I gravi episodi di provocazione da parte di squallidi fascisti cubani durante la giornata dell’11 luglio di fronte alle rappresentanze diplomatiche cubane – l’ambasciata a Roma e il consolato a Milano – respinte grazie alla ferma determinazione dei compagni e delle compagne presenti che li presidiavano, devono nuovamente far salire la soglia di vigilanza rispetto alla guerra ibrida contro l’Avana.
A circa un anno di distanza vengono rimesse in scena queste “proteste ad orologeria” nell’approssimarsi del 26 luglio, giorno in cui con l’assalto alla caserma Moncada nel 1953 ebbe inizio la lotta di liberazione contro la dittatura di Batista.
Dopo la presa del potere, quel giorno, viene celebrato a Cuba con il nome di Día de la Rebeldía Nacional.
Questi mercenari al soldo di Washington, tornati a farsi sentire, rispondono alla volontà del loro padrone di delegittimare la dirigenza cubana agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, cercando di sfruttare una situazione sociale difficile a causa principalmente del blocco statunitense e della congiuntura economica mondiale.
Per cercare di fare luce sulle strategia di guerra ibrida messe in campo da Washington ad un anno circa dagli avvenimenti dell’11 luglio scorso, abbiamo tradotto questo contributo di Cubadebate che ha intervistato tre esperti in materia Marco Teruggi, Pedro Santander, Carlos González Penalva.
Buona Lettura
A circa un anno di distanza vengono rimesse in scena queste “proteste ad orologeria” nell’approssimarsi del 26 luglio, giorno in cui con l’assalto alla caserma Moncada nel 1953 ebbe inizio la lotta di liberazione contro la dittatura di Batista.
Dopo la presa del potere, quel giorno, viene celebrato a Cuba con il nome di Día de la Rebeldía Nacional.
Questi mercenari al soldo di Washington, tornati a farsi sentire, rispondono alla volontà del loro padrone di delegittimare la dirigenza cubana agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, cercando di sfruttare una situazione sociale difficile a causa principalmente del blocco statunitense e della congiuntura economica mondiale.
Per cercare di fare luce sulle strategia di guerra ibrida messe in campo da Washington ad un anno circa dagli avvenimenti dell’11 luglio scorso, abbiamo tradotto questo contributo di Cubadebate che ha intervistato tre esperti in materia Marco Teruggi, Pedro Santander, Carlos González Penalva.
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Come si fa un colpo di stato “morbido”, come lo si affronta?
Come si fa un colpo di stato “morbido”, come lo si affronta?
Un anno dopo le proteste che hanno scosso Cuba, gli account sui social network tornano a puntare gli occhi su questo arcipelago e desiderano, con odio viscerale, far rivivere violenti scontri tra le autorità e i cittadini. Vogliono un film d’azione, con una trama che coinvolga l’intervento e i marines, e che il paese venga bombardato.
Altri, più “intelligenti”, vogliono un colpo di Stato, ma morbido, per mascherare la questione, per mettere il naso dall’esterno e far finta di non averci niente a che fare. I fatti sono lì, non è una finzione. La parola “pacifico”, senza eufemismi, non ha nemmeno una “p”. Diciamo che da tempo contano le ore, aspettando che arrivi il giorno e che le strade di Cuba diventino caotiche. Di nuovo.
Internamente lo scenario è complesso: come in diverse nazioni del mondo, gli effetti di due anni di pandemia si sono tradotti in una crisi economica, alimentata da un’inflazione che si fa sentire quotidianamente nelle tasche dei cubani; problemi sociali che si accumulano da tempo e che il governo cubano sta lavorando per invertire con trasformazioni nei quartieri; blackout, carenze energetiche su cui si sta lavorando fino allo sfinimento per ristabilire i servizi…
All’esterno, le sanzioni di Washington continuano a influenzare la vita di ogni cubano, con l’intento esplicito di rendere la vita quotidiana di quest’isola un logoramento prolungato. Da Trump a oggi, l’attuale amministrazione statunitense ha mantenuto in vigore la maggior parte delle 243 misure di “orange man” per soffocare ancora di più i cubani, anche se dicono che sono solo sanzioni contro il governo dell’Avana.
In questo contesto, alcuni celebrano addirittura la data, come se si potesse celebrare la violenza, il confronto tra noi, i feriti. Come se si potesse celebrare la minaccia alla pace, al di là delle legittime rivendicazioni.
