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17/07/2022

“Pieni poteri” o dilettanti allo sbaraglio?

“Mariè, nun ce lassà...”

È partita, come previsto, la campagna di preghiere perché Mario Draghi ci ripensi, riprendendo la sua opera come presidente del consiglio.

L’elenco è sterminato, va dai sindaci dei principali comuni italiani ai vertici dell’Unione Europea, degli Stati Uniti e della Nato. Dalle associazioni di categoria a Confindustria, dalla Cgil a tutte le minime frattaglie del sistema politico nazionale.

Anche tra i “perché” c’è imbarazzo della scelta. “Completare le riforme”, “andare avanti con il PNRR”, “portare avanti l’agenda sociale” (?!), “far ripartire la campagna vaccinale”, “frenare lo spread”, “tranquillizzare i mercati”. Non manca nemmeno l’Ucraina, “perché non si interrompa l’invio di armi”.

Un coro così totalitario da far apparire risibile il peso – e la “responsabilità” – del suo ipotetico antagonista: Giuseppe Conte.

Il quale mostra non solo incertezza assoluta sulle scelte da fare – comunicando ad ore alterne “spiragli di apertura” e richieste di “chiarezza sui nove punti” indicati in una lettera che nessuno ricorda più – ma anche un suo “esercito” mai così smandrappato e pronto a sciogliersi spontaneamente nell’acido.

Fare previsioni sui possibili sviluppi sembra difficile, ma avanzare ipotesi per trovarsi “sul pezzo” davanti agli eventi è pur sempre un obbligo, se si vuole far politica.

Dunque vediamo quali sono gli scenari principali, a oggi.

1) Draghi bis, con “pieni poteri”

Lo stato comatoso di una democrazia parlamentare appare palese alla prima constatazione: Draghi ha presentato le sue dimissioni a Mattarella dopo aver ricevuto un voto di fiducia del Parlamento sulla sua proposta di “decreto aiuti”.

In democrazia, dicono, ci si dimette quando “si finisce sotto”, non quando si ottiene una maggioranza di oltre due terzi...

C’è da segnalare che nella sua comunicazione al consiglio dei ministri quelle dimissioni annunciate non erano accompagnate dalla parola “irrevocabili”, rivelando così indirettamente che c’è un ampio margine perché non diventino effettive.

Mattarella lo ha rinviato ovviamente alle Camere, perché è lì che formalmente un governo deve ricevere il mandato a proseguire (ed anche se Draghi, nelle scorse settimane, ha rivelato un’aspirazione semi-dittatoriale definendo un “inaccettabile commissariamento del governo” la pretesa di vincolare l’invio di armi ad un nuovo voto).

Si sa già – il coro è sterminato – che la maggioranza è ampia e certa. Se si dovessero prendere sul serio le dichiarazioni, insomma, questa crisi sarebbe dovuta al fatto che Draghi considera “venute meno le condizioni politiche” per il solo fatto che una parte dei parlamentari Cinque Stelle – ampiamente falcidiati dalla scissione di Di Maio e da quelle preannunciate della vasta “ala governista” – si è mostrata contrariata dalle sue scelte.

Fosse vero, insomma, dovremmo concluderne che Draghi pretende i “pieni poteri”, ma senza dirlo (come incautamente aveva fatto Salvini nell’estate del Papeete).

In questo scenario, insomma, ci troviamo davanti ad una drammatizzazione pilotata della crisi, il cui primo obiettivo è dissolvere la residua pattuglia grillina, ormai pienamente di fronte alla propria inconsistenza strategica, programmatica e tattica.

Una resa dei conti definitiva con il “populismo” che quasi cinque anni fa aveva stravolto la normalità della “rappresentanza” politica facendo salire al governo due forze piccolo-borghesi espressione del malessere di figure sociali messe sempre più in difficoltà dalla crisi economica e dalle politiche europee.

