Da metà giugno è risalita improvvisamente la tensione fra Hezbollah e Israele. L’oggetto del contendere sono i giacimenti marittimi di gas di Karish, nel Mediterraneo, dove Israele, ingolosito dalla crescente domanda del bene fossile proveniente dall’Europa, i cui paesi sono desiderosi di sganciarsi prima possibile dalla dipendenza dalla Russia, ha piazzato la nave piattaforma greca Energean per dare il via all’estrazione.
Sono anni, infatti, che Grecia, Israele e Repubblica di Cipro collaborano nell’attività estrattiva nel Mediterraneo, in contrapposizione con la Turchia.
Hezbollah e, formalmente, anche il governo libanese sostengono che parte dei giacimenti in questione sono fuori dalle acque territoriali di pertinenza israeliana e li rivendicano come libanesi.
La formazione sciita, per bocca del Segretario Generale Hassan Nasrallah e del suo vice Naim Qassem ha, per la prima volta dopo tanto tempo, esplicitamente minacciato di ricorrere all’utilizzo della forza pur di impedire l’inizio delle operazioni di estrazione.
“L’obiettivo nell’immediato dovrebbe essere quello di impedire al nemico di estrarre gas dal giacimento di Karish. La Resistenza ha le capacità per impedire al nemico di estrarlo, non dirò come ma non resteremo a guardare mentre Israele saccheggia le risorse naturali del Libano che sono l’unica speranza di salvezza per il popolo libanese”.
Così ha affermato Nasrallah a metà giugno, in un discorso televisivo, rivolgendosi poi esplicitamente alla Energean intimandole di “ritirare immediatamente la nave ed evitare di farsi coinvolgere in questa aggressione e provocazione al Libano”.
Qassem è stato ancora più esplicito, dichiarando alla Reuters che Hezbollah avrebbe preso “contromisure rispetto alle azioni israeliane, incluso l’uso della forza”.
Come al solito, nel mezzo si è posizionato il governo libanese uscente, il quale ha richiamato a Beirut l’inviato americano sugli affari energetici, Amos Hochstein, incaricato di mediare sulle dispute marittime fra Israele e il Libano (si tratta di una mediazione indiretta, visto che il Libano formalmente non riconosce Israele), nella speranza che questi fosse in grado di rilanciare i negoziati per trovare una soluzione.
Tale tentativo, tuttavia, non ha avuto effetto e il 2 luglio l’aviazione israeliana ha annunciato di aver abbattuto 3 droni di ricognizione, non armati, nell’area del gasdotto, il cui lancio è stato rivendicato da Hezbollah come “un messaggio inviato” a Israele, riguardo le proprie capacità tecnologiche.
Secondo il giornale libanese Al-Akhbar, laico ma vicino ad Hezbollah, la settimana precedente si era verificata un’altra missione simile.
Di fronte a tali eventi, il governo libanese con un comunicato ha condannato l’azione di Hezbollah: “Qualsiasi azione svolta fuori dal contesto diplomatico dei negoziati [sulle dispute marittime] è inaccettabile ed espone il Libano a rischi inutili. Chiediamo a tutte le parti di mostrare uno spirito di responsabilità nazionale e di rispettare il fatto che tutti, senza eccezioni, sono sotto la guida dello Stato nel quadro dei negoziati.
Il Libano ha rinnovato il suo sostegno all’inviato americano Amos Hochstein nell’ottica di raggiungere una soluzione che preservi chiaramente tutti i diritti nazionali e ha chiesto l’accelerazione dei negoziati che sono giunti a una fase avanzata”.
Il comunicato si chiude, poi, con la richiesta di rito di porre fine “alle continue violazioni marittime, terrestri e aeree da parte di Israele”.
Stranamente da Tel Aviv, oltre alla rivendicazione dei giacimenti di Karish e alla comunicazione dell’abbattimento dei droni, non è arrivata nessuna minaccia o dichiarazione che potrebbe portare ad innalzare la tensione, quasi a voler evitare il proseguimento dell’escalation con Hezbollah.
Le contraddizioni nel campo libanese rimangono tutte intatte, giacché il governo di Beirut che, ricordiamo, da dopo le elezioni di metà maggio in teoria è in carica solo per l’ordinaria amministrazione, sembra orientato a capitolare totalmente nei negoziati, essendo disposto a cedere tutta l’area dei giacimenti di gas in cambio della concessione di altre aree marittime contese, prive però di risorse.
Quest’ultima soluzione, tuttavia, si configura come inaccettabile attualmente per Hezbollah vista l’escalation che lo stesso movimento sciita ha voluto creare intorno ai giacimenti.
Ovviamente, tale disputa rischia di riflettersi sulla già laboriosissima opera di formazione del nuovo governo libanese, dato che il Primo Ministro uscente Najib Miqati, che sta conducendo le trattative sulle dispute marittime, ha anche ricevuto l’incarico dal Presidente della Repubblica per formare il nuovo esecutivo.
Che i rapporti fra Hezbollah e Miqati siano ai minimi termini lo testimoniano le dichiarazioni rilasciate il 7 luglio del capo del consiglio esecutivo della compagine sciita (nonché cugino di Nasrallah), Sayyed Hashem Saffieddine, in riferimento alle posizioni del governo circa l’invio dei droni nell’area dei giacimenti di gas:
“Quello a cui abbiamo assistito in Libano giorni fa, in tema di confronto con il nemico e ottenimento dei nostri diritti e delle nostre risorse, e in tema di gestione del Paese e del pane, della farina, delle medicine e delle crisi, indica chiaramente che molti politici in Libano sono ipocriti e stanno ingannando la gente. Chi vuole lavorare negli affari pubblici deve essere un vero uomo che si assume delle responsabilità...
E poi qualcuno – che ha paura o non sa come comportarsi o ha le orecchie e la testa nell’ambasciata degli Stati Uniti – decide di avvertirci, minacciarci e limitarci a determinate posizioni, ma i paesi non possono essere amministrati tenendo tali posizioni, ma piuttosto attraverso l’azione, il coraggio e i sacrifici“.
La necessità di trovare un punto d’incontro sulla questione dei giacimenti di Karish risulta attualmente indispensabile affinché non si profili l’ipotesi di una clamorosa esclusione di Hezbollah da governo e maggioranza; risvolto teoricamente possibile, dato che la coalizione a guida del movimento sciita ha perso la maggioranza assoluta, ma nel concreto gravido di pensanti conseguenze interne.
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