mano ai russi e inviano in tempo reale ogni informazione rilevante al comando ucraino, che poi decide che farsene.

L’8 luglio il satellite Worldwiew-2, di proprietà della statunitense Maxar, ha stazionato a lungo su Novaja Khakovka e l’ha mappata interamente. Non è una coincidenza. Questo è il problema, non gli HIMARS: ed è un problema perché è sempre più chiaro che questa non è la guerra della Russia contro l’Ucraina, ma la guerra della Russia IN Ucraina contro la NATO, che utilizza gli ucraini come truppe cammellate e si guarda bene dall’intervenire direttamente, non essendo l’esercito russo la solita accozzaglia di gente in sandali contro la quale siamo abituati a combattere – e alla fine a perdere, dopo aver speso un pozzo di soldi.

E io non sono del tutto certo (ma io sono pessimista e tutti lo sanno) che la Russia sarà disposta a giocare a questo gioco ancora per molto tempo. E quando si sarà stancata di giocare non se ne andrà semplicemente a casa.

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