Le dichiarazioni di Giorgia Meloni contro “la belva nazifascista” responsabile del rastrellamento del ghetto di Roma del ‘43 vanno prese sul serio: va capito, insomma, in quale patrimonio culturale si inquadrano. Comunque, un rigurgito “antifascista” tutto da leggere.
La destra di Fratelli d’Italia è cresciuta, come corpo militante e classi dirigenti, nell’intreccio tra cultura politica di Fiuggi, quella della svolta finiana della denuncia al fascismo, e fiancheggiamento a una cultura direttamente fascista militante. Un assurdo, se si guarda con schematismo alla formazione dei cartelli elettorali, che è tanto meno tale se si capisce come la cultura fascista, per sopravvivere nell’Italia repubblicana, per decenni abbia dovuto trovare parole d’ordine ambigue, persino prive di senso.
Oggi Fratelli d’Italia, scissione del partito berlusconiano come la consorella spagnola Vox lo è del Partito Popolare, è un cartello elettorale il cui gruppo dirigente è una miscela tra afascismo di Fiuggi e riferimenti diretti al fascismo e che è cresciuto attorno alla trasformazione della leader in figura pop tanto da essere imitata su Tik Tok con una viralità riservata ai personaggi di Amici della De Filippi.
In questo senso, la dichiarazione della Meloni si va ad inquadrare in una strategia dell’equilibrio retorico tipico di quel tipo di cultura mutante rispetto al neofascismo che abbiamo conosciuto. Se i messaggi contenuti nella elezione dei presidenti delle due camere toccano il limite della tolleranza democratica, per il passato e il presente di entrambe le figure istituzionali, allora la frase forte sulla “belva nazifascista” tende a riequilibrare la recezione di Fratelli d’Italia al di fuori della sfera di allarme democratico.
Certo, si può discutere quanto il fascismo – una cultura politica mutante capace di assorbire stimoli esterni come una spugna, secondo la definizione che Karl Polanyi da recensendo Othmar Spann – faccia soprattutto parte del ‘900 esaurendo la propria spinta propulsiva prima della condizione postmoderna che ancora viviamo. Ma, allo stesso tempo, non possiamo non notare come l’intreccio tra afascismo e residuo fascismo militante, che compone l’attuale cultura del gruppo dirigente di FdI, sia molto postmoderno, sovrapponga elementi contraddittori tra loro proprio per sopravvivere alle frizioni tremende che la complessità sociale impone a ogni cultura politica. La “belva nazifascista” fa parte proprio di queste strategie retoriche di ricerca di equilibrio e di legittimazione quando la situazione si fa troppo pesante.
Strategie retoriche che, fa bene ricordarlo, incidono bene, a livello elettorale, sui ceti subalterni. Secondo Swg, infatti, FdI è il primo partito operaio di questo paese, una dozzina di anni fa lo era Forza Italia, e il primo per i ceti più colpiti dalla crisi. Visto il precedente di Donald Trump non c’è da stupirsi c’è solo da capire bene la particolarità italiana di questo fenomeno.
In definitiva la destra di FdI, e in parte anche quella di Vox, è un animale che può sfuggire a categorie di lettura troppo legate al ‘900. Non perché non sia pericolosa per la democrazia, o per i diritti civili e sociali, ma perché lo è in modo diverso dal fascismo di un secolo fa e anche dal neofascismo del più recente passato. Si tratta di una destra che è andata al potere avendo ben interiorizzata la divisione dei poteri globali del trentennio precedente – le dichiarazioni di fedeltà della Meloni su Ue, Bce ed euro sono chiare e sono differenti da quelle della Le Pen – che si concentra sulla difesa dei diritti “naturali e della famiglia” e che deve scegliere tra approccio paternalistico nella difesa “degli ultimi” e accettazione della forza del turboliberismo finanziario. Siamo quindi di fronte più che a una destra dell’ordine a una che per ottenere consenso si concentra, ossessivamente, su alcuni classici del biopotere (sessualità, famiglia, riproduzione) che accetta il dominio della governance finanziaria e monetaria internazionale, che deve coniugare libertarismo di destra e immagine paternalistica della protezione sociale degli ultimi.
E, come tutti gli animali pronti a mutare, questa destra che non fa grandi marce ma è virale su Tik Tok, si prepara a nuovi salti di genere. Il rigurgito antifascista di Giorgia Meloni è solo uno di questi salti.
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