In questa resa dei conti, ovviamente, c’è dietro l’angolo anche la sostituzione di Salvini come leader ufficiale di una Lega ormai ampiamente ridotta a dimensioni “controllabili” e altrettanto divisa tra vetero-governisti e altrettanto vetero “populisti”.

L’esito – se questa ipotesi è giusta – è la prosecuzione del governo Draghi fino alla scadenza naturale della legislatura, ma senza più mediazioni possibili con le istanze presentate dai singoli “partiti” o gruppi di interesse.

Alle frastornate truppe di Conte non resta che scegliere di che morte morire. Uscire dal governo in pochi, accettando una disapora incontrollabile e riconsegnandosi alla condizione di movimento “vaffanculista” senza più pretese di cambiamento; restarci con l’obbligo al silenzio, fino ad elezioni che ne segnaleranno la scomparsa.

2) Crisi vera, senza paracadute

Il secondo scenario possibile è oggettivamente meno probabile, sulla base dei rapporti di forza nazionali e internazionali, ma potrebbe avere qualche similitudine con analoghe crisi in altri paesi europei.

La Gran Bretagna ha costretto Boris Johnson a lasciare, per ora, almeno la guida dei conservatori e dunque, da qui a pochi mesi, anche quella del governo. In Francia Macron non ha una maggioranza parlamentare per imporre le sue decisioni.

In Spagna Sanchez oscilla quotidianamente tra misure “sociali” (trasporti pubblici gratuiti fino a capodanno, imposta straordinaria su banche e imprese energetiche, 100 euro al mese in più per studenti e borsisti, tetto all’aumento degli affitti, blocco dei licenziamenti per le imprese sussidiate dallo Stato, ecc.) e fedeltà guerrafondaia alla Nato, mandando in fibrillazione l’altra forza di governo (Podemos).

In Germania il governo Scholz si barcamena tra invio di armi a Kiev e contatti semi-segreti con la Russia per non perdere totalmente le forniture di gas.

Ma questo secondo scenario implica diverse cose contemporaneamente.

La prima è che Draghi non sia affatto quel “nonno al servizio delle istituzioni”, responsabile e paterno, oltre che “autorevole sul piano internazionale”. Si dimetterebbe solo per un capriccio (non avere tutti, ma proprio tutti, dalla sua parte, pur avendo un’ampia maggioranza), come non hanno mai fatto neanche i peggiori democristiani.

La seconda è che in questo paese la crisi di sistema è diventata incontrollabile anche in assenza di grandi movimenti di massa (e non ne mancano certo le ragioni...) e soprattutto in assenza di un’opposizione politica agguerrita (la Meloni scimmiotta la parte, ma rigorosamente senza rompere troppo le scatole...).

Ma se è così – e non sapremmo quali elementi possano confermarlo – nessuna soluzione è credibilmente alle viste. E dunque tutte le “catastrofi” elencate dalla massa di “preganti” per Draghi starebbero sul punto di caderci addosso: lo spread a 500 punti, l’inflazione a due cifre (invece che all’8% attuale), il blocco dei prestiti europei del Recovery Fund, la speculazione finanziaria sui titoli di stato, il crollo ulteriore della Borsa, la chiusura di aziende e licenziamenti di massa, il dilagare del Covid-19 (ah, no, quello già dilaga...). Mancano solo le cavallette (apparse anche loro, per ora, ma solo in Sardegna).

Tra 72 ore sapremo qual’è l’ipotesi giusta. Quello che già sappiamo è che per lavoratori, studenti, pensionati, disoccupati, ecc., in entrambi i casi non c’è nulla di buono da aspettarsi. In entrambi i casi bisognerà mobilitarsi perché chi sta “lassù” sia costretto almeno a fare i conti anche con la rabbia popolare, e non solo con gli appetiti dei diversi gruppi di potere.

Perché, oltretutto, siamo al bordo di una guerra che in qualsiasi momento può degenerare in conflitto nucleare. Ed essere governati da criminali con “pieni poteri” o da imbecilli che non sanno che fare non è esattamente un’alternativa da accettare passivamente.

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