Manifestazioni di protesta stanno dilagando in molte città libiche dove manifestanti hanno bloccato numerosi ponti e strade nella regione occidentale del Paese, in segno di protesta contro l’intera classe politica considerata responsabile delle precarie condizioni di vita della popolazione. Ne riferisce in un ampio servizio l’agenzia Nova. Il movimento giovanile Baltris ha annunciato l’inizio della disobbedienza civile in tutte le città e regioni della Libia, chiedendo il rovesciamento di tutti gli organi istituzionali attuali, nonché lo svolgimento di elezioni parlamentari e presidenziali. Il gruppo promotore delle manifestazioni popolari scoppiate nel Paese venerdì primo luglio, ha riferito che sono in corso preparativi per allestire un picchetto permanente nella Piazza dei Martiri, nel centro di Tripoli. Si prevedono manifestazioni di massa in varie città libiche per chiedere lo svolgimento di elezioni al più presto e l’uscita delle forze straniere dal Paese.
L’agenzia Nova ricorda che era dal 2019 che non si verificavano dimostrazioni di tale portata non solo a Tripoli, ma anche a Bengasi (est), Misurata (ovest), Tobruk (est) e Sebha (sud). Venerdì, la capitale ha visto una grande manifestazione nella Piazza dei Martiri organizzata da vari movimenti giovanili per chiedere lo svolgimento di elezioni presidenziali e parlamentari e il rovesciamento di tutti gli organi attuali. I manifestanti si sono diretti verso il quartier generale del primo ministro nell’area di Al Sikka Road, bloccando alcuni automobilisti e scandendo slogan come “Libia! Libia!” e “No, no ai battaglioni!”. I dimostranti, in gran parte giovani, sono stati allontanati dalle forze di sicurezza che hanno esploso colpi di arma da fuoco in aria.
Ma anche nella città orientale di Tobruk alcuni dimostranti sono entrati nella Camera dei rappresentanti, la sede del parlamento libico basato nell’est del Paese. L’edificio è stato preso d’assalto da alcuni manifestanti, che sono apparentemente riusciti a dare alle fiamme alcuni documenti e computer. Le immagini televisive mostrano le fiamme che divampano all’esterno ma anche all’interno di una parte dell’edificio, mentre la folla grida “Libia! Libia!”. Alcune auto dei parlamentari sono state date alle fiamme e anche l’abitazione del presidente della Camera, Aguila Saleh, è stata raggiunta da alcuni dimostranti. Anche a Bengasi, roccaforte del generale Khalifa Haftar, decine di persone hanno manifestato chiedendo un miglioramento delle condizioni di vita e la fine delle sofferenze dei cittadini.
A Misurata, terza città della Libia, alcuni manifestanti hanno cercato, senza successo, di fare irruzione nel quartier generale della municipalità. Persino la città di Sebha – capoluogo della regione del Fezzan – non è stata risparmiata dalle proteste. I dimostranti hanno preso d’assalto la sede locale del ministero delle Finanze, trafugando documenti, saccheggiando attrezzature e appiccando incendi all’interno dell’edificio. Sebha è un importante snodo delle rotte del petrolio, del carburante e dei migranti.
Approfittando della situazione il comando generale dell’Esercito nazionale libico (Lna) del generale Khalifa Haftar ha annunciato il suo “pieno sostegno” alla volontà popolare e alle richieste dei cittadini, sottolineando di seguire con attenzione il “movimento popolare” espressione di “legittime richieste alla luce dell’aggravarsi della crisi libica e del basso livello dei servizi e della qualità di vita”. Dopo aver messo in guardia in una dichiarazione contro la violazione di strutture pubbliche e private, il comando dell’Lna ha affermato che “non deluderà il popolo che non lascerà esposto a ricatti e manomissioni”. Le forze del generale Haftar invitano i cittadini a organizzare “legittime manifestazioni attraverso un movimento civile pacifico e organizzato, per tracciare una tabella di marcia per la salvezza dall’amara realtà e dall’assurdità esistente, per muoversi verso la costruzione di uno Stato civile dotato di libero arbitrio”. La dichiarazione ha sottolineato che la leadership dell’Lna adotterà “tutte le misure necessarie per preservare l’indipendenza della Libia” e respingerà “qualsiasi tentativo di imporre le decisioni ai libici dall’esterno”.
Da febbraio è in corso un braccio di ferro tra due coalizioni rivali in Libia: da una parte il Governo di unità nazionale (Gun) del premier ad interim Abdulhamid Dabaiba con sede a Tripoli, riconosciuto al livello internazionale ma sfiduciato dal Parlamento; dall’altra il Governo di stabilità nazionale designato dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk e guidato da Fathi Bashagha, appoggiato a sua volta dal generale Khalifa Haftar. L’esecutivo del premier uscente controlla la capitale Tripoli e diverse zone della Tripolitania, la regione più popolosa del Paese. Il Gsn sostenuto dal Parlamento dell’est e dal generale libico Khalifa Haftar controlla i pozzi petroliferi situati in Cirenaica e nel Fezzan, oltre agli edifici governativi di Bengasi (est), Sirte (centro-nord) e Sebha (sud-ovest).
Intanto la produzione petrolifera della Libia è crollata per effetto dei blocchi dei terminal di esportazione, con gravi conseguenze sul sistema elettrico che dipende dal combustibile e dal gas. Lunghi blackout stanno colpendo la popolazione in tutto il Paese, mentre le temperature raggiungono anche i 45 gradi.
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