Helen Yaffe, docente di storia economica e sociale all’Università di Glasgow, in Scozia, che si trovava a Cuba durante i disordini del luglio 2021, ha osservato all’epoca:
“Il governo cubano e il Partito Comunista Cubano hanno classificato i manifestanti in quattro gruppi: ‘controrivoluzionari’ pagati e operanti nell’ambito dei programmi statunitensi di cambio di regime; criminali che hanno approfittato della situazione per saccheggiare; persone sinceramente frustrate dalle difficoltà quotidiane; e giovani che si sentono privi di diritti“.
Ancora una volta, si profila un tentativo di golpe morbido e una guerra mediatica contro Cuba, che non ha mai abbassato la guardia. Cubadebate ha parlato con tre rinomati analisti internazionali: Marco Teruggi (Argentina), Pedro Santander (Cile) e Carlos González Penalva (Spagna).
Per González Penalva, analista di pianificazione dei media, i colpi di Stato morbidi “non sono un fenomeno nuovo in America Latina e nei Caraibi, ma una consuetudine“. Tuttavia, sottolinea che la “novità” del termine sta nello sviluppo delle tecnologie di comunicazione.
Da parte sua, il giornalista cileno e autore del libro La batalla comunicacional, Pedro Santander, spiega che hanno caratteristiche in comune con i tradizionali colpi di Stato e che, come tutti i colpi di Stato, hanno l’obiettivo di destabilizzare e rovesciare i governi legittimi perché considerati una “minaccia”.
Ora la differenza fondamentale tra colpi di Stato militari e colpi di Stato morbidi è che questi ultimi, sottolinea Santander, hanno un modo meno militare e frontale di rovesciare i governi.
“Quello che vediamo sempre è una campagna di comunicazione che precede il colpo di Stato e che mira ad avvelenare il clima sociale e a generare un estremo danno alla reputazione dei leader che guidano i processi di trasformazione sociale”.
“L’ambiente sociale viene intossicato in questo modo, con l’obiettivo di generare le condizioni soggettive necessarie che permettano alla temperatura comunicativa di salire a sufficienza perché ci sia un trasferimento, un cambiamento di stato fisico e un salto in questa intossicazione dai media-virtuali ai social-materiali, con l’obiettivo di generare la mobilitazione dei cittadini nelle strade“, dice Santander.
Nel caso di Cuba, la difficile situazione economica e sanitaria del luglio 2021 è stata utilizzata per stimolare l’intossicazione di cui lei parla...
“Chiaramente. È stato applicato un copione simile a quello utilizzato in Bolivia nel 2019, adattato alla specifica realtà cubana: l’uso di cybertroots, hashtag, tendenze, fake news, ecc. si è aggiunto al tentativo di mettere a tacere i nostri media attraverso attacchi informatici. Almeno dal 27 novembre 2020, è stato possibile osservare una transizione da una fase cronica di attacchi comunicativi contro la Rivoluzione a una fase acuta che è stata in crescendo, fino all’11 luglio”.
“L’obiettivo politico è chiaro: trasferire le dinamiche delle rivendicazioni online nelle strade. E in questa operazione c’è stato un ‘trigger’ o evento scatenante accompagnato da un hashtag (#SOSCuba), quest’ultimo promosso da artisti di tutto il mondo e successivamente dai media mondiali. Questo evento scatenante si è verificato l’11 luglio a causa dell’aumento del numero di casi di Covid, ed è interessante notare che è stato collegato a un tema in cui Cuba è forte, quello della salute. Quel giorno è stata dimostrata una capacità di mobilitazione efficace, dal livello comunicativo a quello territoriale“.
Per il giornalista e sociologo argentino Marco Teruggi, sono diverse le variabili che, nel loro insieme, hanno dato origine agli eventi dell’11 luglio 2021: “Ci sono fattori interni, politici ed economici, insieme al blocco statunitense. Ci sono elementi fabbricati, come l’ingegneria dei media internazionali, prima e durante gli eventi dell’11 luglio.”
“In ogni caso, è chiaro che non si può pensare a ciò che è successo senza pensare alla dimensione statunitense, a causa del suo onnipresente blocco, della sua politica di destabilizzazione operata da alcuni centri politici negli Stati Uniti. E allo stesso tempo, è chiaro che dobbiamo pensare a ciò che è successo a partire da elementi interni“.
Le proteste dell’11 luglio hanno segnato un prima e un dopo?
Carlos González Penalva: “Non c’è un prima e un dopo l’11 Luglio, ma piuttosto un prima e un dopo la pandemia, il confino e il ruolo delle tecnologie della comunicazione in questo periodo, e in questo contesto si sta conducendo una doppia guerra contro Cuba: da un lato, come un laboratorio, si progettano e si inseriscono merci tossiche che mirano a contaminare chiunque le tocchi con l’obiettivo di sovvertire il sistema politico, economico e sociale di cui il popolo cubano si è sovranamente dotato.”
