«Voglio annunciarvi che questa sera rassegnerò le mie dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica. Le votazioni di oggi in Parlamento sono un fatto molto significativo dal punto di vista politico. La maggioranza di unità nazionale che ha sostenuto questo governo dalla sua creazione non c’è più. È venuto meno il patto di fiducia alla base dell’azione di governo.Crediamo che siano da segnalare alcune circostanze “eccezionali”.
In questi giorni da parte mia c’è stato il massimo impegno per proseguire nel cammino comune, anche cercando di venire incontro alle esigenze che mi sono state avanzate dalle forze politiche. Come è evidente dal dibattito e dal voto di oggi in Parlamento questo sforzo non è stato sufficiente.
Dal mio discorso di insediamento in Parlamento ho sempre detto che questo esecutivo sarebbe andato avanti soltanto se ci fosse stata la chiara prospettiva di poter realizzare il programma di governo su cui le forze politiche avevano votato la fiducia. Questa compattezza è stata fondamentale per affrontare le sfide di questi mesi. Queste condizioni oggi non ci sono più.
Vi ringrazio per il vostro lavoro, i tanti risultati conseguiti. Dobbiamo essere orgogliosi di quello che abbiamo raggiunto, in un momento molto difficile, nell’interesse di tutti gli Italiani».
Ci sembra sia infatti la prima volta che un presidente del consiglio rassegna le dimissioni dopo aver ricevuto la fiducia su un suo provvedimento. L’uscita dall’aula della residua pattuglia grillina al momento del voto non ha messo in discussione la larga maggioranza a favore dell'esecutivo.
Questo dato segnala un rovesciamento del rapporto tra potere esecutivo e potere legislativo (il Parlamento), già del resto esplicitati dallo stesso Draghi quando ha voluto spiegare perché proprio non poteva accettare di subordinare le sue scelte sull’invio delle armi in Ucraina al voto dell’aula, né ora né in futuro: «Impossibile: vorrebbe dire che il governo è commissariato dal Parlamento».
Che è poi la condizione “normale” della democrazia liberale: il Parlamento concede la fiducia a un governo, e questo entra in funzione, oppure no e quel governo si dimette.
Con Draghi è avvenuto spesso l’opposto, più volte e infine anche oggi.
E infatti Mattarella – che ha evidentemente concordato col premier le mosse successive, nell’ora di colloquio avvenuto prima della riunione del Cdm – ha respinto le dimissioni e lo ha invitato a presentarsi di nuovo davanti alle Camere per un voto di fiducia (come la Costituzione vorrebbe).
Lì, inevitabilmente, avrà di nuovo una ampia fiducia (senza i Cinque Stelle, vedremo se tutti o solo una parte). In pratica, il Parlamento “lo pregherà di restare al suo posto”, promettendo di rinunciare a qualsiasi pretesa di controllo sul suo operato.
Di fatto, se andrà così, sarà ratificato quel “rovesciamento” dei poteri che il sistema dei trattati europei impone (e che è del resto ben rappresentato dalla funzione ancillare del cosiddetto Parlamento Europeo, l’unico nel mondo liberale ad esser privo del potere di proporre e approvare leggi di propria iniziativa).
Appare inoltre chiaro che “i partiti”, in questo schema, non contano assolutamente nulla (a maggioranza approvano un decreto, ma il promotore se ne va lo stesso...).
Teniamo gli occhi molto aperti, perché sta avvenendo qualcosa di importante. E non solo sul piano del “rispetto delle norme costituzionali”. Non sembra banale ricordare che siamo in tempi di guerra, e che vi partecipiamo direttamente, anche se per “interposta persona”. E in tempi di guerra, più che in altri, cambiano gli assetti istituzionali. In modo radicale, anche se non necessariamente violento.
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