Un altro passo verso la guerra mondiale, di tutti contro tutti. Proprio mentre l’Occidente neoliberista, tramite la Nato, riempie di armi l’Ucraina con la motivazione di “garantire l’autodeterminazione di un popolo”, il capofila di questa coalizione – gli Stati Uniti – firmano un trattato con un paese (Israele) per impedire che un terzo paese (l’Iran) realizzi un’arma nucleare.
Il presidente americano Joe Biden e il premier israeliano Yair Lapid hanno firmato ieri questo “nuovo patto di sicurezza” che impone a Washington di usare tutto il suo potere per evitare che Teheran acquisisca l’arma atomica.
Inevitabilmente il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, ha dovuto reagire minacciando una “risposta dura e spiacevole” a “qualsiasi errore” commesso da Washington o dai suoi alleati nella regione.
La questione del nucleare iraniano è un tema su cui negli anni passati i due Paesi alleati hanno avuto opinioni diverse e spesso contrastanti. Specie quando, sotto la presidenza Obama, fu raggiunto insieme ad alcuni partner europei un accordo con l’Iran che consentiva la ricerca sul “nucleare civile”, in cambio di controlli stringenti per impedire l’evoluzione di quello militare.
La differenza, come noto, è nel livello di arricchimento dell’uranio, molto più alto in quello per usi militari.
Questo accordo è stato poi stracciato da Donald Trump, che ha così esaudito le richieste dell’ex primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha immediatamente dato il via ad una serie di omicidi mirati contro scienziati iraniani, minacciando spesso il bombardamento dei centri di ricerca.
Ora questo nuovo patto si configura come una pistola puntata contro Teheran, con Tel Aviv che “finalmente” dispone della possibilità di sparare a proprio piacimento il primo colpo sicura di poter contare sulla “protezione” di Washington.
Alla faccia dell’”autodeterminazione dei popoli”, principio evidentemente che vale solo per gli alleati fedeli...
Oltretutto il premier israeliano Lapid è dimissionario, e tra meno di quattro mesi dovrà affrontare il giudizio delle urne e ha il fiato sul collo del leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu, noto falco sul tema, che ha posto nuovamente l’accento sulla necessità di presentare una “minaccia militare credibile” per costringere la repubblica islamica ad accettare un nuovo accordo sul nucleare.
“L’unica cosa che fermerà l’Iran è sapere che se continua a sviluppare il suo programma nucleare, il mondo libero userà la forza“, ha affermato. Una linea di pensiero che ha trovato Biden in parziale disaccordo: “Continuo a credere che la diplomazia sia il modo migliore“, ha affermato, ribadendo tuttavia “l’inviolabile impegno degli Usa nei confronti della sicurezza di Israele. Ci assicureremo che possa difendersi da solo“.
Insomma: un invito a non accelerare i tempi, ma non un “divieto” ad usare unilateralmente la forza. Ricordiamo anche che Israele è l’unica potenza nucleare al mondo ad essere “clandestina”, nel senso che non ammette di avere armi nucleari e quindi non sottoscrive nessun trattato internazionale sul tema, in barba a tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite.
Sul tema è tornato anche Netanyahu, che ha visto Biden per un colloquio di venti minuti, inserito nel programma per evitare di dare l’impressione di una preferenza Usa in vista delle elezioni di novembre. Dopo l’incontro, il leader del Likud ha sostenuto che il capo della Casa Bianca si sia detto d’accordo sulla necessità di avere un’opzione militare credibile contro l’Iran. “In ogni caso, questo è quello che farò se e quando tornerò premier“, ha aggiunto Bibi, mandando un messaggio chiaro all’elettorato in vista del voto di novembre.