“Ma su questo tema è necessario sottolineare che la merce tossica si diffonde in modo virale se trova un terreno di coltura per la sua propagazione: la paura della rottura di un orizzonte di vita che la pandemia ha portato e la perpetua erosione della vita quotidiana portata dalle sanzioni statunitensi contro Cuba sono il brodo perfetto“.
Pedro Santander: “Non ho dubbi che ci sia un prima e un dopo l’11 Luglio. Non c’è scelta, è una questione della massima importanza politica. La lezione da trarre è che la questione delle comunicazioni è oggi una priorità. Direi che, insieme alle questioni militari ed economiche, dovrebbe essere al primo posto tra le preoccupazioni politiche della Rivoluzione.”
“In questo senso, e per ragioni molto ovvie, Cuba è in ritardo in questo campo, ma c’è una tradizione così immensa di studio, di lotta, di impegno e di creatività rivoluzionaria sull’isola che è ora di concentrarsi sulla questione delle comunicazioni e da lì sapersi difendere, anche per contrattaccare. Su questo tema occorre mettere in campo una grande quantità di intelligenza, e Cuba ne ha in abbondanza“.
Milioni contro Cuba
Non si tratta di cifre inventate. Sono riscontrabili alla velocità di un clic su Google. Sono dati pubblici. Sono noti al mondo. In un articolo pubblicato sul sito web statunitense MintPress News, il giornalista Alan Macleod rivela che ogni anno il governo statunitense spende milioni di dollari per rovesciare il governo cubano. A questo proposito, sottolinea:
L’ultimo bilancio della Camera, ad esempio, stanzia 20 milioni di dollari per “programmi di democrazia” a Cuba, aiutando a sostenere “la libera impresa e le organizzazioni imprenditoriali private”. In caso di confusione su cosa significhi “democrazia“, il testo continua insistendo sul fatto che “nessuno dei fondi resi disponibili ai sensi di tale paragrafo può essere utilizzato per assistere il governo di Cuba“.
“Questa è ben lungi dall’essere l’unica fonte di finanziamento per le operazioni di cambio di regime. La Global Media Agency statunitense, ad esempio, spende tra i 20 e i 25 milioni per un obiettivo simile“.
È chiaro che si tratta di una vera e propria violazione della Carta delle Nazioni Unite, del diritto internazionale, delle Convenzioni di Ginevra e della Convenzione di Vienna. È chiaro che si tratta di tentativi sistematici di intervenire negli affari interni di un Paese. Questa non è la retorica di Cuba. I principi internazionali condannano l’interferenza in qualsiasi nazione, da qualsiasi parte provenga.
Per l’analista spagnolo Carlos González Penalva, i governi stranieri, in particolare gli Stati Uniti, hanno svolto un ruolo oscuro nella sovversione dei governi legittimi.
Il giornalista cileno Pedro Santander è d’accordo: “Non è un mistero che il centro di cospirazione contro Cuba abbia sede negli Stati Uniti e che il Dipartimento di Stato spenda milioni di dollari per attaccare l’isola senza sosta o tregua. È così, è stato così e continuerà ad essere così.”
“La questione centrale è come agire su questo fronte di combattimento, quello delle comunicazioni, che si sta aprendo in modo insolitamente intenso. Non si tratta di una novità, ma siamo entrati in una nuova fase in questo campo. E la sfida per la Rivoluzione è quella di saper rispondere, nonostante l’asimmetria, conoscendo questa fase, studiandola, applicando creatività e intelligenza e sapendo come operare in essa. Quindi, con logiche di comunicazione del XXI secolo e non del XX secolo“.
Il giornalista cileno sottolinea che i colpi di Stato morbidi continueranno a essere utilizzati perché sono i meccanismi di destabilizzazione di quest’epoca. In questo senso, afferma che “la nuova dottrina politico-militare della NATO, e quindi degli Stati Uniti, è esplicitamente e pubblicamente impegnata dalla fine del 2020 in quella che viene chiamata Cognitive Warfare, guerra cognitiva, che considera la mente umana come il nuovo teatro di operazioni e campo di battaglia che può essere conquistato (quello degli altri) e difeso (il proprio) attraverso le possibilità offerte dalle tecnologie informatiche“.
I social network sono il meccanismo per eccellenza per orchestrare queste rivoluzioni colorate. Come si può affrontare questo problema da sinistra?
