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18/11/2022

La crociata contro il Reddito di Cittadinanza

Chi ha la – triste – sventura di trascorrere le serate, di questo autunno italiano, facendo zapping con il telecomando della televisione non è stato scampato dall’ossessivo bombardamento di parole ed immagini circa le nefandezze del Reddito di Cittadinanza.

Oramai alcuni soggetti – ascrivibili a vario titolo alla pletora di padroncini, di commentatori d’assalto e di parlamentari/peones alla spasmodica ricerca di notorietà – non perdono l’occasione offerta dai vari talk show per vomitare il loro odio contro i poveri e contro chiunque osi mettere in discussione l’articolato sistema di contratti farlocchi, di paghe al nero e da fame e l’intero ventaglio di ricatti e persecuzioni a cui sono sottoposti i lavoratori, specie quelli inquadrati nelle categorie professionali più basse.

Ma non capiremmo il vero significato dell’offensiva ideologica e politica contro lo strumento del Reddito di Cittadinanza se limitassimo la nostra sacrosanta critica all’osceno caravanserraglio dei soggetti sopra indicati.

In realtà contro il RdC sono schierati i veri poteri forti: Confindustria, le grandi Associazioni datoriali e il complesso di quelle forze politiche ed economiche che, da sempre, puntano alla crescita dell’”Azienda Italia” attraverso una modalità di sviluppo fondata esclusivamente su un regime di bassi salari, di compressione dei diritti e di continua svalorizzazione della forza lavoro.

Il tutto con buona pace dello stucchevole chiacchiericcio sulla “modernizzazione del mondo del lavoro”, che invece viene spinto verso modalità medievali!

Per costoro una misura di dignità come il Reddito di Cittadinanza che, unitamente al varo di una Legge sul “Salario Minimo”, permetterebbe di configurare un mercato del lavoro parzialmente libero da ricatti peggior, limitando in parte la mentalità da “padroni delle ferriere”, è un tabù da demolire per ripristinare il bruto comando del mercato, sulle braccia e la testa di lavoratrici e i lavoratori e – ovviamente – sull’intero sistema di relazioni sindacali e sociali, sempre più improntato verso la demolizione di ciò che residua degli istituti della “contrattazione collettiva”.

Infatti – come ha fatto notare il Presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, in un intervista al “il Fatto Quotidiano” – al di là delle cortine fumogene di una volgare propaganda di urla e di notizie scoop a proposito di “furbetti”, senza il Reddito di Cittadinanza per milioni di persone (collocate in gran parte nel Meridione) rimarrebbe solo la Caritas.

Consideriamo che – al momento – per chi perde il lavoro esiste solo la Naspi, per un massimo di due anni. Ma c’è un dato che andrebbe evidenziato ai vari opinion maker che pontificano contro i percettori del RdC: questo provvedimento, per i due terzi, viene erogato a persone che non possono lavorare (anziani, disabili, minori) oppure persone che non hanno nessuna “storia contributiva”.

Siamo – dunque – in presenza di una vera e propria crociata antisociale che miscela sapientemente aspetti ideologici, menzogne spudorate, obiettivi padronali di ulteriore segmentazione e frantumazione del mondo del lavoro e, infine, la volontà di fare l’ennesimo regalo alle imprese (vedi la scandalosa proposta di destinare i fondi che attualmente coprono il RdC alle imprese per far svolgere “formazione in house”, ossia salario pagato con soldi pubblici).

Dal dibattito politico generale e dai propositi annunciati dal Governo Meloni pare che stavolta l’Esecutivo “metterà mano” al Reddito di Cittadinanza.

Per chi in questi decenni – ancora prima della nascita del Movimento 5 Stelle – ha fatto dell’idea/forza della necessità di un Reddito/Salario Garantito un elemento di battaglia politica generale, una parola d’ordine tendenzialmente unificante dentro la giungla della precarietà e della disoccupazione (sia quella storica che quella “moderna”) e per chi – particolarmente nel Sud – ha verificato come anche uno strumento perfettibile come l’attuale RdC ha concretamente “salvato” decine di migliaia di nuclei familiari nei periodi acuti della crisi (vedi l’arco temporale della Pandemia), la difesa di questo provvedimento diventa non solo una necessità politica, un possibile obiettivo di vertenza sindacale, ma anche un punto fermo di battaglia culturale e costitutivamente identitaria.

Le forze politiche anticapitaliste, il sindacalismo conflittuale, le variegate forze attinenti al mondo dell’associazionismo, del volontariato solidale e di quanti conoscono e convivono con le “nuove e vecchie sofferenze sociali” devono reagire agli effetti nefasti e disarticolanti di questa crociata antipopolare.

Occorre sottrarsi ad un diffuso sentimento di subalternità culturale improntato sul mero – e spesso inconsapevole – “giustificazionismo”, quando siamo costretti a rispondere alle provocazioni di coloro i quali intendono abolire o modificare peggiorativamente tale provvedimento.

Al Sud ma anche al Nord (con le opportune ed argomentate articolazioni politico/programmatiche che richiede un contesto economico e sociale differente) bisogna far “suonare un campanello d’allarme” non solo verso la platea dei percettori di RdC, i quali, da subito, devono organizzarsi e mobilitarsi senza nutrire “troppe speranze” in Conte o nei 5 Stelle, che hanno “difficoltà” a concepirsi ed agire fuori dalle “dinamiche parlamentari ed istituzionali”.

Tale “sveglia” va orientata pure verso l’insieme delle diverse “figure del mondo del lavoro”, le quali devono comprendere che il loro “potere contrattuale e rivendicativo” per l’oggi e – soprattutto – per il domani dipenderà anche dal non offrire al padronato tutto un esercito di disoccupati e soggetti altamente ricattabili, usati anche per “calmierare e limitare” le indispensabili richieste di miglioramenti delle condizioni di vita e di lavoro (Marx docet!).

È tempo – quindi – che le Prefetture delle varie provincie siano presidiate da coloro che intendo non abdicare a questa Vertenza. Al governo nazionale, a Confindustria, deve giungere un deciso stop al tentativo di cancellare il RdC o ridurlo ad un mero e misero obolo verso gli “indigenti e gli ultimissimi della piramide sociale”.

Nelle prossime settimane, che precedono il varo della Legge di Stabilità, va articolata e generalizzata una campagna di controinformazione, di verità e di puntuale demistificazione verso l’incredibile montagna di bugie e di odio che costoro stanno diffondendo a piene mani nella società.

Lo Sciopero Generale del 2 dicembre e la Manifestazione Nazionale del 3 dicembre, a Roma, possono essere un altro momento di esemplificazione materiale di questa battaglia culturale/politica/sindacale/sociale ma dovremo – tutti insieme – trovare le modalità possibile per costruire un onda lunga che attraversi i quartieri popolari, le periferie urbane e i palazzi delle Istituzioni consapevoli che se “il Lavoro è discontinuo la Vita non può esserlo”!

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