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14/07/2022

Una crisi di governo? Solo per rafforzare la governance...

Ma davvero ci sarà una crisi di governo? Vedremo nelle prossime ore, ma ci sentiamo di scommettere contro questa ipotesi.

I dati più evidenti sono sciorinati da tutti i media, e sembrerebbero andare sul percorso classico delle crisi di sempre. I Cinque Stelle, guidati da Giuseppe Conte, sono in qualche modo costretti a smarcarsi da una governo nato per farli definitivamente fuori ed eliminare così l’unica “eccezione” (non “alternativa”, per carità...) ai vecchi comitati elettorali del sistema politico.

Su questo si sono già spaccati più volte (non si contano le mini-scissioni e le fughe dei parlamentari verso il “gruppo misto” o altre formazioni), perdendo nel tempo perfino i due giovani gemelli che sembravano le autentiche “promesse” della politica italiana: Di Battista e Di Maio.

Nonostante questo, e gli evidenti ondeggiamenti del “garante-fondatore”, persiste uno “zoccolo duro” che vale intorno al 10-12% delle intenzioni di voto, ma che soprattutto può fungere ancora da calamita delle pulsioni “populiste” e “anti-sistema”. Definizioni del potere, ovviamente, che ci fanno sorridere da sempre...

Come si sa, anche la decisione di “staccare la spina” non è stata ancora presa, e nella pattuglia grillina residua è forte la tentazione di “segnare un punto” senza però passare davvero all’opposizione.

Su questo pesano considerazioni totalmente “tattiche”, come sempre. È difficile uscire accampando come motivazione l’inserimento dei termovalorizzatore per Roma nel “decreto aiuti”. Un giochino alla democristiana, degno dei famosi “decreti omnibus”, ma che non appare sufficiente a giustificare uno strappo di queste dimensioni.

Il resto è roba difficile da spiegare, perché la portata effettiva dei singoli provvedimenti è comprensibile – ex ante – soltanto a dei vecchi osservatori-analisti in grado di decodificare i codicilli. Ma nulla che si possa condensare in uno slogan. Pure la questione del salario minimo – ridotta a pura parola senza alcuna conseguenza pratica – non è facile da spiegare, per chi è stato al governo quattro anni e mezzo accompagnandosi con praticamente tutti i partiti esistenti.

Resta la “scarsa considerazione” con cui Draghi li tratta fin dall’inizio (“cambiali in bianco” da votare a comando), ma anche questo è poco “vendibile” sul mercato elettorale.

Se fossimo ancora in una repubblica parlamentare, di fatto, l’eventuale uscita dei grillini dalla maggioranza sarebbe il segnale per il “liberi tutti”.

La Lega potrebbe invocare le elezioni subito (a ottobre, insomma…), in modo da non dover condividere decisioni di governo altamente impopolari (quelle che verranno prese in conseguenza della crisi energetica e dalla riduzione delle importazioni di gas russo), specie mentre l’inflazione sconquassa i salari e il potere d'acquisto.

Il PD, pur essendo totalmente spianato sul “draghismo”, potrebbe cogliere l’occasione per recuperare un profilo “autonomo”. Idem per le altre frattaglie centriste che fanno parte della maggioranza.

Ma la fiammata dello spread, già stamattina, segnala che “i mercati” sono pronti a far pagare un prezzo altissimo a questo paese se la governance tecnocratica incarnata da Mario Draghi venisse messa in discussione.

Ci sono poi le 528 condizionalità previste come contropartita dei prestiti europei, secondo il cronoprogramma previsto nel PNRR E l’Unione Europea difficilmente accetterebbe un interlocutore diverso da Draghi come “garanzia” del rispetto dei tempi e dei contenuti di quelle “riforme”.

C’è infine la guerra, che sta sconquassando le leadership del Vecchio Continente. Il guitto Boris Johnson è stato costretto alle dimissioni (da leader dei conservatori, non ancora da premier). Macron ha perso la maggioranza e sta cercando di governare raccogliendo i voti caso per caso, ma è investito dallo scandalo degli Uber leaks.

Il tedesco Olaf Scholz e la strana coalizione di governo che guida stanno affrontando la peggiore crisi che la Germania abbia sperimentato da decenni (blocco del gas russo, crollo della bilancia commerciale, crisi del “modello mercantilista” che aveva imposto a tutta Europa, perdita di egemonia sull’Est a causa della guerra, ecc.).

Sanchez e il governo spagnolo sono da mesi sull’orlo di una crisi definitiva.

Paradossalmente, l’Italietta a guida Draghi era diventata una “certezza” in Europa. Troppe, insomma, le variabili che giocano per il mantenimento del quadro istituzionale attuale.

Per questo ci sembra di poter dire che non ci sarà alcuna crisi di governo. I voti garantiti dalla pattuglia grillina non sono poi così indispensabili, anche se certo – se fossero compatti nell’astenersi sulla fiducia al Senato – cambierebbero le “condizioni politiche”.

L’ipotesi più probabile, però, al momento in cui scriviamo, resta la frantumazione ulteriore del gruppo parlamentare Cinque Stelle. Un altro colpo verso la scomparsa di una “anomalia” piccolo borghese, e un ammonimento contro qualsiasi futura ipotesi di movimenti politici che vogliano far valere interessi sociali diversi – e soprattutto opposti – a quelli del grande capitale multinazionale.

Non siamo più, e da tempo, una “democrazia parlamentare liberale”. Ovvero quel regime politico in cui si cerca continuamente di mediare tra “governabilità” e consenso. Siamo nel regime del “pilota automatico” messo a punto con una sfilza di trattati europei “indiscutibili”.

Ergo, secondo noi, la soluzione dello psicodramma politico che viene recitato in queste ore sarà comunque un rafforzamento della governance a scapito della “dialettica politica”. Con più o meno drammatizzazione, ma senza rotture traumatiche reali.

Un motivo in più per dare all’autunno una colorazione decisamente diversa...

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