Marco Teruggi: “L’esistenza delle reti sociali rappresenta un nuovo terreno d’azione, già classico in alcuni Paesi, come nel processo golpista in Bolivia, e anche nei tentativi in Venezuela. Non è uno spazio secondario. Ora, la domanda è: quando questa costruzione gestita nei social network si collega a un movimento reale nelle strade e quando no?”
Carlos González Penalva: “Con i golpe soft, l’intera infrastruttura tecnologica viene messa al servizio della diffusione di bufale e informazioni tossiche. L’articolazione effettiva di questi nuovi strumenti digitali per la guerra è solo nelle mani dei grandi Stati e delle società finanziarie. Sarei più diretto a questo proposito: fornisce strumenti per la guerra, come chi fornisce carri armati, missili o armi biologiche”.
“È fondamentale capire che viviamo in tempi di guerra delocalizzata. In secondo luogo, la disinformazione è stata incorporata come fenomeno relativamente nuovo nelle forme di guerra non convenzionale che mirano alla destabilizzazione e alla sovversione“.
Pedro Santander: “Come rivoluzionari non dobbiamo mai dimenticare che la coscienza e la morale sono i nostri meccanismi per eccellenza, sono la nostra forza, la nostra armatura e, di fronte ad esse, la forza comunicativa del nemico rimbalza. Il problema è sempre, prima di tutto, politico, mai esclusivamente comunicativo. La comunicazione non opera da sola, disgiunta dalla politica, né risolve questioni che la politica non è stata in grado di risolvere o affrontare.”
“In secondo luogo, visto che dall’altra parte tutto tende a essere digitale, dobbiamo conoscere a fondo questa dimensione, dobbiamo saper navigare in questo oceano. Dobbiamo essere sulle reti, certo, ma non basta essere utenti di talento, dobbiamo anche capire le dinamiche digitali, il comportamento dei dati digitali, il fenomeno del filtraggio algoritmico, la differenza tra bolle digitali e camere d’eco, saper distinguere tra influencer e autorità in rete e aspirare ad avere entrambi.”
“Allo stesso tempo, credo che sia essenziale che una parte dei vertici della nostra forza armata sia sensibilizzata al tema della comunicazione, comprese le conoscenze tecniche, almeno quelle di base“.
Nell’attuale contesto cubano, con caratteristiche economiche e sociali simili a quelle che hanno influenzato gli eventi dell’11 Luglio, potrebbe ripetersi uno scenario come quello dell’11 luglio 2021?
Pedro Santander: “In effetti, le ‘caratteristiche economico-sociali’ sono simili. Tuttavia, credo che l’11 luglio abbia un risvolto positivo: ci ha permesso di apprezzare l’importanza dell’elemento politico-comunicativo, soprattutto in circostanze così avverse come quelle che colpiscono Cuba oggi. Siamo stati avvertiti e nel contesto di questa realtà credo che le forze rivoluzionarie abbiano saputo reagire in modi molteplici e intelligenti. La chiave è la base sociale.”
“Qualsiasi iniziativa di comunicazione rivoluzionaria, indipendentemente dalle sue dimensioni, dalla sua località, dalla sua natura (digitale o analogica), dal suo formato, deve sempre aspirare a raggiungere una connessione comunicativa con il suo pubblico, con l’audience; se non raggiunge questo obiettivo, non è di alcuna utilità“.
"Ritengo inoltre che sia importante capire che “iniziativa di comunicazione” non è la stessa cosa, né può essere ridotta a “iniziativa mediatica”. Oggi i media tradizionali non sono l’unico campo in questa battaglia ideologica e culturale, ma anche le reti, i meme, i servizi di messaggistica, la comunicazione diretta, gli eventi di strada, ecc.”
Carlos González Penalva: “Attualmente sono due i fattori su cui è stato costruito l’11 Luglio: un malcontento ‘vitale’ e la rabbia derivata dalle conseguenze economiche e produttive, che a loro volta derivano dalla crisi sanitaria del COVID-19. A questo si aggiunge il blocco, con il quale i cittadini sono continuamente sottoposti a pressioni sulle loro condizioni materiali di vita che continuano con uguale, se non maggiore, intensità”.
“Ora, c’è un elemento che non viene ripetuto e che è stato fondamentale per la diffusione della campagna di intossicazione intorno all’11 Luglio: il confino. D’altra parte, il Paese si è dotato di strutture, meccanismi e leggi per affrontare i nuovi formati della guerra cognitiva e delle fake news. Per tutte queste ragioni, ritengo difficile vedere un attacco al Paese con le stesse caratteristiche, ma dobbiamo essere vigili“.
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