Biden visiterà l’Augusta Victoria Hospital a Gerusalemme Est e poi si recherà a Betlemme per incontrare il presidente palestinese Abu Mazen, ma su questo versante non sono attesi grandi annunci, oltre a misure per fornire l’accesso alla rete Internet 4G nei Territori palestinesi e lo stanziamento di un sostanzioso pacchetto di aiuti per la rete di ospedali nella parte orientale della città che i palestinesi rivendicano come futura capitale del proprio Stato.
Tuttavia, in merito al processo di pace in stallo, non si prevedono all’orizzonte annunci o pressioni sulle parti: Biden ha già detto più volte che non intende rivedere il riconoscimento di Gerusalemme come capitale d’Israele, annunciato nel 2017 dal predecessore Donald Trump; quanto alla riapertura del consolato americano in città, destinato ai palestinesi, ne ha espressione l’intenzione ma finora non ha agito.
Nei rapporti non idilliaci con i palestinesi pesa anche la recente posizione americana sull’uccisione della giornalista di al-Jazeera, Shireen Abu Akleh a Jenin. Ramallah sperava in una chiara posizione di condanna di Washington verso l’alleato israeliano mentre il dipartimento di Stato ha concluso che probabilmente la reporter è stata uccisa dai soldati, ma non intenzionalmente: una formula pilatesca che ha scontentato entrambe le parti.
Non solo, le parole pronunciate dal presidente americano al suo arrivo ieri in Israele, con il suo accenno al “sostegno alla soluzione dei due Stati” di cui però non vede una concretizzazione “in un futuro prossimo”, hanno irritato l’Anp tanto che fonti hanno già fatto sapere che non ci sarà una nota congiunta domani ma dichiarazioni separate.
Sull’argomento Biden è tornato nella conferenza stampa con Lapid, ribadendo l’appoggio alla “soluzione dei due Stati per due popoli, entrambi i quali hanno radici profonde e antiche con questa terra, per vivere fianco a fianco in pace e sicurezza”. Questa è “una garanzia per uno Stato d’Israele forte e democratico, con una maggioranza ebraica”, è stato il laconico commento del premier israeliano, chiudendo il discorso.
Dopo la tappa palestinese, l’Air Force One partirà per un volo storico alla volta di Gedda, in Arabia Saudita, dove si appuntano le attenzioni e gli interessi sia degli Usa che di Israele. Oltre alla sicurezza energetica e alla richiesta americana di un aumento della produzione petrolifera, si guarda alla possibile apertura di un percorso di normalizzazione dei rapporti tra Israele e Arabia Saudita, formalmente privi di relazioni diplomatiche ma legati dalla comune opposizione all’Iran.
Secondo fonti diplomatiche, domani verrà annunciato il raggiungimento di un’intesa per il trasferimento della sovranità su due isole strategiche nel Mar Rosso, Tritan e Sanifar, dal Cairo a Riad, con l’accordo di Israele. Tra le misure rientrerà anche il via libera saudita all’uso da parte dello Stato ebraico del proprio spazio aereo per la tratta verso India e Cina e il lancio di voli diretti per i pellegrini musulmani.
Nella tappa saudita, tra i punti delicati nell’agenda di Biden, c’è l’incontro con il principe ereditario Mohamed bin Salman, sul quale da settimane si sono scatenate le polemiche: pur non essendo un bilaterale, il faccia a faccia segna un controverso cambio nella linea politica del presidente che in campagna elettorale aveva condannato duramente l’omicidio del reporter dissidente saudita Jamal Kashoggi, per il quale l’intelligence americana ha indicato MbS come la ‘mente’.
Dopo il durissimo editoriale del Washington Post, convinto che il viaggio di Biden “eroda l’autorità morale” degli Usa, oggi la fidanzata di Khashoggi, Hatice Cengiz, è tornata ad attaccare il capo della Casa Bianca condannando “l’enorme marcia indietro, è straziante e deludente. E Biden perderà la sua autorità morale mettendo petrolio e convenienza al di sopra di principi e valori“.
Fonte: Agenzia Agi
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